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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
ER PRETE.
Jeri venne da mé ddon Benedetto
Pe’ ffamme1 arinnaccià cquattro pianete;
E vedenno un rïarzo drent’ar letto,
Me disse: “Spósa,2 cqua cche cce tienete?„
Io j’arispose che cciavèvo er prete3
Pe’ nnun stamme4 a addoprà llo scallaletto;
E llui sce partì5 allora: “Eh, ssi6 vvolete,
So’ pprete io puro„: e cqua fesce l’occhietto.
Capite, er zor pretino d’ottant’anni
Che stommicuccio aveva e cche ccusscenza
Cór zu’ bbraghiere e cco’ li su’ malanni?
Ma ssai che jje diss’io? “Sora schifenza,
Che ccercate? La fr..... che vve scanni?
Io non faccio peccato e ppinitenza.„
Roma, 15 gennaio 1833
- ↑ Farmi [rinnacciare: rammendare. Da accia.]
- ↑ Pronunciata con la o chiusa.
- ↑ Utensile di legno, mercè il quale si sospende un caldanino fra le coltri del letto. [E prete si chiama anche a Firenze.]
- ↑ Starmi.
- ↑ Partirci, vale quasi: “prendersi una libertà di dire o di fare„; e simile verbo si pronuncia con un tal suono di ironia.
- ↑ Se.
Note
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