< I Salmi di David (Diodati)
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SALMO CI SALMO CIII

SALMO CII.

1          Ascolta il prego mio,
     Caro Signor, e a te pervenga al cielo
     Il grido che t’invio.
     La faccia non celar d’un fosco velo:
     Mentre d’affanno anelo,
     A me l’orecchio inchina.
     La tua mercè divina,
     Qualor ti fo l’acerbe doglie conte,
     Mi die risposte grazïose e pronte.
2          Ratto si dileguaro
     I giorni miei, come fumo e vapore:
     L’ossa mie si seccaro,
     Qual arsiccio tizzon, privo d’umore.
     Fummi percosso ’l core;
     E come erbaggio passo,
     Fu d’ogni vigor casso.
     Mi fer l’angosce amare, ond’io m’accoro,
     D’ogni cibo obliar l’almo ristoro.
3          Pe’ sospiri infocati
     Son gli ossi, del natío succo rasciutti,
     A la pelle attaccati.
     Qual gufo o pellican in ermi brutti

     Piango, ne’ fieri lutti.
     Le luci il dolce sonno
     Giammai gustar non ponno.
     Al passer solitario sopra ’l tetto
     Nel gemer i’ rassembro ansio del petto.
4          Oltraggi, strazi e scorni,
     I mie’ nemici, contra me rabbiosi,
     Mi fanno tutti i giorni.
     Di maladir i modi dispettosi,
     Da’ mie’ casi dogliosi,
     Prendon con furie insane:
     Perchè ’n vece di pane
     La sozza polve e cenere ho mangiata,
     E co’ pianti la mia coppa adacquata.
5          Perchè, di sdegno acceso,
     Tu m’hai, Signor a basso traboccato,
     Ed in terra disteso:
     Appresso avermi in glorioso stato
     Innanzi sollevato.
     Qual ombra vespertina,
     La vita mia dichina.
     Ed i’ mi struggo, spasimato, in guisa
     De l’erba ch’arde il sol, falce ha recisa.
6          Ma tu, Signor, dimori
     Immutabile e immoto in ogni etade:
     I memorandi onori
     Son sempiterni di tua Maestade.
     Sorgi ed abbi pietade
     De la cara Sione,
     Ch’è matura stagione
     Che ’n lei spieghi le tue grazie divine,
     Omai ch’è giunto l’assegnato fine.
7          Perch’a’ suoi sparsi sassi
     Hanno i tuo’ servi l’affezion rivolta:
     Piangendo che la lassi
     Negletta in polve e cenere sepolta.

     Le genti in schiera folta
     A te, Signor, verranno,
     E ti riveriranno.
     Anche del mondo tutti i prenzi e regi,
     A te daran d’eterna gloria i pregi.
8          Quando ’l Signor la mano
     Avrà messa a rifar Sion diserta,
     E del regno sovrano
     Al mondo svelerà la gloria aperta
     Qualor fie, che converta
     Gli occhi a la prece ardente
     De l’afflitta sua gente.
     E racquetato più non abbia a schivo
     Il suo pregar di zelo acceso e vivo.
9          A la gente futura
     Ciò fie scritto per fida ricordanza:
     Onde l’età ventura
     Ti renderà di laudi l’onoranza.
     Che da la santa stanza
     Del cielo tuo sublime,
     Le parti basse ed ime
     Mirar ti piacque, con i lumi desti,
     E de’ fedeli tuoi cura prendesti.
10          Perch’ad udir ti pieghi
     De’ carcerati i gridi dolorosi:
     E que’ liberi e sleghi,
     Che dura morte aspettan angosciosi:
     Onde cantin gioiosi
     In Sion le tue lodi:
     Ed in festivi modi
     Sienti in Salem sacrati i pregi degni,
     Quando a servir verranti e gente e regni.
11          Ei m’atterrò tra via,
     E le forze fiaccò, sì che repente
     Scorciò la vita mia.
     Onde porsi al mio Dio prece dolente,

     Deh, non far me languente
     D’aura vital diviso,
     A mezzo corso anciso.
     Tu sol eterno Dio, sol anche puoti,
     Per tua grazia eternar i tuo’ devoti.
12          Tu de la terra il pondo
     Ne l’imo centro hai posto e stabilito:
     Del cielo, a tondo a tondo,
     Con le mani formasti il circuito.
     Pur fie tosto finito
     L’esser de’ tuoi lavori.
     Ma tu, Signor, dimori,
     Mentre invecchiati, come un vestimento,
     Quelli trapasseran in un momento.
13          Lor forma muterai,
     Come si cangia logorata veste.
     Ma tu sempre sarai
     Stabile e uguale: n’unque fie che reste
     Il viver tuo celeste.
     Anche de’ tuoi famigli
     Avran la stanza i figli
     Del cospetto divin al vivo sole,
     U’ sarà ferma senza fin lor prole.

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