< I Salmi di David (Diodati)
Questo testo è stato riletto e controllato.
SALMO XXVIII.
SALMO XXVII SALMO XXIX

SALMO XXVIII.

1          Signor, non restar cheto,
     Mentre ch’a te pietosamente grido:
     Dammi, o mia Rocca eccelsa e schermo fido,
     L’aiuto consueto.
     Che negletto talor non sembri quelli,
     Che scendon negli avelli.
2          La fioca voce ascolta
     Del mio dirotto ed angoscioso priego,
     Con che le doglie a te del cor ispiego;
     Con la faccia rivolta,
     Le palme aperte a quell’arcana seggia
     De la sacra tua reggia.
3          Non voler trarmi in giuso,
     Con que’ cui il mal oprar diletta e giova,

     Il cui pensier tuttor perfidie cova.
     E, per lusinghier uso,
     A chi s’accosta a lor parlan d’amore,
     Pien di veleno il core.
4          Dà loro il giusto merto
     De l’opre de le lor malvage mani.
     Però ch’a’ fatti del Signor sovrani,
     Non hanno l’occhio aperto,
     Gli spignerà la vendetta divina
     In estrema ruina.
5          Diamo al Signor la lode
     D’alma bontà, che le mie preci udio.
     Esso è il valor, lo scampo e scudo mio,
     In cui fidarsi gode
     Omai il mio cor, disciolto in gaudi e canti
     Per dargli onori e vanti.
6          Del suo santo legnaggio
     Esso è la forza, esso è l’alto riparo,
     E la salvezza de l’Unto suo caro.
     Deh, salva il tuo retaggio:
     Pasci ’l Signor, col tuo favor superno,
     E l’alza in sempiterno.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.