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L'ineluttabile (Miss Geraldina)
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L'INELUTTABILE.

(Miss Geraldina).


Miss Geralda Fitz-Gèrald, di Gèrald Castle nel Somerset, per diminutivo vezzoso chiamata miss Geraldina, passava nove mesi dell’anno in Italia, e gli altri in viaggio sempre altrove che in Inghilterra. Miss Geraldina non amava punto il suo paese e non vi ritornava che malvolentieri, una volta l’anno, per tre o quattro giorni. Faceva i conti coll’intendente, firmava i nuovi contratti coi suoi affittaiuoli, visitava Gèrald Castle, visitava la sua vecchia matrigna lady Hilda Brosborough, visitava il cimitero dove dormivano suo padre, sua madre e tutti i Fitz-Gèrald suoi antenati, lasciava una grossa elemosina al Pastore, e partiva senza aver voluto vedere nessuno. Miss Geraldina era ricca, possedendo per sè sola ottantamila lire di rendita; era senza fratelli, senza sorelle, senza parenti poveri che la seccassero, e a ventotto anni, era perfettamente libera di andare, venire, viaggiare, dove le paresse e piacesse. Miss Geraldina conosceva e parlava cinque lingue; aveva studiato il canto, il pianoforte e l'arpa; era un'acquarellista molto abile; aveva molto spirito e lo manifestava in tutte le forme: dallo spirito secco e caustico allo spirito placido e bonario. Miss Geraldina aveva delle idee. Miss Geraldina pensava.

Miss Geraldina a diciotto anni pesava novantacinque chilogrammi, a ventidue ne pesava cento, a ventotto ne pesava centoquindici. A centoquindici si era fermata da un anno e pareva che non ingrassasse più. Era naturalmente e mostruosamente grassa. Aveva la diffusione eguale e permanente della grassezza, per tutta la persona; l'uniformità del grasso; era un grasso coscienzioso ed onesto che si allargava dapertutto, senza parzialità. Grasse le braccia, come le spalle; grasse le mani come i piedi, grasse le guancie come il collo.

In questo modo, a prima vista, non si distinguevano le forme del suo corpo, ma si percepiva confusamente una massa informe, semovente a stento: un testone grosso, grasso e rotondo, quasi affogato nelle spalle che salivano: sulla testa un treccione nero, che per quanto fosse folto, pareva miserabile, come una corda sdrucita. Gli occhietti neri, vivaci, troppo piccoli, scomparivano nel grasso della faccia, sembravano due bucherelli neri; il naso rotondo, come senza ossa, lucido, polputo nelle nari, era sommerso fra le due masse carnose delle gote. La bocca troppo piccola, troppo infantile, era sempre un po' schiusa di traverso, per respirare: un primo mento piccolo, bambinesco, giaceva sopra un secondo, largo come una collana. Di collo solamente una linea. Poi un corpo quadrato, largo, senza linea di cintura, senza curva di fianchi, con due grosse travi per braccia, con due masse di grasso per mani, un grasso roseo, tutto pieno di fossette. Nessuna curva, nessuna linea spezzata. Il cubo — e nient’altro.

A cagione di questa sua formidabile persona, miss Geraldina non poteva fare moltissime cose che le altre ragazze fanno. Non poteva, per esempio, vestirsi in nessun altro modo, che con una larghissima veste da camera, in lana, a pieghe profonde, serrata con un cordone dove avrebbero dovuto essere i fianchi: veste senza ornamenti, senza balze, monacale. Le erano inibiti la seta, il raso, il velluto che disegnano le forme; i merletti che ingrossano la persona. Questa veste doveva essere per forza nera, o molto scura; sarebbe stato ridicolo portare un colore chiaro, che raddoppia le proporzioni. Di goletti in merletto, di cravatte a cappii vistosi, non se ne parla: la straziavano. Appena una linea di goletto, dritto, in tela bianca: e spesso per quello stringimento, le saliva il sangue alla testa, il viso si faceva scarlatto e il naso cremisi. Pei cappelli, era un affar serio; piccoli, erano ridicoli; grandi, ridicolissimi: non si trovava una forma che le andasse, senza sfigurarla troppo. Miss Geraldina aveva finito col portare una cuffia in velo nero come le portano le vecchie nonne. Aveva da tempo rinunziato a tutti gli ornamenti, fiori, piume, nodi di nastro, gioielli, spilloni: poichè tutte queste cose minute ed eleganti erano sproporzionate a quell’adipe. Così non poteva portare gli stivalini bizzarri, dalla suola inarcata, dal tacco svelto: non ci si reggeva sopra, e portava le scarpe di panno, molto forti, a doppia suola e senza tacco. Così non poteva infilare quelle dita simili a salsicciotti nei guanti di seta, di camoscio, di capretto, poichè li faceva crepare su tutte le cuciture; invece portava i mezzi guanti di filo nero, quei mezzi guanti borghesi che servono a deformare la mano.

Naturalmente miss Geraldina non andava mai al ballo, poichè sarebbe stato buffo, solamente l’immaginare quella massa in giro per un waltzer. Buffo e spaventoso. Non potendo usare altra acconciatura che il suo sacco di lana nera, ella non andava ai concerti, non andava a nessuno spettacolo pubblico, dove la toilette è di obbligo. Che lei cantasse, che lei suonasse il pianoforte, che lei suonasse l’arpa, nessuno poteva saperne nulla, poichè niuno pensava che un elefante mormorasse le romanze di Tosti, che un elefante facesse scricchiolare la sedia del pianoforte ed i tasti, per suonare una polka di Chopin, che un elefante osasse sedersi presso l’arpa e abbracciarla e trarne suoni divini. Alle esposizioni non andava, poichè non poteva molto camminare e le poltroncine giranti non la contenevano; così non andava mai a visitare i musei. In conversazione non andava, poichè il moto di stupore e quello di terrore talvolta, d’ogni nuova presentazione, erano cose non destinate a farle buona impressione. Non usciva se non in carrozza, una carrozza speciale, bassa di montatoio, larga di cuscini, dove lei si distendeva, sola, in tutto il torpore della propria persona.

Naturalmente miss Geraldina non aveva amiche. Nel suo passato giovanile due o tre disinganni amari le avevano fatto intorno questa solitudine femminile. In fondo all’affetto di tutte le sue amiche essa aveva trovato, o la falsità, o la compassione. Ed anche la compassione, per quanto ella sopra i nervi avesse quel settemplice strato di grasso, non le andava a’ versi. Poi il paragone delle donne sottili, magre o anche grassottelle ma gentili, non era fatto per allietare il suo spirito, ed essa aveva, a poco a poco, ferite una ad una le amiche, con la sua acredine. Tutte si erano allontanate, mormorando: “quella specie di mastodonte sembra buono, ma è maligno.„

E neppure gli uomini amava miss Geraldina. Sfuggiva la loro compagnia, sempre, dovunque; sfuggiva le presentazioni, le nuove conoscenze. Essa non credeva alla loro bontà, quando le si mostravano premurosi e cortesi: pensava che lo facessero per interesse e li disprezzava; pensava che lo facessero per pietà e ne aveva sdegno. Forse, preferiva quelli che la burlavano apertamente, che la guardavano con aria ironica, che la squadravano fra loro, additandosela e soffocando le risate. Mai miss Geraldina si sarebbe maritata. A farle la corte, non pensava nessuno. In verità era troppo enorme perchè si potesse concepirla maritata. La cieca ispira una gentile pietà, la gobba ha lo spirito e la malignità per sè, la zoppa può dissimulare il suo difetto, tutto può essere nascosto o attenuato, ma l’esagerazione del grasso non si nasconde, non si attenua. È ridicolo. È ridicolo per ogni chilogrammo, per ogni palmo, per tutta la sua estensione, per tutta la sua enormità. È ridicolo ed è volgare. E per quanto le ottantamila lire fossero lì per sollievo, niuno osava affrontare tanto ridicolo e tanta volgarità. Miss Geraldina lo sapeva; richiesta, avrebbe rifiutato. Ma non la chiedevano.

Così questa giovane miss inglese viveva singolarmente, in Italia, a Sorrento, in un albergo, dove aveva bisogno di sedie fatte apposta, di letto fatto apposta, tutto vasto, tutto solido. Pranzava nella sua stanza, sola; leggicchiava storie d’amore che non la riguardavano e versi che nessuno mai le avrebbe mormorati; canticchiava ritornelli amorosi; dipingeva all’acquerello qualche veduta di Sorrento; sempre sola. Non scriveva mai, perchè non doveva scrivere a nessuno e perchè scrivere le faceva venire l’affanno. Non cuciva nè ricamava perchè era inutile. Non piangeva perchè non aveva per chi piangere; non rideva, perchè il suo destino era di far ridere.

Questa miss Geraldina Fitz-Gèrald di Gèrald Castle nel Somerset, morì a trentaquattro anni, dopo due anni di una crescente malattia di cuore, che le toglieva il respiro. È la malattia dei grassi. Di rossa divenne gialla; invece di dimagrare si gonfiò tutta. Nell’albergo dove morì, dovettero ordinare una cassa grandissima per chiudervela dentro. Io l’ho vista questa morta. Sulla larga faccia, simile a quella di certi angioloni di marmo diventati gialli col tempo, sulla larga faccia bonaria stava il rancore doloroso di un essere innocente, inoffensivo, colpito da una grande ingiustizia.

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