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VIII
PALINODIA
Giá menzognero e stolto
biasmai, vecchia gentile,
il tuo sen, la tua chioma e ’l tuo bel volto.
Or, cangiando pensier, vo’ cangiar stile
e farti udir d’ogni menzogna mia
una palinodia.
Tu cortese m’ascolta, e mira intanto
vòlto in gloria il tuo scorno e ’l biasmo in vanto.
D’argento è la tua chioma,
ma pur cosí d’argento,
piú che se fosse d’òr m’allaccia e doma;
ed o sia chiusa in treccia o sciolta al vento,
piú che se fosse d’òr, m’alletta e piace;
e d’argento è la face
e la saetta insidïosa e vaga,
che l’anima m’incende e ’l cor m’impiaga.
La tua fronte serena,
che fu giá di beltade,
sparsa di bianchi fior, piaggetta amena,
dal freddo aratro de la vecchia etade
solcata è, sí, ma con quei solchi sui
produce ai cori altrui
di diletto e di duol confuse e miste
soavi biade e rigidette ariste.
Le tue ciglie falcate,
l’inarcate tue ciglia
ond’han gli Amori ancor le destre armate,
sembrano (oh meraviglia!)
inutil arme e fragili stromenti;
ma piú che mai possenti
sen van co’ loro arcieri e mietitori
mietendo l’alme e saettando i cori.
Le tue luci leggiadre
languiscon, ma languendo
non restan giá d’esser rapaci e ladre,
o di far sí ch’io non languisca ardendo.
Son vecchie; ma sent’io sempre per loro
giovane il mio martoro,
ed ai lor giri il prencipe degli anni,
fatto stupido amante, arresta i vanni.
Pallidetto ed esangue
nel tuo languido viso
co’ suoi vecchi augelletti anch’egli langue
de le Grazie e d’Amore il paradiso;
ma pur non men leggiadro e non men dolce
l’anime alletta e molce,
né dopo la lor morte i cor piagati
che volano lassú fan men beati.
La tua bocca rosata,
bel tesoro de’ baci
e del parlar soave arca animata,
non teme de l’etá l’unghie rapaci;
ma con la sua ricchezza fuggitiva
restando ognor piú viva,
con chi baciarla suole ed ascoltarla
dolce piú che mai fosse, or bacia or parla.
Il tuo candido seno
di bei pomi lascivi
lieto orticello e giardinetto ameno,
dolci non men né men leggiadri e vivi
scopre, benché sian vecchi, i frutti suoi;
ma serba ancor tra noi
l’antico stile, e con suo pregio eterno
sprezza del tempo la tempesta e ’l verno.
La tua man bella e bianca,
tocca da la vecchiezza,
sembra dal lungo saettar giá stanca;
ma languendo non langue e di bellezza
alcun vanto non perde, anzi n’acquista,
e ben quest’egra e trista
anima il sa, che se per lei dolente
sentiva un colpo giá, mille or ne sente.
Crespa hai la gola e crespe
le guance e crespo il petto,
ma son, mercé d’amor, quelle tue crespe
trofei di leggiadria, non di difetto;
e qual piú bel con crespo volto il mare
sedendo in calma appare,
tal tu, mar di beltá, con crespa faccia
mostri ai nocchier d’amor la tua bonaccia.
Sí, sí, bella mia vecchia,
vecchia sei ma leggiadra,
e nel tuo bel la gioventú si specchia;
tu sei vecchia guerriera e vecchia ladra,
che in pugnar e rubar sai piú d’ogni altra
esser possente e scaltra;
teco Amor pargoletto invecchia, e vuole
teco invecchiando incanutire il sole.
Canzon, sen vola il tempo,
ma non temer però le sue quadrella,
ché diverrai ne l’invecchiar piú bella.