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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER RISPETTO A LI SUPRÏORI1
Chi mmette sù2 er padrone? Uno è cquer zozzo3
Bbrutto vecchio bbavoso cataletto
Der zor Mastro-de-Stalla: e a llui ggià ho ddetto
Che ttant’ha da finì cch’io me lo strozzo.
L’antro poi che l’inzòrfora4 è un pivetto5
C’un mes’addietro j’amancava er tozzo,6
E mmó cch’è entrato in scuderia pe’ mmozzo,
Tiè una ruganza7 da Cacàmme-in-ghetto.8
E nnu lo vò ccapì cch’io sò ccucchiere,9
E cc’ho ppiù età de lui, e cche ppe’ cquesto
Lui m’ha da rispettà ccom’è ddovere.
Lo soo,10 ttutta farina11 der vecchiaccio.
Ma io te ggiuro, da quell’omo onesto
Che mme posso avvantà,12 cch’io je la faccio.13
28 aprile 1834
- ↑ Superiori.
- ↑ Metter su: indisporre l’animo di chicchessia.
- ↑ Sozzo.
- ↑ Insolfa: accende.
- ↑ Ragazzotto.
- ↑ Gli mancava il tozzo.
- ↑ Tiene una arroganza.
- ↑ Cacàm o cacan del Ghetto degli Ebrei.
- ↑ Sono cocchiere.
- ↑ Lo so. In segno di perfetta persuasione si pronunzia colla o prolungata, quasi fosse doppia.
- ↑ Tutto maneggio.
- ↑ Vantare.
- ↑ Lo uccido.
Note
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