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GAZZETTA MUSICALE | ||
N. 34 |
DOMENICA |
DI MILANO |
J. J. Rousseau.
essere il sig. Ferri dotato di un organo
i vocale a suìiicienza energico ed espansivo,
e per non averlo quindi coltivalo in questo
senso, non saprà mai raggiugnere la perfezione
da noi desiderata nella parte di
Nabucco, e che è quindi indiscrezione esigere
da lui l’impossibile. A questo noi rispondiamo
che, poiché si tratta del teatro
della Scala, ogni pretesa in fatto di cantanti
non è sovverchia • poi crediamo che
quanto al sig. Ferri il male derivi, non; tanto da scarso volume di voce, o da
cattivo metodo nell’emetterla, quanto da
non bastevole intensità di sentimento e
da mancanza di quell’estro artistico che
deve signoreggiar l’animo del cantante, sicché
in lui 1 ispirazione e la passione facciano
scomparire ogni idea di studio, di
fatica e di artifizio, (i)
I pregi di vibrazione e di espansività
di che sembra a noi mancante la voce del
sig. Ferri sono invece principali in quella
della signora De Giulii, la quale sa giovarsi
dell ottava soprana dal ilo al (lo con
molto felice ardimento. Ella non teme di
pigliare di salto queste sue note acute, il
che non é poca difficoltà, e le azzecca di
solito molto bene intonate e le slancia nel
pieno dei forti d’orchestra con tal decisione
che non ponno a meno di riuscire
di sicurissimo elletto. Questa sua abilità
particolare è di molto giovamento alla
signora De Giulii nella parte di Abigaille,
cui per avere il poeta dato il carattere di
donna fiera ed avventata, ha bisogno di
essere vestita da una cantante alla quale: non facciano difetto né la gola, nè i polmoni
a poter imprimere alle frasi energiche
e salienti a lei affidate un fare al più
possibile risentito e quasi diremmo iracondo.
In questo proposito osserviamo però che
la signora De Giulii, non essendo fornita
di buone e ben risolute voci basse, non
può dar sempre la maggior finitezza e decisione
di contorno ai periodi, la cui cadenza
si risolve di solito sulle note ch’ella appunto
possiede più deboli ed incerte. L’esercizio
e lo studio le otterranno di superare o almeno
di velare con artifizio questo suo: difetto, che, grazie ad una malizia stromeni
tale, è, per esempio, non avvertito nella
(1) Per amore del vero c per giustizia è duopo accennare
che in alcuni passi della sortita e nell’aria dell’atto
quarto il sig. Ferri è applaudito con soddisfacente
clamore. Sanno però i nostri lettori che noi non siamo
usi tener gran conto delle speciali manifestazioni del pubblico,
ina siamo dominati dal piccolo amor proprio di
voler giudicare da noi del inerito delle cose teatrali,
libero però ad ognuno accettare o rifiutare le nostre
opinioni.
Si unisce a questo foglio una Melodia
di Sem huit, trascritta iter
Pianoforte da T. Liszt, che si dà
in dotto ai signori Associati.
CRITICA MELODRAMMATICA.
Rlprod Mattone «lei «TAIHJCODOISOSOR
del maestro Verdi sulle scene dell’I.
B. Teatro all» Scala.
suo tempo abbiamo già parlato
a lungo di cjUesto spartito.
Aggiugneremo alcuni altri cenni
necessarii a manifestare l’opinion
nostra intorno ai cantnero
ora affidate le due parti
principali.
L’azione di questo componimento melodrammatico
del Solerà non è mossa ed
agitata che per l’impeto della volonlà di
Nabucco; in forza del suo cieco smisurato
orgoglio si viene ordendo la tela del fatto;
daìl’incomposta foga delle sue brame è avviluppala,
e l’ardenza delle sue passioni
ne precipita la catastrofe.
La musica si associa mollo bene colla
poesia a svolgere la pittura di questo carattere
che con tanta potenza di volontà
determina le varie fasi dell’azione. Adunque
a ben interpretare la parte di Nabucco
si vuole un artista cantante, che e per possesso
di scena e per sicuri e risoluti modi
di canto, e per pronto e vivo sentire, fin
dal primo comparire sul palco, si faccia
sovrano della scena, e a sé, come a principal
figura a’cui atti e a’cui voleri f interà
azione è subordinata, attragga tutta
l’attenzione del pubblico, nò lasci che un
sol momento si dubiti che l’importanza
drammatica delie altre parti possa alla sua
contendere il primato.
Il Ronconi, pel quale venne scritta dal
Verdi la parte di Nabucco, adempiva mirabilmente
a queste essenziali condizioni.
Sarebbesi detto che per fino da’ suoi difetti
ei traeva alcuni degli elementi necessarii
a dare calore e vita a tutte le scene
nelle quali aveva luogo. Quel non so che
di duro e di risentito nelle sue mosse, l’irrequieta
mobilità del suo volto, un tal
quale sinistro lampeggiar dello sguardo, e
per fino la naturale asprezza della voce,
tutto ciò ei faceva servire a ritrarre più
spiccata e maschia l’immagine morale di
un personaggio dotalo di si strano e fiero
umore qual è il terribile monarca del libretto
italiano.
Il sig. Ferri, che nella recente riproduzione
del Nabucco venne sostituito al Ronconi,
non manca di belle e buone doti,
ma e i suoi modi di canto e l’indole del
suo organo vocale difettano in parte di
quella risolutezza e di quella decisa e sicura
arte di colorire che sono Indispensabili
alla buona interpretazione di una parte
sì piena di tinte spiccate e salienti. Quanto
ali azione, sebbene non osiam dire che il
sig. Ferri l’abbia nè trascurata nè al tutto
| fraintesa, ci pare però insudiciente in ciò
appunto in che è manchevole e il suo genere
di canto e la natura della sua voce,
vogliam dire: sicurezza, energia, calore.
Sarebbe nostro desiderio che così nei recitativi
come nei caniabili, e molto più
poi nelle frasi di passione, ei mettesse un
accento d assai più vibrato, e desse adito
alla sua voce, qualunque ella sia, ad uscire
più ardita, e ad espandersi con più animata
efficacia.
Veniamo a qualche esempio. Al primo
irrompere di Nabucco nel tempio degli
Ebrei, ch’egli con tanta audacia viola e
profana, è duopo d un contegno alteramente
minaccioso. Alle parole ch’ei dice
fra sé «Tremiti gli insani - Del mio Jitrror» sono apposte frasi musicali piene
di energica accentazione. Ma il sig. Ferri
le eseguisce in modo sì esitante, e diremmo
quasi pauroso, che per poco non ne lascia
in dubbio, se sia Nabucco che agli Ebrei o
questi che a lui incutano terrore.
Questo difetto di risolutezza nel porgere
e nell’accentare è vieppiù sentito nella
stretta di questo pezzo u Mio furor non
più costretto, ecc.» ove l’impeto di un
animo che più non sa frenarsi è in gran
parte mancato, e l’intenzione del poeta e
del maestro tradita, e quindi perduto l’effetto
principale che è da attendersene.
Dicasi poco men che lo stesso del bellissimo
punto drammatico del secondo atto
in cui Nabucco, postasi in capo la corona,
esclama imperioso alla turba «Ascoltate i
detti miei - D’è un sol Jume - il vostro re! n
In questo passaggio è d’uopo d una voce
che con ripetuta e ravvigorita insistenza
esprima la foga di un animo altero che
per insana superbia si crede più che mortale
e sfida l’ira del cielo. Guai se il cantante
lascia uscire molli e indecisi que’tuoni
ascendenti per gradi fino a proromp re
colla possa impetuosa di un’imprecazione!...
Il povero maestro avra spesa indarno la
sua fantasia e all’uditore non sarà data
che una parodia della situazione drammatica.
Taluno forse ne obbietterà che per non
tanti cui ve cadenza del passo di carattere della sua
aria del second’atto, ove il clarinetto,
senza che l’uditore comune se ne accorga,
conduce a fine una rapida scala discendente
che la voce della cantante abbandonò
poco men che a mezza via. In oltre
vorremmo che la signora De Giulii, nei pochi
passi di affetto ne’ quali manifesta il suo
segreto amore per Ismaele, si abbandonasse
meno a un certo quale manierismo sdolcinato,
che non è del miglior genere:, e in generale
poi le raccomandiamo di non allargar
di troppo il tempo così nei recitativi come
nei cantabili, e massimamente nell Adagio
dell’aria del secondo atto, da lei eseguito
con felice portamento di voce e con sobrietà
di ornati, ma non con abbastanza
colorito caratteristico, nè con relativa verità
di espressione. Ci spieghiamo meglio.
È un errore il credere che vi sia una
regola generale la quale determini essere
uno solo e invariabile il modo di modular
bene gli Adagio cantabili. Ciò potrà dirsi
benissimo per quel che riguarda gli artilizii
materiali ed elementari del canto, non
già per quanto si riferisce al carattere e
all’espressione. Quanti largo cantabili,
quanti adagio affettuoso, sebbene per il
contesto melodico dal più al meno si assomiglino
(che noi crediamo ben difficile
una gran varietà in questa specie di canti)
ponno e devono essere molto diversamente
caratterizzati dall’ingegno dell’artista se
costei bada alla tempra e alla natura del
personaggio ch’ella finge! La Pasta, la
Malibran ed altre pochissime attrici ben le
intendevano queste differenze, e l’esimia
lombarda era poi fra le altre maestra in
codeste fine distinzioni, sicché udivi in qual
diverso modo con frasi cantabili di non
molto dissimile tessuto di note ella esprimeva
ora l’ingenuo amore di Amina, ora i casti
affetti di Polena, ora le incomposte fiamme
di Norma!
Abigaille, donna divorata dall’ambizione,
vendicativa, dispettosamente gelosa d?un
bene perduto, anche ne’momenti di tenera
espansione, come è il caso della sua aria del
secondo atto, debbe lasciare intravedere la
sua irosa natura, e nella mestizia de’suoi
lamenti ha da spiccare una tal quale tinta
di rancore e di orgoglio offeso che vorrebbe
sfogarsi nel pianto ma finisce per
prorompere con un’invettiva. Questo felice
passaggio, ben trovato dal poeta, fu sufficientemente
conservato dal compositore e
marcato nel contrapposto delle lente modulazioni
del primo tempo dell’aria suddetta,
non al tutto peregrine.colle variate
e incalzanti frasi della stretta CO.
O ci inganniamo a gran partito o ne
pare che la signora De Giulii non abbia
voluto farsi abbastanza ragione di codeste
che a lei forse parranno sofisticherie, e
a noi sembrano sottili ma giuste esigenze
della critica. Ormai l’educazione artistica
de’ nostri signori cantanti è di tanto progredita
che il non esigere da essi la scrupolosa
osservanza di tutte le menome intenzioni
drammatiche del poeta e del compositore,
è più che altro, far torto al loro
ingegno e al loro spirito.
(I) La nostra imparzialità ci ingiunge di qui accennare
per digressione che la signora Strcpponi aveva
molto bene compreso il carattere fiero e amaramente
passionato di Abigaille. Ella per altro, indisposta di voce,
non poteva dare il necessario risalto alle modulazioni
più spiccate, nè aggiugnere vigore alle accentazioni energiche
della musica, massime rie’ passi in cui questa richiede
slancio e sicurezza di voci acute. Però eseguiva
con sufficiènte energia il passo di carattere dell’aria del
secondo atto c non trascurava di dare l’opportuna tinta
di ironico orgoglio ai due versi di molto significato:» Regie
figlie qui verranno - L’umil schiava a supplicar.
In proposito della signora De Giulii ci
facciamo lecita un’altra osservazione. Forse
ci inganneremo, ma ne sembra che nei suoi
modi di azione ella si attenga un’po’troppo
alla vecchia scuola di mimica, sì riprovevole,
perchè basata sul falso e sul convenzionale.
Non possiamo a meno di lodarla del molto
studio ch’ella pone a conservar sempre la
dignità teatrale del contegno: però desidereremmo
ch’ella non si addimostrasse
troppo, ligia all’antico precetto che raccomandava
di accompagnare ogni concetto
della poesia con un geslo diverso anche a
rischio di ricorrere, dopo un certo giro, al
gesto medesimo già poco prima usato, e
così di seguito. In oltre vorremmo che ella
non ripetesse troppo spesso certe pose che
sanno troppo di accademico, e danno quindi
un fare un pochino antiquato alla sua azione
scenica.
La signora De Giulii è artista destinata
a progredire molto innanzi, così nel canto
come nella scena, ed è per questo che con
lei ci facemmo lecite delle minute osservazioni
che forse avremmo credute superflue
con altre. Se mai le nostre parole
avranno saputo persuaderla di qualche piccola
verità, crederemo di aver raccolto il
miglior frutto che possa sperarsi da un articolo
da giornale.
Nel foglio venturo osserveremo altre cose
diverse intorno al modo col quale, presentemente, è posta in iscena questa Opera
destinata a glorioso avvenire, ed aggiugneremo
alcun chè intorno alle parti secondarie
ed ai cori.
G. B.
ESTETICA MUSICALE.
uniTAzioxE siiinn j in i.
(Tedi i fogli 19, 22, 23, 24,
XXXIV. Molto più vasto è il campo
dell imitazione subbiettiva la quale, come
già dicemmo, ha per tipo gli affetti dell’uman
cuore. Qui non trattasi di imitare
altri suoni che quelli dell’accento umano
nel canto declamato, nè questi pure nel
canto ideale, ma sì di formare un tutto
che corrisponda ad una data maniera di
essere; un tutto che desti l’idea di una
data commozione d’animo qualunque ella
sia, al che vedemmo coll’analisi sommamente
acconcia l’arte nostra.
Egli è in questo genere d’imitazione, il
più nobile e degno dell’artista, che l’orchestra.
o quei mezzi che ne fanno le veci,
debbe assumere di rappresentare tutto che
è necessario all’espressione dell’affetto, e
che la parola e l’accento della melodia non
possono dichiarare.
Egli è qui che l’artista ha duopo di ben
conoscere il cuore umano, e di quella facilità
di trasportare sè stesso in tutte quelle
situazioni che debbe colf arte sua dipingere,
facoltà che chiamasi sensibilità, e senza
la quale nessuno può essere vero artista.
E qui finalmente che richiedesi una perfetta
cognizione dei rapporti fra l’arte e
la natura congiunta a gusto squisito per
iseegliere i mezzi più proprj, fra quanti
ve n’ha, ad esprimere con verità il proprio
soggetto.
Dopo quanto abbiamo discorso intorno
agli affetti non meno che sulla relazione
e corrispondenza fra questi e gli elementi
dell’arte crediamo inutile aggiungere precetti
che non farebbero che assoggettare
l’immaginazione a forme, direm quasi, meccaniche
sempre nocive. Ci limiteremo dunque
a scegliere alcuni esempi sui quali
discorrendo, e applicando i principii già
esposti ne risulterà una norma generale di
raziocinio per l’artista, più utile di qualsivoglia
precetto.
Già abbiamo citato il Rondò finale della
Straniera di Bellini: ad un esempio sì hello
di espressione musicale ne piace aggiungere
il Rondò pure finale della Caterina
dì Guisa, in cui la situazione drammatica
è quasi la stessa perciò che riguarda l’affetto,
e comprova quanto abbiamo detto
parlando del carattere dei toni. In questo
esempio ci limiteremo ad osservare come
la melodia senza trilli e senza passi di bravura
riesca in tali espressioni più smaniosa
epperciò più vera.
Caputeti e Montecchi. - Duetto Romeo
e Tebaldo atto if," Bellini.
XXXV. Due guerrieri rivali, uno de’quali
sorprende 1 altro mentre furtivo s’aggira
nelle vietale soglie, debbono necessariamente
accendersi di sdegno. Tebaldo per
l’ardire di Romeo, questi per l’importuno
arrivo e per l’alterezza di quello. Ma prima
di por mano ai ferri raro è che non si tenti
opprimere il nemico colla potenza della parola.
In tali casi però esseri come questi,
educati ad alti sensi, raffrenar sanno l’interna
ira, e ambiscono mostrarsi l’un del1
altro più grande e magnanimo, e tale è
il principio di questa scena. La melodia
larga, grandiosa, e slanciata a grandi’ intervalli
consuona pienamente colla parola;
ma questa non poteva dire di più, ed ecco
che 1 orchestra con quel fremito interrotto
ed ineguale vi dipinge il represso furore
di entrambi e presagisce inevitabile un rabbioso
duello. (1).
Già i brandi sono snudati; già balenano
diretti al seno l’uno dell’altro... Un suono
s’ode di funebre canto... I combattenti ristanno.
Il nome dell’adorata Giulietta risuona
in mezzo a quei lamenti... Cadono
l’armi di mano ai guerrieri rivali. Orbati
di lei anzi che darla, vorrebbero ricevere
la morte. Quanta disperazione, quanto impeto
smanioso in quella cappelletta (2)i
Come a proposito l’autore della musica
scelse una alternazione di parti anziché
una di quelle melodie che annunciate dall’uno
vengono al solito dall’altro attore per
intiero ripetute alla lettera! Come bene
l’orchestra con quell’arpeggio dei bassi e
coi contrattempi superiori esprime l’interna
agitazione, il palpito sommamente accelerato
del cuore!
Potrebbe forse sembrare debole l’espressione
della sorpresa che l’annunzio della
morte di Giulietta produr debbe sui due
amanti. Ma si osservi che se il maestro avesse
in qualche modo interrotto il periodo del
canto funereo per darvi maggior colorito,
non avrebbe fatto meglio; poiché ove l’affetto
è come qui sì irrevocabilmente necessario
che non si può dubitarne, un moto,
un gesto bastano a dimostrarlo, e ogni più
è dannosamente soverchio.
In quest’Opera quasi tutte le cantanti cui
spetta la parte di Romeo preferiscono il
(1) E qui c altrove noi facciamo l’analisi delle passioni
tali quali le intese il poeta, senza entrare nel inerito del
dramma la cui lode o censura a noi non s’aspetta.
(2) Ci facciamo lecito di dire cappelletta invece di cabballetta,
benché questo vocabolo sia più del primo usato.
A ciò ne induce l’opinione che il secondo derivi per
corruzione dal dialetto napoletano, essendo noto che in
Napoli come in Roma il volgo dice gabella per cappella
e gabbala per cabala e gabballetta per cabaletta o cappellctta.
D’altronde a tutti è noto che noi diciamo ancora
cappelletta a quel tempo binario per lo più allegro, con cui da più di un secolo si usò terminare i
pezzi musicali di qualche estensione.
esemj 5.° atto di Vaccai a quello di Bellini. L’uno
e l’altro racchiudono molte bellezze essendo
piene di affetto sì la poesia che la
musica. Ad onore del primo conviene
confessare che in molti tratti Bellini dovette
quasi copiarlo, e che il tratto con
cui dall’orchestra si prepara 1 arrivo di
Romeo sulla scena annunzia meglio (quanto
all’idea) il profondo inconsolabil dolore
che sta per esservi rappresentato. Ma più
che il preludio d’arpa ne piacerebbe un
sommesso mormorio d orchestra e quei
tratti che troviamo in quel di Bellini di
flauto e clarino isolati ed esprimenti quasi
una deplorata memoria. Qui v’è più che
mestizia,.e l’arpa se conviene ad un dolore
consolato almeno del pianto, è poi
inopportuna ove regna sì irrevocabile pensiero
di morte. In questi casi gli accompagnamenti
che appena fanno accorgere la
presenza dell’elemento armonia come nell’ultima
preghiera di Anna Bolena «Cielo,
a: miei, lunghi spasimi» ci sembra il migliore
perchè non distrae l’attenzione dal
soggetto principale. Il coro nel finale di
Bellini ne porge mezzo di far osservare
siccome alcuni modi del tutto antiquati
possono venir messi a profitto, quando non
siano barocchi, senza che il pubblico se ne
adonti. Infatti il primo periodo di quel
coro è talmente modellato, che così solo lo
direste appartenere almeno al secolo passato,
che in fatto di gusto melodico è
qualche cosa nell’opinione delle nostre
italiane platee (eppure questo fare di Bellini
non fu avvertito).
Pirata. - Aria Gualtiero «Nel furor delle
tempeste» e duetto «Tu sciagurato»
medesimo atto.
XXXVI. Nel primo di questi esempi abbiamo
la storia delia passione da cui è
agitato Gualtiero in mezzo a una vita tempestosa
come l’elemento su cui trascorre,
fattosi nemico de’ suoi simili; ma più infelice
che reo, la memoria di Imogene è una
luce che il consola; e quanto conforto appresti
all’agitata anima sua ve lo dice la
soavità della musica, la quale (senza parlare
della grazia di quella melodia di un
ideale aereo, indefinibile) col tono minore
del primo periodo dipinge l’abituale tristezza
in cui vive, col passaggio al tono
maggiore misto del secondo, la consolazione
cli’ei prova fermando la mente nel
pensiero di quell’essere virtuoso.
Tutta quest’aria ha un non so che di
patetico, di soave abbandono che vi fa
compatire a quell’infelice, e desiderargli
consolazione. 11 maestro seppe conservare
il carattere del personaggio in tutta l’Opera,
e farlo luminosamente apparire nel duetto
ch’egli ha poi con Imogene, e specialmente
nel modo onde concepì quel rimprovero
«Pietosa, al padre e meco - eri si
cruda intanto». Quella musica è più che
pianto, e somministra alla parola una potenza
che la fa risentire nel più profondo
dell’anima. Nè senza la più soave commozione
può udirsi la melodia piena di affetto
dell’allegro colle parole «Bagnato
dalle lagrime» melodia tanto semplice e
che pure fa intendere sì bene il valore
dell’azione generosa di Gualtiero, e vi
sforza sempre più ad amarlo.
XXXVII. Qui cade in acconcio di far
osservare come Bellini trovò nel suo cuore
© un genere di bellezze tutte proprie della
melodia che poi ben Intesero e Donizetti
e.Mercadante, delle quali citeremo alcun
esempio, onde dichiararle.
È di questo genere lo slancio che trovi
nell’adagio concertato finale primo Sonnambula
( D’un pensiero, d’un accento )
alle parole» Ah se fede in me non hai»
slancio in cui si può dire consista tutto il
hello di quella melodia, e in cui si contiene.
diremmo quasi, un intiero dramma.
E di questo genere la transizione che
troverai nel duetto, alto secondo, fra Belisario
e Irene alle pattile «Tal benedir (/nell’infelice» transizione che lutto ti ritrae
il calore, la tenerezza dell’affetto paterno.
E di consimile effetto potrai ravvisare nella
cappelletta del medesimo duetto la sospensione
che procede le parole» E degli occhi
ch’io perdei «e nell’aria del Robert
le Diable che incomincia Robert, toì (pie
j’aime, nell’attacco dell’intercalare «Giace
pour toi me me i>. Molti altri potremmo citarne.
ma ne sembra debbano bastar questi
pochi, e perchè facilmente si possono riconoscere
molti altri, e per dimostrare come
non siano ristretti ad un sol modo, ma s!
possano ottenere in più guise, e come
I elemento armonia possa concorrere a formarli
in un colia melodia, esclusa affatto
f influenza del ritmo se non è negativamente,
cioè una sospensione di ritmo.
(Sarà continuato)
li. Bouciiisnori.
STORIA DELLA MUSICA.
ORIGINE
lIEIiliA MUSICA IXCUIìSIASTICA
( P~. il N. 33 di questa Gazzetta ).
Durante il regno di Teodosio, la maniera
di canto adottata nella Chiesa orientale,
fu da santo Ambrogio introdotta in quella
di Milano, governata da lui dall’anno 574’
sino al 598 (ri. Questo prelato molto era
valente in musica, e veggendo egli che il
canto ecclesiastico era degenerato in gran
corruzione, deliberò di fermare un regolar
sistema, e compose quel canto che è stato
poscia contraddistinto col nome di Ambrosiano.
«A quest’epoca, dice santo Agostino,
fu ordinato che i salmi e gli inni
fossero cantati secondo la maniera de’ cantori
d’Oriente, acciocché il popolo potesse
pascere lo spirito durante il divino officio;
d’allora in poi questa maniera di cantare si
perpetuò a Milano ed è in seguito stata
imitata da tutte le Chiese della cristianità.» Questa salmodia produceva molto
effetto, poiché lo scrittore medesimo dice,
parlando delle sensazioni che egli provava
entrando in chiesa mentre che il coro cantava:
«Secondo che le voci si insinuavano
nelle mie orecchie, la verità penetrava nel
mio cuore e la pietà mi constringea a versar
lagrime di dolcissimo pianto».
Malagevole è dire che cosa fosse il canto
ambrosiano e in cbe differisse da quello di
san Gregorio, del quale siamo per tener
discorso. Il sig. Clioron all’erma cbe non
si può discoprire alcuna ragguardevole differenza
fra il canto della Chiesa di Milano
e quello delle altre Chiese cattoliche. Il
dottor Burney ha del pari osservato, sì
ascoltando i divini ullicii eseguiti a Milano,
sì nella lettura de’messali e delle opere
state pubblicate in questa città sul canto
fermo, che non può rilevarsi alcuna Importante
differenza fra il canto ambrosiano e
(-1) I.a musica delle Chiese (l’Oriente non era allora
quale è stata dappoi, in seguito della riforma operata
da’ Giovanni Damasceno che no cambiò il sistema e la
notazione. /•’.
quello che è in uso nelle altre Cattedrali
d’Italia e di Francia ove è adoperato il sistema
gregoriano. Quanto al canto, egli
soggiugne che quel poco che ne è stato
conservalo non basta per determinare accuratamente
qual fosse il suo carattere particolare.
Nondimeno, siccome egli era di
greca origine, era per avventura fondato sulla
divisione della scala per tetracordi, onde ogni
melodia de Greci era regolata. Generalmente
s ha per fermo cbe sant’Ambrogio
conservò i nomi dei quattro modi autentici
della musica delle Chiese greche, cioè:
il dono o tuono di re, il frigio o tuono
di mi, l’eolio o tuono di fu, e il missolidio
0 tuono di sol. Questi modi erano altresì
contrassegnati coi nomi de’numeri greci:
protos primo, deuteros secondo, tritos
terzo e tetratos quarto.
11 Te Deum hi, per quanto si dice,
opera di sant’Ambrogio. Altri affermano
che questo prelato lo compose in occasione
della conversione di sunto Agostino;
ma alcuni altri scrittori tengono cbe questa
fosse opera dell’uno e dell’altro di questi
due padri della Chiesa. In somma i diritti
ili sant Ambrogio alla composizione di
questo inno sono recati in dubbio. Uslior
1 attribuisce a Nieczio, vescovo di Treves,
cbe fioriva verso il 500; il benedettino editore
delle opere di santo Ambrogio non
dice che egli fosse l’autore ili questa composizione,
finalmente Cave e Stillinggfle
s’accordano dicendo cbe il Te Deum non è
nè di sant’Ambrogio nè di santo Agostino.
Del resto, chiunque sia l’autore di
questo bellissimo pezzo, egli non cessa però
di essere un monumento dei più ragguardevoli
del canto ecclesiastico cbe sia pervenuto
insino a noi. Pochi furono i cambiamenti
operati nel canto di Chiesa instituito
da sant Ambrogio sino al momento
in cui san Gregorio diede al canto la forma
clic ha conservata sino a nostri dì (1 )!
San G regorio nacque in Roma, intorno
all anno 550; ed era attenente a una famiglia
patrizia. Essendosi egli cattivata la
benevolènza dell’imperator Giustiniano, fu
nominato prefetto di Roma; ma parendogli
che la vita religiosa meglio fosse secondo
la sua vocazione, abbandonò quest’ufficio,
e dopo la morte di Pelagio primo, fu levato
alla sedia pontificale. Allora egli diè
mano ad operare una riforma nel canto di
Chiesa. A tal fine egli aumentò il numero
dei modi stabiliti da sant’Ambrogio, e
in luogo di soli quattro, li recò sino a otto;
diè bando ai canto figurato come troppo
frivolo e leggiero rispetto alla Chiesa, riunì
i frammenti musicali degli inni e dei salmi
stati approvati dai primi padri della Chiesa,
ne fece una scelta e li classificò in un ordine
che fu tosto adottato dalle principali
Chiese dell’Occidente, e che fu lungo
tempo seguito a Roma. Questo pontefice
instiluì una scuola di canto che fiori per
ben tre secoli dopo lui. Egli sostituì del
pari le lettere romane ai segni più complicati
de’Greci per la notazione, in guisa
che le lettere majuscole A, B, C, D, E, F,
e G rappresentavano le prime sette note
gravi incominciando dal la, le medesime
lettere, minuscole, le sette note seguenti,
e finalmente le medésime lettere raddoppiate,
le sette note acute.
I quattro nuovi modi introdotti nel canto
furono chiamati piagali o relativi o collali)
Qui sopprimiamo un tratto della storia del signor
Stafford nel quale l’autore commette il grave errore di
affermare che il calilo figurato fosse nella Chiesa introdotto
prima di san Gregorio. ter ali. La differenza che v’ha fra questi e
i quattro mòdi autentici è che in quest ultimi
la melodia è circoscritta alf estensione
di otto note delle quali la nota del tuono è la
più grave come di re a re. di mi a mi. ecc.,
mentre che ne piagali la nota del tuono
è contenuta nelle otto note di ciascun
tuono, incominciando dalla quarta inferiore
come di la a la nel tuono di /e, di si a
si nel tuono di mi. ecc. Per cagione dell’innestamento
de*modi piagali, l’ordine
numerico degli autentici fu cangiato di sorte
che questi divennero il primo, il terzo, il
quinto e il settimo, e piagali furono il
secondo, il quarto, il sesto a l’ottavo.
(Sarà continuato).
SOLENNITÀ MUSICALE*
nel «li luglio 1342 «Bruxelles.
II sig. Fètis concepì, non ha molto, l’idea di solennizzare
il giorno commemorativo dell’inaugurazione di
Leopoldo Re dei Belgi, con una gran festa musicale.
Egli si prese cura di procacciarsi un copioso numero di
esecutori cantanti c suonatori e di solisti di gran fama,
fra i quali si annoverano i signori Liszt, Artót, de Bériot,
Mossart, Geraldy e madama Damorcau. Il coro era composto
del copioso insieme di trecento e venti voci, come
ben si conveniva al vasto locale dato a questa solennità;
il quale è una Chiesa soppressa, che noi abbiamo descritta
già al N. 28 di questa Gazzetta. Le navi inferiori
e le gallerie espressamente costrutte erano stipate di una
folla di oltre a tre mila uditori e il coro conteneva gli
esecutori che erano più di cinquecento persone. Sopra
tutto si è ammirata una straordinaria esattezza di esecuzione,
del che si dee la lode all’abilità di un tanto
direttore. Si è incomincialo colla sinfonia in la di Beethoven,
capolavoro in questo genere di musica; e tale è stata
l’aggiustatezza ed unione dei cento ottanta suonatori che
l’hanno eseguita, che Liszt ebbe a dichiarare non averla
mai meglio sentita nè anche al Conservatorio di Parigi.
In somma ogni minima sfumatura nel piano ed
ogni piccolo accento nel vigoroso e formidabil forte si
sono rilevati con maraviglia e soddisfazione d’ognuno.
Artòt ha suonato un suo nuovo concerto stato assai
ammirato specialmente in un rondò che vi è di uno stile
tutto elegante, ed ha fatto prova di progresso nell’esecuzione.
Madama Damoreau ha quindi egregiamente
cantato l’aria con variazioni della Cenerentola. Il duetto
del Maestro di cappella che essa ha cantalo con Geraldy
ha fanatizzato l’uditorio. È da notarsi che Liszt ne era
accompagnatore al pianoforte, e che il sig. Fótis voltava
le carte della partitura. L’unione di questi quattro artisti
ad ollìcii cosi differenti non ha potuto sfuggire alla
considerazione cagli applausi del pubblico. La bella scena
di Assur nella Semiramide è stata ottimamente cantata
dal sig. Geraldy. La seconda parte si è incominciata con
una fantasia del sig. Haussens, sopra alcuni motivi di
arie fiamminghe messe ad orchestra con grande abilità
di istromentazjonc. Poscia alcuni frammenti del Giudizio
universale di Sehncidcr e della Conversione di
san Paolo di Mendelssohn sono stati cantati a pieno
coro, con esecuzione veramente perfetta. Terminando
con Liszt, riporteremo le parole della Gazzetta Musicale
di Parigi, la quale dice, che non avrebbe la lingua
epiteti di lode per gli altri, se da lui si fosse cominciata
la relazione del gran concerto di Brusselles.
Egli è sempre nuovo, trasformato, superiore a sè stesso.
Egli ha suonalo la sua fantasia sul Don Giovanni, ed
è stato coperto d’acclamazioni e di fiori. Brusselles,
mercè le cure del sig. Fótis, diverrà presto una delle
città più musicali dell’Europa. L’incasso di questo concerto,
netto da spese, è stato versato nella cassa de’poveri.
NOTIZIE VARIE.
— In questo mese (così la France Musicale)
vi lia molta attività fra gli editori
di musica parigini. Si fecero molte pubblicazioni
t ma poche cose buone fra queste.
Però è da menzionare specialmente un
Traité des principes élémentaires de la |nusic/ue
del sig. Blondeau.
Il sig. Sehlessinger pubblica nel formato
cf8.° il Fidelio di Beethoven, le
Deux Journées, Richard Coeur de Dion,
L’Eclair, le Nozze di Figaro, il FrejschïUZy
ecc. Non saranno mai abbastanza incoraggiate
questa specie di pubblicazioni
a buon prezzo tendenti a popolarizzare il
gusto della musica ispirata e meditata
ad un tempo. Vorremmo che l’esempio
del sig. Sehlessinger venisse pure imitato
- do2
da qualche nostro editore, che sarebbe
questo uno dei buoni mezzi da usarsi per
vincere il pregiudizio di molti nostri dilettanti
e professori, i quali si sforzano a persuadere
sè stessi e gli altri non essere al
mondo altra buona musica fuorché 1 italiana.
Noi abbiamo già le cento volte detto
altamente clic i capolavori dei nostri grandi
maestri sono da proporsi, a preferenza
di quelli de’maestri stranieri, quali modelli
a’ nostri compositori per quel che è della
spontanea ispirazione melodica, purezza
d’espressione, chiarezza di frase, ecc. Ma
ad un tempo ci siamo chiariti fermamente
persuasi che l’educazione musicale de’ maestri
italiani del tempo nostro non potrà
compirsi senza che abbiano bene e seriamente
studiato quanto avvi di imaginoso,
di sentito e di pensato nelle Opere principali
del teatro tedesco e francese. Colla
agevolata propagazione di questo studio
per mezzo della stampa delle partiture in
formato economico dei capolavori melodrammatici
oltremontani si otterrebbe di distruggere
a poco a poco quel grossolano errore,
troppo comune tra noi, il quale fa credere
essere, nella musica tedesca in ispecie,
una medesima cosa fastrusa e pedantesca
elaborazione scientifica e la pensata
e vivamente sentita sapienza armonica
stroinentale. La prima non è che il distintivo
della pedanteria e il rifugio degli ingegni
freddi e mediocri; la seconda è il
retaggio del genio coscienzioso che, non pago
dei doni effimeri di una naturale ispirazione
quasi diremmo sbadata, adopera ad avvigorirli
col prestigio di quell’altra specie di
invenzione, che è il frutto della cultura
dell’intelletto, della meditazione e dello studio
sui grandi esempi!.
Ma su questo argomento torneremo a
miglior tempo e con più agio. Queste poche
parole valgano intanto quale indiretta risposta
a quel critico che nel parlare del
Nabucodonosor di Verdi, uscì in tuono
patetico a lamentare un tal quale eclettismo
musicale da lui ultimamente riprovato,
e che in verità noi non sapremmo dire
in che consista e come sia a definirsi o se
mai sia stato definito!
— Lunedi scorso 8 agosto doveansi riprodurre al gran
teatro dell’Opera a Parigi, gli Ugonotti di Meverbeer.
Quest’Opera del gran genere drammatico, fu ormai offerta
all- ammirazione delle principali città della Francia e
della Germania. L’Italia, se ne eccettui Firenze, ove fu
udita con non poche inconcepibili modificazioni e alterazioni,
non potè ancora gustarla. Speriamo che l’accorta
Impresa della Scala saprà quanto prima produrla a Milano
con quella scrupolosa diligenza c zelo che si richiedono
per simili tentativi.
— Mercoledì 3 agosto ebbe luogo a Parigi, nella chiesa
di Aòtrc-Dame, la cerimonia funebre in onore del Ducad’Orleans.
Invece del Requiem di Mozart si cantò solamente la
messa a canto fermo. «11 canto fermo (così scrisse un
giornale parigino semi-officiale ) era infinitamente meglio
appropriato alla gravità di questa trista cerimonia.
Gli amici intelligenti delia vera musica sacra e dell’arte
cristiana in generale, vedranno in questa misura
un tentativo di ristaurazionc dell’antico canto ecclesiastico.
Lo stile pagano è generalmente abbandonalo nella
costruzione delle nuove Chiese. Lo stile cristiano deve
essere del. pari rimesso in uso negli ullìcii e nei canti
religiosi. È giusto che il canto fermo risalga in onore al
tempo stesso che nell’architettura è rimessa di moda
V ogiva, od arco a sesto acuto.»
À queste parole così risponde la Franco Musicale
«Questo breve articolo è troppo importante per la
sua tendenza retrograda perchè un giornale di musica
Io lasci correre senza risposta. Per adesso però noi
non ci limiteremo che a poche parole proponendoci di
tornare sull’argomento medesimo allorachè saranno
estinti i ceri intorno al reale defunto. Volere che l’arte
faccia un passo retrogrado è negare il progresso, e per
l’uomo fermarsi è morire. L’autore semiufficiale del
suddetto articolo ignora d’altra parte che il canto fermo
è contemporaneo dell’Archittetura romana e non dell’ogiva. Alloracchè I’ ogiva si introdusse nell’Architettura
la musica religiosa aveva cangiato di carattere; essa
era ciò clic fu fino a Palestrina, e quasi diremmo fino
a Rossini, se non temessimo di svegliare delle antiche
dispute sopite.»
— Un giornale parigino ebbe ad affermare che se non
si eseguì veruna musica ai funerali del Duca d’Orleans,
ciò fu per risparmio di spese, dacché i cantanti del
Grand-Opéra avevano fatta domanda (l’un pagamento
esorbitante. La Gazzetta Musicale di Parigi smentisce
questa voce ed assicura che se la musica non fu ammessa
nel servigio funebre ciò ebbe cagioni che non
hanno nulla di comune coll’economia, nè con altro.
— Nel Conservatorio di musica di Brusselles hanno
avuto principio i grandi concorsi il 27 luglio. Madama
Damorcau, la celebre cantante, era nel novero de’ giudici
de’ concorsi.
— La Gazzella Musicale di Parigi comparte elogi al
sig. Giuliano Martini per la seconda sua messa solenne
ultimamente composta ed cseguitanella chiesa di SaintGermain
V Auxerrois: «E questa una composizione notevole
sotto tutti i rapporti: pura e scelta ne è la melodia;
severamente religioso Io stile, ricca e piena di maestà
l’armonia. Quest’opera colloca il giovine maestro di cappella
al fianco de’ buoni compositori di musica sacra».
Questa nostra Gazzetta si fa un dovere di non passar
mai sotto silenzio il menomo fatto chea lei sin noto
pel quale appaia essere tenuta in conto sia in Italia sia
fuori la musica sacra sì bisognevole de’ buoni ullìcii dell’arte
e della critica.
— 1124 luglio si riaprì il gran, teatro di Bordeaux colla
Favorite del nostro Donizetti.
— Il signor Adolfo Adam, autore della graziosa Opera
comica francese Le Poslillon de Lonjoumeaux, lavora
seriamente a una nuova Opera in tre atti che si eseguirà
quest’inverno al teatro dell’Opéra Comtque.
II signor VogcI, autore del Jugement dernier, del
Ange dechu, del Satan c di altre bellissime Melodie,
pubblicate dagli editori parigini, si propone di tentare le
sorti del teatro c vuoisi che quanto prima scriverà per
l’Opéra comique. Dicesi quindi che un celebre librettista
sta terminando per Ini un poema in un atto che non
sarà privo d’importanza.
M OIE PEBBLICmOM MUSICALI
DELl’i. n. STABILIMENTO NAZIONALE PRIVILEG.0
DI UIUVIWI RICORDI.
LINDA DI CHÀMOUNIX
MEL ©imAMMA IN TRE ATTI
Parole «li G. 15ossi
MUSICA DEL M.°
Sono pubblicati i seguenti pezzi ridotti per Canto
con accompagnamento di Pianoforte
Scena c Romanza, Ambo nati in questa valle,
per B Fr. 2 —
Coro e Ballata, Per sua madre, per C...» 2 50
Scena e Duetto, Da quel dì, per S. e T.. * 3 50
Scena e Duetto, Quella pietà sì provvida, per 2 B.» 3 25
Scena e Duetto. Al bel destin, per S. e C..» 2 50
Scena e Duetto, Io vi dico che partiate, pcrS. eB.» 5 50
Gran Scena‘del delirio, A consolarmi, per S. e C.» il 50
Verranno in seguito pubblicati gli altri pezzi.
EOHDI3JO
titan- te Pinno
SL’Il DES THÈMES TAVOBIS DE l’oPÉIU
iti! DOjVIZETTI
QtiraM m
PAR
iiài sui
Op. 7. - Fr. 2. 75
l>eiu’ te Pittino seni
SUB DES MOTIFS PAVOKIS DE l’oPÉBA
DE e. nil.VIXlìTTI
I11M 31 ®3LAI[tì®MX
PAR
FR. ’ILI. CKOTES
Op. 55. - Fr. 2 75.
LE 31 ibi E 3IORCE AUX
ìione te Pinna ti tgwtti-e tnnins
Fr. 4 75.
(flOVAXII RICORRI
EDITORE-PROPRIETARIO.
Rail’I. R. gtaliiliiuento Nazionale Privilegiato
ili Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale ili CIO VANNI RICORRI.
Contrada degli Omenoni iY 1720.