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Con questa versione esordì il Berchet nella carriera letteraria; lavoro giovanile quindi non scevro di mende, ma che lasciava trasparire un ingegno promettitore di buoni frutti. Ugo Foscolo coll’acume finissimo a lui proprio intravide in quel primo tentativo il futuro poeta, come lo intravide nel Manzoni in una nota ai Sepolcri. Parlò del Bardo in un articolo, temperando la critica severa, con lodi incoraggianti, delle quali non era prodigo l’irascibile zantiotto, specialmente co’ Milanesi.
Dopo aver discorso del merito lirico di Gray, dicendolo unico tra i moderni che pareggi il vigore di Pindaro, così prosegue:
« Venendo alla versione, ci duole di non poterle dar lode di armonia e di splendore, siccome dobbiamo lodarla di fedeltà. Noi rendiamo grazie al giovine scrittore per l’ottimo intento di addomesticare gl’Italiani con questo esemplare di lirica sublime; ma se non intendea di darci che il significato delle nude parole, come pare da’ suoi versi, doveva piuttosto volgarizzarlo in prosa schietta. E tanta è l’umiltà e la modestia con la quale egli nella sua prefazione s’esprime su la sua inesperienza giovanile, e sembrano tanto ingenui i suoi voti perchè altri riesca meglio di lui in questa versione, che noi ci crederemmo indiscreti se gl’imputassimo i difetti ch’ei confessa generosamente.» E conchiude: «il traduttore è ancora in età di perfezionare il suo gusto di cui ci ha dato saggio nella scelta di questo componimento.»[3]
Quanto alle note: il testo inglese ne ha poche e brevi di M. Mason, lirico non senza fama, ed amico dell’autore: Parvero, e con ragione, al Berchet insufficienti per ogni lettore non inglese; onde illustrò il poema di molte notizie tratte dalle storie, trasmodando però in guisa da affogarvi il testo, spinto forse dalla bramosia giovanile di sfoggiare erudizione peregrina, che tale era appunto la sua, perchè la storia e la letteratura inglese erano a quei giorni poco studiate fra noi. Ora ho creduto opportuno ristringerle a ciò solo che è necessario per la intelligenza del testo.