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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
ER VENTIDUA DESCEMMRE
Propio cuesta che cqui nnun ve la passo,
De dì cche sto governo è un priscipizzio.
Sor coso1 mio, levàtevelo er vizzio
De laggnavve accusì dder brodo grasso.2
Er Zantopadre, pe’ ddiograzzia, è ll’asso,3
È un testone,4 è un papetto5 de ggiudizzio:
E ssi ariviè ssan Pietro a ffà st’uffizio,
Lui se ne frega e sse lo porta a spasso.6
Oggi (e cqua vvedi cuant’è ssanto e ddotto)
Voleva ggiustizzià er Governatore
Scerti arretrati, che ssò ssette o otto.7
Sai c’arispose er Papa a Mmonzignore?
“Giustizzia?! che ggiustizzia; io me ne fotto:
Ner giubbileo8 se nassce e nnun ze more.„
Roma, 19 dicembre 1832
- ↑ Qui sta come nome di disprezzo: ma generalmente tutti gli enti onde ignorasi il nome sono coso o cosa, donde poi il verbo cosare.
- ↑ Cioè: “del buono e del comodo.„
- ↑ È impareggiabile, come l’asse di certi giuochi di carte.
- ↑ Equivoco fra gran testa e una moneta da tre paoli.
- ↑ Altro equivoco fra moneta da due paoli, di cui vedi il son..., e il diminutivo di Papa. Questi diminutivi come è un ometto, è un figurino, e simili, si adoperano anzi per dare importanza al soggetto.
- ↑ Gl’impone.
- ↑ Il 22 dicembre 1832 doveva infatti accadere l’esecuzione di queste sentenze capitali, e l’andò come qui dicesi.
- ↑ Su tal giubileo vedi sonetti...
Note
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