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III. — Il parallelismo.
1) Il libro secondo si può dividere in cinque parti. Nella prima (prop. 1-13) Spinoza svolge il suo parallelismo metafisico. Segue una serie di assiomi, lemmi e postulati, nella quale Spinoza espone, come in una digressione, la sua fisica. Quindi nelle prop. 14-23 svolge le sue teorie antropologiche; nelle prop. 24-36 tratta della imperfezione del nostro conoscere e delle relative cause; nelle prop. 37-47 tratta della possibilità della conoscenza vera e della via che ad essa conduce. Le prop. 48-49 sono una specie di appendice che prepara il passaggio al libro terzo.
Prop. 1. Il pensiero è un attributo di Dio, cioè Dio è cosa pensante.
Prop. 2. L’estensione è un attributo di Dio, cioè Dio è cosa estesa.
Dai modi finiti del pensiero e dell’estensione noi ci eleviamo al concetto d’un pensiero infinito e d’un’estensione infinita, che sono i due attributi divini a noi noti. Già si è veduto come in Et., I, 15, scol., Spinoza difenda la sua dottrina dell’estensione in Dio. Del resto anche la dottrina comune riferisce a Dio l’onnipresenza: ora che cosa è questa se non un’estensione dinamica? Nei Principii di fil. cartes. (I, 9) Spinoza dice che l’immaterialità di Dio non deve essere intesa nel senso che tutte le perfezioni dell’estensione debbano essergli negate: l’estensione deve essere di lui negata solo in quanto può involgere un’imperfezione (e cioè come estensione sensibile e divisibile, quantità).
Il pensiero in Dio non è una facoltà libera di concepire a suo arbitrio ciò che è reale e ciò che non lo è: ma è una serie necessaria di modi ideali (pensieri), parallela alla serie necessaria dei modi reali (corpi). Il modo immediato, universale ed infinito, che procede dall’attributo del pensiero è, come si è veduto, l’idea di Dio, da cui derivano poi tutte le altre determinazioni del pensiero e che in sè tutte le comprende (proposizioni 3-4).
La serie ideale dei modi del pensiero è, come già si è veduto, una serie indipendente dalla serie reale, che essa rispecchia e riproduce idealmente: è un ordine di enti che scorre parallelo all’ordine reale (prop. 5). Questo vale anche dell’ordine reale rispetto all’ordine ideale: ognuna delle due serie è chiusa nella sua concatenazione e non dipende dall’altra. Perciò, ci dirà Spinoza più innanzi (Et., III, 2), nè il corpo può agire sulla mente, nè la mente sul corpo.
Prop. 6. I modi di ogni attributo hanno per causa Dio solo in tanto in quanto è considerato sotto l’attributo cui i modi appartengono e non in tanto in quanto è considerato sotto un altro attributo.
Prop. 7. L’ordine e la connessione delle idee è identico all’ordine ed alla connessione delle cose.
3) Nelle prop. 8-9 è applicato il principio del parallelismo delle due serie e dell’autonomia della serie ideale in rapporto alla duplice esistenza dei modi, come essenze (modi infiniti) e come esistenze (modi finiti). Le essenze ideali delle cose sono contenute nell’idea di Dio (e per essa nell’absoluta cogitatio, nell’attributo del pensiero) come le essenze reali nell’attributo dell’estensione: l’ordine eterno della processione delle essenze formali (cioè delle essenze reali) da Dio ha per corrispondente un ordine parallelo di idee, di enti ideali eterni: sotto questo punto di vista le idee delle cose, anche se per noi non esistono in atto (cioè sembrano non esistere), in realtà fruiscono sempre dall’esistenza eterna in Dio. Quando poi le cose ricevono anche l’esistenza empirica (quando cioè l’ordine eterno è trasformato dall’imaginatio nell’ordine empirico), abbiamo anche qui un costante parallelismo delle cose e delle idee: ogni cosa esistente come modo finito ha per corrispondente un’idea che esiste soltanto come modo ideale finito, o (secondo l’espressione di Spinoza) che esiste in Dio, in quanto Dio è considerato come affetto solo dalla detta idea. E così è parallela sotto i due aspetti anche la concatenazione causale finita: all’ordine, per cui le cose finite sembrano generarsi causalmente, corrisponde un ordine della generazione delle idee, per cui ogni idea di cosa finita ha per causa un’altra idea finita (cioè Deum, quatenus alia rei singularis actu existentis idea affectus consideratur) e così all’infinito.
Prop. 8. Le idee delle cose singolari, o modi, non esistenti devono essere comprese nell’idea infinita di Dio alla stessa maniera che le essenze formali, o modi, sono contenute negli attributi di Dio.
Corollario. Da ciò segue che fintanto le cose singolari non esistono se non in quanto sono comprese negli attributi di Dio, il loro essere obbiettivo1, cioè le loro idee, non esistono se non in quanto esiste l’infinita idea di Dio: e quando le cose singolari son dette esistere non solo in quanto sono comprese negli attributi di Dio, ma anche in quanto son dette durare, le loro idee involgono altresì l’esistenza per la quale son dette durare.
Prop. 9. L’idea d’una cosa singolare esistente in atto ha per causa Dio non in quanto è infinito, ma in quanto lo si considera come affetto dall’idea d’un’altra cosa esistente in atto, idea della quale Dio è egualmente causa in quanto è affetto da una terza e così all’infinito.
4) Le prop. 10-13 applicano il parallelismo all’uomo.
Prop. 10. All’essenza dell’uomo non appartiene la sostanza: ossia l’essere formale dell’uomo non è costituito da una sostanza.
L’uomo è modo, non sostanza: perciò è soggetto all’esistenza separata. Tutti riconoscono, dice Spinoza, nello scolio al corollario della prop. 10, che le cose non possono essere senza Dio: ma non sono poi egualmente coerenti nel riconoscere che Dio deve perciò essere riconosciuto come la vera sostanza delle cose. Bisogna pertanto distinguere tra l’essenza e la sostanza. Le essenze sono modi, sono i modi infiniti ed eterni, res fixæ et æternæ, costituenti l’essere immutabile delle cose, che nell’esistenza empirica — come modi finiti — sembrano sorgere e perire: quindi non sono sostanze, sono la sostanza determinata in un particolare modo: la sostanza è una sola.
L’anima umana nella sua esistenza empirica non è che l’idea di una corrispondente realtà empirica, il corpo.
Prop. 13. L’oggetto dell’idea costituente la mente umana è il corpo, cioè un certo modo dell’estensione esistente in atto e niente altro.
L’anima umana nella sua esistenza empirica è sempre una parte di Dio; ma s’identifica con Dio non nella sua assolutezza, bensì con Dio quatenus hanc vel illam habet ideam. E quando l’anima conosce qualche cosa, s’identifica con Dio in quanto Dio, oltre all’idea dell’anima, ha l’idea di quell’altra cosa: ma poichè Dio non è solo questa o quella idea, bensì la totalità infinita che in sè comprende tutto il sistema delle idee, così quella conoscenza limitata dall’anima è necessariamente una conoscenza inadequata, ed imperfetta.
Da ciò segue che la mente umana è una parte dell’infinito intelletto di Dio: perciò quando diciamo che la mente umana percepisce questo o quello, non diciamo altro se non che Dio — non in quanto infinito, ma in quanto si esplica per la natura della mente umana, ossia in quanto costituisce l’essenza della mente umana — ha questa o quella idea; e quando diciamo che Dio ha questa o quella idea non solo in quanto costituisce la natura della mente umana, ma in quanto insieme con la mente umana ha anche l’idea d’un’altra cosa, allora diciamo che la mente umana apprende una cosa parzialmente o inadequatamente. (Et., II, 11, scol.).
I modi estesi più semplici si connettono fra di loro in sistemi complessi di vario grado: i corpi. Ogni mutamento che avviene in questa serie è sempre determinato da altre cause corporee. Parallelo al mondo degli estesi è il mondo dei pensieri, che si connettono anch’essi in sistemi complessi: l’anima nostra è un sistema d’idee perfettamente corrispondente al nostro sistema corporeo. Essa rispecchia in sè il corpo e la serie dei suoi mutamenti: ma nello stesso tempo rispecchia anche se stessa, ha coscienza del suo essere: questa coscienza riflessa costituisce l’idea mentis, di cui Spinoza ci parlerà più innanzi. E come il nostro corpo è connesso col resto dei corpi, così la coscienza nostra è connessa, per la conoscenza, con la coscienza che di sè ha il mondo: la perfezione di questa conoscenza è correlativa alla perfezione del corpo. Anche la serie dei mutamenti che avvengono nella serie spirituale è una serie chiusa: la conoscenza non è un effetto di azioni corporee e la verità sua non dipende dalla corrispondenza con l’oggetto, ma procede dalla perfezione sua intrinseca come atto spirituale. Quindi nè il corpo agisce sullo spirito, nè lo spirito sul corpo: tutte le attività corporee sono l’effetto di altre attività corporee antecedenti. Spinoza difende qui il paradosso del parallelismo: e cioè che tutti gli atti, per cui, per es., un pittore dipinge od un poeta scrive, hanno il loro antecedente in altre attività fisiche del corpo, non nella attività spirituale.
Sebbene la teoria del parallelismo, rigorosamente formulata, ricorra per la prima volta in Spinoza, essa ha tuttavia i suoi antecedenti in analoghe dottrine di qualche filosofo ebreo medievale e nel dualismo cartesiano.
- ↑ Spinoza si vale qui, nella sua terminologia, della contrapposizione scolastica: formale-obiectivum, che corrisponde, nel linguaggio nostro, alla contrapposizione: oggettivo-soggettivo.
- ↑ Il contesto esige evidentemente la lezione dell’ed. orig. «idea» e non la correzione «ideæ» tolta dall’antica traduzione olandese.