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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
ER ZARTORE
Ricco un zartore mo?! Stateve quieti.
A sti tempacci, che o nun c’è llavore,
O nnun ze1 paga, chi ffa st’arte more
De la morte che ttocca a li poeti.
Quanno che li Padriarchi e li Profeti
Se1 squarciaveno addosso er giustacore,
Quello sì cch’era er tempo c’un zartore
Se1 poteva arricchì ccome li preti.
Poi, bbast’a vvede2 l’accommida-panni
Si cche ffrega3 in ner ghetto de la Rua4
N’è ssaputa restà ddoppo tant’anni.
Lo so, llòro averanno arippezzato:
Ma, arittoppa arittoppa un mese o ddua,
Finarmente er zartore era chiamato.
4 dicembre 1834
- ↑ 1,0 1,1 1,2 Si.
- ↑ A vedere: [vedere.].
- ↑ [Quantità, moltitudine.]
- ↑ Sulla principal porta del recinto degli Ebrei di Roma è scritto: Ghetto della Rua. Quasi tutti que’ meschini vivono con racconciar panni vecchi, e van gridando per la città: Chi accomoda panni?
Note
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