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In Francia, sotto il governo di Luigi Filippo, fu mandata una grande ambasciata in Cina, e a capo di
quella grande ambasciata era il signor di Lagrenée. Non c’era ancora in quel tempo il telegrafo elettrico,
e mettevano nei giornali a mano a mano che arrivavano le notizie che l’ambasciatore mandava
al governo.
Venne un giorno una lettera del signor di Lagrenée da Pechino, in cui diceva di essere stato invitato dal primo ministro dell’Imperatore celeste a un grande banchetto.
Lo «Charivari», che faceva allora le delizie dei parigini, rappresentò quel banchetto. I ministri e i grandi dignitari, colle facce le più cinesi possibili, stavano seduti sospendendo il mangiare per guardar tutti l’ambasciatore francese, che aveva sulla forchetta la metà posteriore di un cagnolino arrosto, con una faccia di quelle che Gavarni solo sapeva delineare.
Il ministro fa domandare dall’interprete al diplomatico francese:
«Signor ambasciatore, non piace il cane ai francesi?».
L’ambasciatore, sempre con quella faccia di cui dopo la morte di Gavarni si è perduto il segreto, risponde:
«Sì... per le sue qualità morali!».
In Cina, secondoché riferiscono i viaggiatori anche più recenti, si fa sempre un grande consumo alimentare di carne di cane. Questa carne è in mostra colle altre, girano per la città macellai che portano cani uccisi, e non hanno poco da fare a difendersi dalle persecuzioni dei cani vivi.
Il Buffon, parlando dei cani nudi della Guinea, impropriamente chiamati cani turchi, dice che sono mangiati dall’uomo, e che i negri preferiscono la carne di quei cani a quella di ogni altro animale, e soggiunge:
«Si portano quei cani in vendita sul mercato; si pagano un prezzo più elevato che non sia quello delle pecore, delle capre, e anche di qualsiasi selvaggina; in una parola, il cibo più gustoso di un convito per quei negri è un cane arrosto. Si potrebbe credere che il grande compiacimento con cui si mangia da quelle popolazioni la carne di questo animale provenga da ciò che questa carne, la quale nei nostri climi temperati è un pessimo cibo, forse in quei climi ardenti abbia acquistato un altro sapore. Ma c’è una cosa per cui sono indotto a pensare che il fatto dipenda piuttosto dalla natura dell’uomo che non da quella del cane, ed è che i selvaggi del Canadà, i quali vivono in un paese freddo, hanno per la carne del cane quel medesimo gusto che hanno i negri, oltreché i nostri missionari qualche volta ne hanno mangiato senza ripugnanza. Il padre Labord Theodat dice: "Io mi sono trovato qualche volta a dei banchetti con carne di cane. Confesso, per verità, che in sul principio ciò mi faceva orrore; ma appena ne ebbi mangiato due volte, trovai quella carne buona e di un sapore alquanto somigliante a quello della carne di maiale"».
Il Bosmann dice che in Africa, sulla Costa d’Oro, si fa impinguare a bella posta il cane e se ne smercia sul mercato la carne macellata, che vi si preferisce a ogni altra. In Angola, per un cane da macello bene impinguato, si danno qualche volta, da un buon gustaio, parecchi schiavi. Nella Nuova Zelanda e nelle isolette del Mare del Sud la carne del cane è cibo più ghiotto che non sia quella del maiale. I tungusi, i groenlandesi, gli eschimesi e gli indiani dell’America del Nord mangiano pure la carne di cane. In Egitto, i contadini del Boheryeh, provincia all’ovest del ramo occidentale del Nilo, mangiano cinghiali, topi, e anche cani. Mangiano cani molti mograbini in Alessandria, e ciò di generazione in generazione; ne mangiano pure taluni di questi mograbini che stanno in Cairo, nel rione di Teylon.
Giustino dice che i re Habis e Ciro sono stati nudriti con carne di cane nella loro gioventù...
Ma tu, mio caro lettore, io, noi tutti, siamo ben certi di non aver mai mangiato carne di cane?
Qui, come in altri casi, basta non saperlo.