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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
ER ROMANO DE ROMA
Ma un galantomo senza un’arte in mano
A li tempi che ssò ccome la sfanga?
Pretenneressi ch’io pijji la vanga
E vvadi a llavorà ccome un villano?
Tu ddamme un po’ de tempo ch’er Zovrano
Me provedi e mme levi da la fanga;
E allora vederai s’io sò una stanga,1
O ppago chi ha d’avé dda bbon cristiano.
Io fui bbono a ttirajje la carrozza2
Ar zor Grigorio, e llui fa l’ingiustizzia
De nun damme un quadrino che lo strozza.
E mme lassa li fijji pe’ mmalizzia
A ppiaggne nott’e ggiorno a-vvita-mozza,3
Che jje se vede in faccia l’armestizzia.4
Roma, 23 dicembre 1832
- ↑ Stanga, stangone, stangheggiare: tutti vocaboli indicanti dolorosa difficoltà nel pagare.
- ↑ Vedi i sonetti...
- ↑ Dirottamente.
- ↑ Questa è una di quelle parole che escono dalla bocca di coloro che vogliono sfoggiare di parlare in punta.
Note
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