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ulisse
Esce dalla caverna esterrefatto.
Oh Giove, che dirò! Visto ho nell’antro
incredibili orrori, a fole simili,
non ad opere umane!
corifeo
Ulisse, che
cosa è successo? Alcun dei tuoi compagni
s’è pappato l’empissimo Ciclope?
ulisse
Due! Li ha sbirciati e li ha trascelti a peso:
i due ch’eran piú grassi e piú pasciuti.
corifeo
Come tal danno, o miseri, patiste?
ulisse
Come nella spelonca entrati fummo,
prima gettò sul focolare grossi
ceppi d’eccelsa quercia, una catasta
da portarla tre carri, e accese il fuoco,
e ci mise a bollire una caldaia
di bronzo; e accosto al fuoco, a farne un letto,
stese frasche d’abete. E le giovenche
poi munse, e riempí di bianco latte
un secchio che tenea dieci boccali,
ed una tazza d’ellera vi pose
presso, larga tre braccia e fonda quattro,
e rami di verruca, a mo’ di spiedi
lisciati con la falce, e resi duri
in cima sopra il fuoco, e scannatoie
col morso della scure arrotondate.
Poi, quando tutto pronto fu, l’atroce
cuoco d’inferno, afferrò due de’ miei
compagni, e li ammazzò: questo nel cavo
d’un bacile di bronzo; e quello, presolo
per un calcagno, lo sbatte’ sull’aspra
sporgenza d’una rupe, e gli schizzò
fuori il cervello; e, fatto a brani il corpo
con un ferro affilato, ne gittò
parte a lessar nella caldaia, e parte
ne mise ad arrostire. Io, sciagurato,
versando pianto da queste pupille,
stavo accanto al Ciclope, e lo servivo:
gli altri, senza piú sangue nelle vene,
stavano rimpiattati come uccelli
negli anfratti dell’antro. Or, poi che gonfio
fu della carne dei compagni, e cadde
rovescioni, emettendo un fiato greve,
qualche Dio m’ispirò: colma una coppa
di vin maronio, glie l’offersi, e dissi:
«Figlio del Dio del mar, Ciclope, vedi
che divino licor dalle sue viti,
bacchico refrigerio, Ellade t’offre!
Ed egli, gonfio del nefando cibo,
accetta, e trinca, e manda giú d’un sorso,
e se ne loda, e volge a me la mano:
«Dopo un buon pranzo, ospite mio carissimo,
tu m’offri un buon bicchiere!» Ed io, veduto
che ci pigliava gusto, glie ne mesco
un’altra tazza: ben sapea che il vino
gli avrebbe dato in testa, e glie l’avrei
fatta presto scontare. E lui, si diede
alle canzoni. Ed io glie ne mescevo
una sull’altra; e bevi e bevi, andava
in bollore. Ei berciava, e i miei compagni
piangevano; e nell’antro era un rimbombo.
Io zitto zitto sono uscito, e voglio
me salvare, e insiem voi, se lo bramate.
Ditemi, via, volete o non volete
fuggir questo selvaggio, e nelle case
viver di Bacco, insieme con le Naiadi?
Il padre tuo, ch’è lí dentro, acconsente:
ma troppo frollo, e al vino troppo ligio,
come un uccello al vischio, se ne sta
presso al bicchiere, e invan dibatte l’ale.
Tu che giovine sei, salvati meco,
e a Dïòniso torna, al vecchio amico
tuo, che per nulla è simile al Ciclope.
coro
Oh, se potessi, amico mio, vedere
tale giorno, e fuggir l’empio Ciclope!
Ché da gran tempo a becco asciutto questo
doccione sta, né mai trova ricovero!
Gesto equivoco.
ulisse
Odi or come io trarre vendetta penso
dell’empia fiera, e a libertà te rendere.
corifeo
Parla: ché dolce piú di lidia cetera
per me sarebbe del Ciclope il rantolo!
ulisse
Reso allegro dal vino, ei vuol recarsi
dai fratelli Ciclopi a far baldoria.
corifeo
Intendo: solo fra i querceti coltolo,
vuoi scannarlo, o gittarlo in un burrone.
ulisse
Punto! Servirmi dell’astuzia io penso.
corifeo
Quale? Da un pezzo so che tu sei fino.
ulisse
Distorlo vo’ da tal baldoria, e dirgli
che ai Ciclopi non dia questo licore,
ma lo beva da solo, e se la sciali.
Quando poi dormirà, vinto dal vino,
ho visto dentro un ramo d’oleastro,
che in vetta aguzzerò con questa spada,
e lo porrò sul fuoco. E quando sia
ben rosolato, toltolo rovente,
lo pianterò nel ciglio del Ciclope,
e gli sfarò col fuoco la pupilla.
coro
Evviva, evviva!
Che gusto il tuo trovato! Io ne vo pazzo!
ulisse
Poi, te, gli amici e il vecchio condurrò
al curvo scafo della nave nera,
e a tutti remi fuggirò di qui.
coro
Impugnar non potrei pure io la fiaccola,
come si fa nei sacrifizi, e immergergliela
nell’occhio? Anch’io vo’ esserci a finirlo.
ulisse
Anzi, lo devi: è grande assai la fiaccola.
coro
Solleverei di cento carri il carico,
pure d’affumicar come un vespaio
l’occhio al maledettissimo Ciclope!
ulisse
Dunque, silenzio. Or sai la trama. Quando
comando, s’obbedisca a chi l’ordí.
Salvarmi solo non voglio io, non voglio
lasciar dentro lo speco i miei compagni.
Fuggir potrei, ché son dall’antro fuori;
ma non giusto è lasciar gli amici miei,
coi quali venni, e pormi in salvo solo.
Entra nella caverna.