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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
In qual modo il signor Pickwick ebbe a compiere il suo mandato e come gli sopravvenisse il rinforzo di un inatteso alleato
Capitolo 49 Capitolo 51

Alle nove meno un quarto precise del giorno appresso, furono attaccati i cavalli, e il signor Pickwick con Sam Weller, l’uno dentro e l’altro fuori, si diressero alla casa del signor Bob Sawyer per prendere con esso loro il signor Beniamino Allen.

Non fu poco sorpreso il signor Pickwick, quando fermatasi la carrozza davanti alla porta col lampione rosso e con la scritta maiuscola Sawyer, succ. Nockemorf, ebbe a vedere, sporgendo il capo dallo sportello, il fattorino grigio che chiudeva le imposte; il che essendo a quell’ora del mattino cosa insolita e indizio di scarse faccende, gli fece subito arguire due cose: l’una che qualche buon amico e cliente del signor Bob Sawyer fosse morto, l’altra che lo stesso signor Bob Sawyer fosse fallito.

— Che c’è? — domandò il signor Pickwick al fattorino.

— Non c’è niente, signore, — rispose il ragazzo allargando la bocca fino alle orecchie.

— Tutto d’incanto! — gridò Bob Sawyer, sbucando dalla porta con una sacca di cuoio vecchia e sudicia in una mano, e un pastrano e uno scialle sul braccio. — Si parte, amicone, si parte.

— Si parte! — esclamò il signor Pickwick.

— Sì; una spedizione completa, come si conviene. A voi, Sam, prendete.

E Bob scagliò a Sam la sacca di cuoio, e Sam la ficcò sotto il sedile guardando tutto ammirato a quel che accadeva. Ciò fatto, Bob con l’aiuto del suo fattorino s’inserì a gran fatica nel pastrano ch’era per lui troppo stretto, e cacciando il capo per lo sportello rise fragorosamente in faccia al signor Pickwick.

— Bella pensata, eh? — disse poi asciugandosi le lagrime con le rivolte del pastrano.

— Ma, mio caro signore, — rispose un po ’ imbarazzato il signor Pickwick, — io non sapevo mica che ci avreste accompagnati.

— No, bravo, e qui sta il bello, vedete.

— Ah, ah! qui sta il bello?

— Naturalmente; il nocciolo della cosa, capite. Lascio che gli affari si curino da sè, visto che di me sembrano decisi a non volersi curare.

Con la quale spiegazione del fenomeno delle imposte chiuse, Bob accennò alla bottega e si abbandonò ad una vera convulsione d’ilarità.

— Non voglio credere, benedetto voi, che siate così matto da piantare i vostri ammalati senza alcuno che gli accudisca!

— Perchè no? perchè no? Faccio economia, capite. Non ce n’era uno che pagasse. Senza dire, — aggiunse Bob, parlando in tono più basso e confidenziale, — che ci guadagneranno un tanto anch’essi, perchè trovandomi pel momento a secco di droghe e di fondi, non avrei potuto somministrar loro, a tutti quanti sono, che del calomelano, e ho paura che a qualcuno avrebbe fatto un po’ di male. Sicchè, tutto per lo meglio.

C’era in questa risposta una filosofia ed una forza di sillogismo, cui il signor Pickwick non era preparato. Tacque un poco, poi aggiunse con una certa titubanza:

— Ma qui dentro, mio giovane amico... qui dentro non c’è posto che per due, e io mi trovo impegnato col signor Allen.

— Non vi prendete pensiero per me, — rispose Bob. — Ho aggiustato tutto: Sam ed io ci divideremo da buoni amici il seggiolino di dietro. Ecco qua. Questo biglietto s’incolla sulla porta:

"Sawyer, succ. Nockemorf. Dirigersi dirimpetto alla signora Cripps." La signora Cripps è la mamma del mio fattorino. "Il signor Sawyer è dolentissimo, — dice la signora Cripps; — non ha potuto far di meno; son venuti a prenderlo stamani di buon’ora per un consulto dei primari chirurgi del paese; non si potea far a meno di lui; l’hanno voluto per forza, a qualunque prezzo, un’operazione tremenda." Il fatto è, — conchiuse Bob, — che la cosa mi farà più bene che male, questo è certo. Se arriva a ficcarsi in uno dei giornali del luogo, la mia fortuna è bell’e fatta. Ecco qua, Ben. Orsù tutti all’ordine, via!

E così dicendo, il signor Bob Sawyer scostò con una mano il postiglione, spinse l’amico nella carrozza, sbatacchiò lo sportello, ripiegò la predellina, incollò il biglietto sulla porta, chiuse a chiave, si cacciò la chiave in tasca, balzò sul seggiolino di dietro, diè l’ordine della partenza; e tutto questo con tanta furia e precipitazione che non ancora il signor Pickwick aveva cominciato a ben ponderare se il signor Bob dovesse venire o non venire, e già si correva col signor Bob Sawyer, installato e stabilito come parte integrante dell’equipaggio.

Fino a che camminarono per le vie di Bristol, il faceto Bob si tenne gli occhiali verdi sul naso, contenendosi con tutta la composta gravità dottorale e solo dando via di tanto in tanto a qualche spiritosaggine per esclusivo beneficio e diletto del signor Samuele Weller. Ma quando furono usciti sulla via maestra, gettò via occhiali e gravità, ed eseguì un gran numero di scherzi pratici, diretti probabilmente ad attirare l’attenzione dei passanti ed a rendere la carrozza e le persone che v’erano dentro oggetto di speciale curiosità. Fra i quali scherzi i meno notevoli furono la fracassosa imitazione di un corno da caccia e lo sventolare di un fazzoletto di seta scarlatta alla punta di una mazza con vari gesti di supremazia e di sfida.

— Vorrei proprio sapere, — disse il signor Pickwick a mezzo di una pacata conversazione con Ben Allen, relativa alle molte buone qualità del signor Winkle e di Arabella, — vorrei proprio sapere che cosa può avere tutta questa gente che passa a guardarci con tanto d’occhi sbarrati.

— È una carrozza numero uno, capite, — rispose Ben Allen con un certo tono. — Non son mica abituati a vederne tutti i giorni.

— È possibile, — disse il signor Pickwick. — Può darsi. Sarà benissimo.

Il signor Pickwick sarebbe forse arrivato a convincersi che così stava la cosa e non altrimenti, se accadendogli proprio in quel punto di guardare fuori dello sportello, non avesse notato che gli sguardi dei passanti esprimevano tutt’altro che un rispettoso stupore, e che varie segnalazioni telegrafiche si andavano scambiando tra loro e qualche persona al di fuori della carrozza. La qual cosa subito gli suggerì il pensiero che quelle dimostrazioni potessero avere qualche lontana attinenza alla condotta umoristica del signor Roberto Sawyer.

— Voglio sperare, — disse il signor Pickwick, — che quello scapato del nostro amico non ne faccia delle sue dal seggiolino di dietro.

— Oh no, vi pare! — rispose Ben Allen. — Meno quando è un po’ brillo, Bob è la più tranquilla creatura di questo mondo.

Qui una prolungata imitazione di un corno da caccia suonò per l’aria, seguita da grida ed urrà, le quali tutte procedevano, evidentemente dalla gola e dai polmoni della più tranquilla creatura, o in termini più chiari, dello stesso signor Bob Sawyer.

Il signor Pickwick e Ben si guardarono l’un l’altro con espressione, e il primo, togliendosi il cappello e spenzolandosi a mezza vita fuori dello sportello, riuscì alla fine a scorgere in parte il suo faceto amico.

Il signor Bob Sawyer stava seduto, non già nel seggiolino di dietro, ma a dirittura sull’imperiale, con una gamba a ponente e l’altra a levante, con in capo il cappello di Sam alla sgherra, tenendo in una mano un enorme biscotto e nell’altra una panciuta bottiglia impagliata, e dicendo una tenera parolina ora all’uno, ora all’altra, andavano variando la monotonia dell’occupazione con un grido di gioia o con un vivace scambio di piacevolezze con qualche passante. La bandiera rossa era inalberata alla spalliera del seggiolino, e il signor Samuele Weller, ornato del cappello di Bob, era seduto nel centro del medesimo, attaccando vigorosamente un altro biscotto con una fisonomia accesa che dinotava la sua piena approvazione delle disposizioni prese.

Tutto questo era più che sufficiente per irritare una persona del carattere serio e composto del signor Pickwick; ma si aggiunse, per render la cosa più grave, che proprio in quel punto una diligenza piena di dentro e di fuori venisse loro incontro e che lo stupore dei passeggieri si manifestasse a più segni evidenti. Veniva anche accresciuto il fracasso dalle congratulazioni di una famiglia irlandese che correva a fianco della carrozza chiedendo qualche cosa per carità; più rumorose di tutte quelle del capo di famiglia, il quale pareva considerar la cosa come una dimostrazione politica o una processione trionfale.

— Signor Sawyer, — gridò il signor Pickwick irritatissimo, — signor Sawyer!

— Ohe! — rispose questi guardando di sotto con la massima freddezza immaginabile.

— Siete matto, signore?

— Nemmeno per ombra. Un po’ allegro soltanto.

— Allegro, signore! Spiccate subito di là quello scandaloso fazzoletto. Prego, signore, insisto. Sam, toglietelo.

Prima che Sam potesse obbedire, il signor Bob con molta buona grazia abbassò i suoi colori, e dopo averseli cacciati in tasca, fece un cortese cenno del capo al signor Pickwick, pulì la bocca della bottiglia e l’applicò alla propria; dandogli così ad intendere, senza sprecar parole, ch’ei beveva quel sorso alla salute e alla prosperità di lui. Ciò fatto, tappò la bottiglia, diè un’occhiata benigna al signor Pickwick, addentò bravamente il biscotto e sorrise.

— Via, — disse il signor Pickwick, la cui stizza momentanea non poteva reggere contro la calma imperturbabile di Bob; — via, lasciamo un po’ stare coteste scioccherie.

— No, no, — rispose Bob, scambiando di nuovo il cappello con Sam; — Non l’ho mica fatto a posta; il movimento, capite, mi ha fatto un certo effetto che non ho potuto far di meno.

— Pensate un po’ alla figura che si fa, — rimostrò il signor Pickwick; — salvate almeno le apparenze.

— Oh, certo, certo; non dubitate! — disse Bob. — Non conviene punto punto. Ecco fatto. Non c’è più nulla.

Soddisfatto da queste assicurazioni, il signor Pickwick si tirò dentro e richiuse il vetro dello sportello; ma aveva appena riappiccata la conversazione così bruscamente interrotta da Bob, quando ebbe a trasalire per l’apparizione di un corpicino nero, di forma oblunga, che dalla parte di fuori picchiava a più riprese sul vetro quasi insistendo perchè gli si aprisse.

— Che altra novità è questa? — esclamò il signor Pickwick.

— Pare che sia una bottiglia impagliata, — osservò Ben Allen, guardando con un certo interesse attraverso gli occhiali all’oggetto in questione; — sarei di parere che appartiene a Bob.

L’impressione era esattissima, perchè in effetto il signor Bob Sawyer, avendo attaccato una bottiglia alla punta del suo bastone, picchiava con essa al vetro dello sportello come per mostrare il gentile desiderio che i suoi buoni amici di dentro ne assaggiassero allegramente la loro brava parte.

— Che s’ha da fare? — domandò il signor Pickwick guardando alla bottiglia. — Questa seconda follia è più assurda della prima.

— Io credo che la meglio sarebbe di pigliarcela, — rispose Ben, — e di tenercela anche, gli starebbe proprio il dovere, eh?

— Proprio, — disse il signor Pickwick. — La piglio?

— Mi pare la più corretta linea di condotta che si possa tenere, — rispose Ben.

Coincidendo questo avviso con la propria opinione, il signor Pickwick abbassò adagio adagio il vetro e staccò la bottiglia dal bastone. Il bastone sparì, e s’udì dall’alto una fragorosa risata di Bob.

— Che umore incorreggibile! — disse il signor Pickwick, guardando con la bottiglia in mano al compagno.

— Non c’è verso di stare in collera con lui.

— Assolutamente no.

Durante questo breve scambio di sentimenti, il signor Pickwick aveva astrattamente stappata la bottiglia.

— Che cosa è? — domandò Ben con indifferenza.

— Non so, — rispose nello stesso tono il signor Pickwick. — Sente, se non sbaglio, di estratto di ponce.

— Oh oh! davvero?

— Se non sbaglio, dico. Non potrei mica affermarlo, badate, senza averlo prima assaggiato.

— Assaggiatelo. Tant’è che vediamo subito di che si tratta.

— Credete? Ebbene, se avete cotesta curiosità, non vedo perchè non dovrei contentarvi.

Sempre disposto a sacrificare i propri sentimenti ai desideri dell’amico, il signor Pickwick abboccò la bottiglia e ne ingollò un sorso piuttosto lungo.

— Che cosa è? — domandò Ben interrompendolo con una certa impazienza.

— Curiosa! — disse il signor Pickwick, facendo schioccar le labbra; — mi pare adesso di saperlo meno di prima. Ah, sicuro, sicuro (e tornò ad abboccar la bottiglia) è ponce.

Il signor Ben Allen guardò al signor Pickwick; il signor Pickwick guardò al signor Ben Allen. Il signor Ben Allen sorrise; il signor Pickwick no.

— Gli starebbe proprio il dovere, — disse questi con una certa severità, — se ce la vuotassimo tutta, fino all’ultima stilla.

— Precisamente quel che pensavo io, — disse Ben.

— Davvero? Alla sua salute dunque!

E così dicendo, l’egregio uomo diè un altro colpo energico alla bottiglia, e la passò poi a Ben che non fu tardo ad imitare il lodevole esempio. I sorrisi divennero vicendevoli e l’estratto di ponce a poco a poco ed allegramente scomparve.

— In fin dei conti, — disse il signor Pickwick assaporando l’ultimo gocciolo, — queste sue birichinate sono divertenti, sono davvero piacevolissime.

— È verissimo, — rispose Ben. Ed in prova che l’amico Bob era il più caro matto di questo mondo, narrò al signor Pickwick con una relazione lunga e minuta come una volta Bob avesse bevuto fino a farsi venire la febbre e s’avea poi fatto radere i capelli col rasoio; la quale graziosa istoria non si fermò che col fermarsi della carrozza all’Albergo della Campana a Berkeley Heath per mutare i cavalli.

— Dico eh, desiniamo qui? — domandò Bob affacciandosi allo sportello.

— Desinare! — esclamò il signor Pickwick. — Non abbiamo fatto che diciannove miglia, e ce n’abbiamo altre ottantasette e mezzo!

— Appunto per questo dovremmo prendere qualche cosa per sostenerci contro la fatica, — fece notare Bob.

— Oh, gli è impossibile desinare alle undici e mezzo del mattino, — rispose il signor Pickwick guardando all’orologio.

— Bravissimo, — rispose Bob, — proprio quel che dicevo io. Niente desinare; la colazione, ecco quel che ci vuole. Ohe, a voi! Colazione per tre, subito; e staccate i cavalli per un quarto d’ora. Che si porti in tavola tutto ciò che c’è di rifreddo, e qualche bottiglia di birra; e fateci anche assaggiare del miglior madera che ci avete.

Dando questi ordini con suprema importanza, il signor Bob Sawyer si precipitò dentro per sorvegliare i preparativi, e di lì a cinque minuti tornò per annunziare che li trovava eccellenti.

La colazione giustificò pienamente l’elogio pronunciato da Bob, e non solo lo stesso Bob ma anche l’amico Ben e il signor Pickwick le fecero onore. Sotto il triplice attacco così la birra come il madera sparirono in un batter d’occhio; e quando (attaccati di nuovo i cavalli) ebbero ripreso i loro posti, con la bottiglia impagliata piena del miglior vino che si potette trovare lì per lì in sostituzione del ponce, il corno da caccia risuonò per l’aria e la bandiera rossa sventolò senza la menoma opposizione da parte del signor Pickwick.

All’Hop Pole a Tewkesburg fermarono pel desinare, nella quale occasione ci fu dell’altra birra e dell’altro madera e anche un po’ di porto, e quindi per la quarta volta fu riempita la bottiglia impagliata. Sotto l’influenza di questi stimolanti combinati, il signor Pickwick e Ben dormirono profondamente per trenta miglia di fila, mentre Bob e il signor Weller cantavano duetti dal loro seggiolino.

L’oscurità era completa quando il signor Pickwick fu abbastanza desto da potersi affacciare allo sportello. Le capanne sparse di qua e di là della via, la tinta scura di ogni oggetto, l’atmosfera nuvolosa, le striscie di cenere e polvere di mattoni, il chiarore rosso delle fornaci lontane, i globi di fumo che uscivano densi e neri dalle alte ciminiere annerendo e oscurando ogni cosa intorno; il luccichio dei lumi in lontananza, i carri pesanti che passavano cigolando, carichi di spranghe di ferro e di montagne di mercanzie — tutto diceva loro che si avvicinavano alla grande ed operosa città di Birmingham.

Passando rumorosamente attraverso gli stretti sobborghi che menano al cuore del trambusto, le scene ed i suoni del lavoro assiduo e generale colpirono più forte i loro sensi. Le vie erano affollate di operai. Il rumore sordo della fatica veniva fuori da ogni casa; si vedevano splender lumi dalle finestre di lunghi caseggiati, e il girar turbinoso delle ruote e il fracasso delle macchine scuotevano le mura tremanti. I fuochi che da lontano parecchie miglia aveano mostrato la loro luce bassa ed incerta, fiammeggiavano ora nelle grandi officine e nelle fattorie della città. Il batter dei martelli, l’affannar del vapore, lo strepito ferreo delle macchine, facevano la musica selvaggia che suonava alto da tutte le parti.

E il postiglione s’era cacciato al trotto per le ampie vie e passava davanti alle belle e luminose botteghe che stavano tra i sobborghi della città e il vecchio Royal Hôtel, prima che il signor Pickwick avesse incominciato a considerare la difficilissima e delicata natura della commissione che lo aveva fatto venire fin là.

La delicata natura di questa commissione e la difficoltà di menarla a buon porto non erano punto diminuite dalla volontaria compagnia del signor Bob Sawyer: a dirla tutta la verità, il signor Pickwick ne avrebbe fatto di meno molto volentieri; sarebbe anzi stato disposto a sborsare una discreta somma perchè il signor Bob venisse senza indugio trasportato ad una distanza non minore di cinquanta miglia.

Il signor Pickwick non avea mai avuto relazioni personali col signor Winkle padre, benchè due o tre lettere gli avesse scritto rispondendogli circa la moralità e la condotta del figlio. Sentiva con una certa impazienza nervosa che il presentarglisi così per la prima volta, accompagnato da Bob Sawyer e Ben Allen tutti e due non troppo in gambe, non era certo il modo più ingegnoso e più adatto che si potesse scegliere per guadagnarsene l’animo.

— Del resto, — pensò il signor Pickwick cercando di rassicurarsi, — io debbo fare il meglio che so; vederlo stasera perchè così ho promesso; e se questi due persistono ad accompagnarmi, abbrevierò il colloquio per quanto è possibile, sperando, nel loro stesso interesse, che non si faranno scorgere.

Mentre con queste riflessioni s’andava confortando, la carrozza si fermò al Royal Hôtel. Si riuscì a destare in parte Ben Allen da un sonno profondo, e Sam Weller ebbe a tirarlo giù pel collo; dopo di che il signor Pickwick fu in grado di smontare. Furono introdotti in un discreto appartamento, e il signor Pickwick, senza mettere tempo in mezzo, domandò notizie al cameriere intorno alla residenza del signor Winkle.

— Qui accanto, signore, — rispose il cameriere, — non più di un cinquecento passi. Il signor Winkle ha i suoi magazzini sul canale, signore. La casa è più in qua... oh no, nemmeno cinquecento passi, signore.

Il cameriere spense una candela e fece le viste di riaccenderla, per dar modo al signor Pickwick di fargli qualche altra domanda, se così gli piacesse.

— Vogliono qualche cosa? — domandò finalmente, decidendosi ad accender la candela visto il silenzio ostinato del signor Pickwick. — Tè o caffè, signore? pranzo?

— No, niente per ora.

— Benissimo, signore. Debbo ordinar la cena?

— Adesso no.

— Benissimo, signore.

E qui si avviò lentamente verso la porta, dove fermandosi di botto, si voltò e domandò con voce insinuante:

— Vogliono che faccia venire la cameriera, signori?

— Se così vi piace, — rispose il signor Pickwick.

— Se piace a voi, signore.

— E portate dell’acqua di soda, — disse Bob.

— Acqua di soda? sissignore.

E come sollevato da un gran peso per aver finalmente avuto un ordine per qualche cosa, il cameriere a poco a poco si dileguò. I camerieri non camminano nè corrono mai. Hanno per sgusciar fuori dalle camere uno speciale e misterioso potere che gli altri mortali non posseggono.

Destatisi alcuni leggieri sintomi di vitalità nel signor Ben Allen con l’aiuto dell’acqua di soda, si potette persuaderlo a lavarsi la faccia e le mani e a farsi spazzolare da Sam. Il signor Pickwick e Bob ripararono alla meglio al disordine portato dal viaggio nei loro vestiti, e tutti e tre a braccetto si avviarono alla casa del signor Winkle, mentre Bob Sawyer andava impregnando l’atmosfera di fumo di tabacco.

Alla distanza di circa un quarto di miglio, in una strada tranquilla e pulita, sorgeva una vecchia casa di mattoni rossi con tre scalini davanti la porta e su questa una piastra di rame che portava scritto in lettere maiuscole e tozze: "Signor Winkle". Gli scalini erano bianchissimi, i mattoni rossissimi e la casa pulitissima; e i signori Pickwick, Allen e Sawyer stavano lì nel punto stesso che l’orologio batteva le dieci.

Una svelta servetta venne ad aprire e si spaventò un poco vedendo i tre forestieri.

— È in casa il signor Winkle? — domandò il signor Pickwick.

— Va a cena in questo momento, — rispose la servetta.

— Fatemi il piacere di dargli questo biglietto. Ditegli che mi dispiace assai disturbarlo a quest’ora, ma ho premura di vederlo stasera e sono arrivato or ora.

La servetta guardò timidamente al signor Bob Sawyer, che andava manifestando la sua ammirazione pei vezzi di lei con una varietà di smorfie maravigliose; e gettando un occhio ai cappelli e ai pastrani appesi nell’anticamera, chiamò un’altra ragazza perchè badasse alla porta mentre ella andava su. La sentinella fu subito smontata, perchè la servetta tornò di lì a poco, e scusandosi con quei signori di averli fatti aspettare all’aperto, gl’introdusse in un salottino con tappeto, un che di mezzo tra lo studio e la camera da vestirsi, nel quale i mobili e gli ornamenti principali erano una scrivania, un lavamani, uno specchio per la barba, un cavastivali, un seggiolone, quattro seggiole, una tavola e un vecchio orologio a pendolo. Sul caminetto si vedevano le porte sfondate di una cassetta forte, mentre una coppia di scansie per libri, un almanacco, e varie fascie di carte polverose decoravano le pareti.

— Mi scusino tanto se gli ho lasciati sulla porta, — disse la servetta accendendo un lume e volgendosi con un grazioso sorriso al signor Pickwick; — ma io non conoscevo lor signori; e ci son tanti di cotesti farabutti che vengono soltanto per vedere dove possono metter le mani, che davvero...

— Non c’è mica bisogno di scuse, cara mia, — interruppe affabilmente il signor Pickwick.

— Nessunissimo, anima mia, — disse Bob Sawyer, allargando le braccia e balzando di qua e di là come per tagliar l’uscita alla ragazza.

La ragazza non si lasciò pigliare da queste tenerezze, ed anzi ebbe ad esprimere la sua opinione, che il signor Bob Sawyer era un’odiosa creatura; poi, facendosi troppo più calde le attenzioni di lui, gl’impresse le sue belle dita sulla faccia e scappò dalla camera con molte espressioni di antipatia e di disprezzo.

Privato della amabile compagnia, il signor Bob Sawyer si diè a divertirsi guardando nella scrivania, frugando in tutti i cassetti della tavola, fingendo di portar via il lucchetto della cassa forte, voltando l’almanacco sottosopra, provandosi gli stivali del signor Winkle seniore di sopra ai propri, e compiendo altri umoristici esperimenti sulla mobilia, che facevano fremere di orrore e di angoscia il signor Pickwick e riempivano di diletto il faceto Bob.

La porta si aprì finalmente, e un vecchietto vestito di color tabacco, con una testa ed una faccia che erano tutte quelle del signor Winkle giovane, meno un po’ di calvizie, entrò trotterellando nella camera, col biglietto del signor Pickwick in una mano e un candelliere d’argento nell’altra.

— Signor Pickwick, come state? — domandò il signor Winkle padre posando il candelliere e stendendo la mano. — Spero di sentirvi bene. Tanto piacere di vedervi. Sedete, signor Pickwick, prego. Questo signore è...

— Il mio amico Sawyer, — rispose subito il signor Pickwick, — amico di vostro figlio.

— Ah, — fece il signor Winkle guardando con un certo cipiglio a Bob. — State bene, mi auguro?

— Come un pesce nell’acqua, — rispose Bob.

— Quest’altro signore, — disse il signor Pickwick alzando la voce, — è come vedrete dalla lettera affidata alle mie mani, uno stretto parente, o piuttosto dovrei dire un intrinseco amico di vostro figlio. Si chiama Allen.

— Quel signore lì? — domandò il signor Winkle, accennando col biglietto di visita a Ben Allen, che s’era addormentato in una certa posizione che di tutta la sua persona lasciava vedere soltanto la spina dorsale e il bavero del soprabito.

Il signor Pickwick stava per rispondere alla domanda enumerando nomi e titoli dell’amico Ben, quando il brioso Bob, mosso dalla buona intenzione di destar l’amico suo al sentimento vero della situazione, gli amministrò nella parte carnosa del braccio un fiero pizzicotto, che lo fece balzare in piedi con uno strillo. Accortosi subito di trovarsi in presenza di un estraneo, il signor Ben Allen si avanzò, e scuotendo ambo le mani del signor Winkle per cinque minuti buoni, mormorò in frammenti semintelligibili di frasi il gran piacere che provava nel vederlo, e gli domandò se mai si sentisse disposto a prender qualche cosa dopo la passeggiata o volesse aspettare piuttosto l’ora del desinare; dopo di che, tornò a sedere e si guardò intorno con occhio vitreo come se non avesse la più lontana idea del luogo in cui si trovava, come in effetto non l’aveva.

Tutto ciò era molto imbarazzante pel signor Pickwick, tanto più che il vecchio signor Winkle dava segni non dubbi di stupore per quella condotta molto originale per non dire straordinaria dei due compagni di lui. Per farla finita al più presto possibile, si cavò di tasca una lettera, e presentandola al signor Winkle, disse:

— Questa lettera, o signore, è di vostro figlio. Vedrete dal suo contenuto che dalla vostra favorevole e paterna accoglienza dipende tutta la felicità e tutto il benessere di lui per l’avvenire. Volete essermi cortese di leggerla con calma e ponderazione, e di discuter dopo con me in quella maniera e in quello spirito con cui la cosa va discussa? Potete argomentare dell’importanza della vostra decisione e della viva ansietà di vostro figlio dall’esser io venuto qui ad ora così tarda senza avervi prima avvertito, e, — aggiunse il signor Pickwick dando una mezza occhiata ai suoi due compagni — e in circostanze così sfavorevoli.

Con questo esordio il signor Pickwick pose nelle mani dello stupito signor Winkle quattro facciate di fitto pentimento; e tornando a sedere, stette ad osservare i modi e l’espressione del vecchio, con ansia sì, ma a fronte levata come chi abbia la coscienza di non avere alcuna cosa da nascondere o farsi perdonare.

Il vecchio negoziante voltò e rivoltò la lettera; guardò alla soprascritta, ai lati, al suggello, del quale scrupolosamente esaminò il grasso amorino impressovi sopra, e quindi, adagiandosi sul seggiolone e tirando a sè il lume, ruppe il sigillo, spiegò il foglio e alzandolo verso la fiamma, si dispose a leggere.

Proprio a questo punto, il signor Bob Sawyer, il cui spirito per qualche minuto avea sonnecchiato, puntando le mani sulle ginocchia, fece una smorfia da pagliaccio secondo i migliori modelli lasciatici da Grimaldi buon’anima sua. Volle il caso che il signor Winkle, invece di essere profondamente assorto nella lettura come il signor Bob si figurava, si trovò ad alzar gli occhi di sopra al margine del foglietto proprio nella direzione del medesimo signor Bob; e congetturando a ragione che la smorfia suddetta fosse diretta a mettere in ridicolo la sua propria persona, fissò gli occhi in Bob con un cipiglio così eloquente che i lineamenti del fu signor Grimaldi si andarono man mano stemperando in una bellissima espressione di confusione e di umiltà.

— Avete parlato, signore? — domandò il signor Winkle dopo un silenzio terribile.

— Signor no, — rispose Bob, con nessun altro residuo di pagliaccio che il vivo rossore delle guance.

— Ne siete sicuro, signore?

— Oh altro, sicurissimo!

— Mi era sembrato che aveste parlato, — ribattè il vecchio con tono irritato. — Forse guardavate a me, signore?

— Ma no, ma no, niente affatto! — rispose Bob con la massima civiltà.

— Mi fa molto piacere, signore, — disse il signor Winkle.

E dopo aver fulminato l’infelice Bob con una occhiataccia, il vecchio alzò di nuovo la lettera verso il lume e incominciò a leggere sul serio.

Il signor Pickwick stette a guardarlo fiso mentre egli passava dall’ultima riga della prima pagina alla prima riga della seconda, e dall’ultima della seconda alla prima della terza, e dall’ultima della terza alla prima della quarta; ma nemmeno la più piccola alterazione nel viso del vecchio potè far capire con che sentimenti ei ricevesse l’annunzio del matrimonio del figlio, annunzio che era contenuto, come il signor Pickwick sapeva, nelle prime dodici righe della lettera.

Lesse la lettera fino all’ultima parola, la ripiegò con tutta la cura e la precisione di un uomo d’affari; e, appunto quando il signor Pickwick si aspettava a qualche grande scoppio, intinse una penna nel calamaio e domandò con la massima calma come se si trattasse del più ordinario affare di commercio:

— Qual è l’indirizzo di Nataniele, signor Pickwick?

— Il Giorgio ed Avvoltoio in questo momento, — rispose il signor Pickwick.

— Giorgio ed Avvoltoio. Dove sta?

— George Yard, Lombard street.

— Nella City?

— Precisamente.

Il vecchio scrisse metodicamente l’indirizzo in dorso alla lettera; ripose poi la lettera nel cassetto, chiuse, e disse, allontanando il seggiolone e mettendosi in tasca il mazzo delle chiavi:

— Credo non ci sia nient’altro che ci debba trattenere, signor Pickwick?

— Come, signore, nient’altro! — esclamò questi con sdegnoso stupore. — Nient’altro! Non avete alcuna cosa da dire su questo grave avvenimento nella vita di vostro figlio? nessuna assicurazione da comunicargli per mezzo mio che il vostro affetto e la vostra protezione gli saranno continuati? niente che lo conforti e lo rallegri, lui e la povera ragazza, che a lui solo si appoggia e si affida? Mio caro signore, riflettete, vi prego.

— Rifletterò. — rispose il vecchio. — Non ho nulla da dire in questo momento. Io son uomo d’affari, signor Pickwick; non mi caccio mai in fretta in un affare, e da quanto vedo da questo qui, v’ho da dire che non mi va punto punto a sangue. Mille sterline non è poi gran cosa, signor Pickwick.

— Avete ragione, signore, — interruppe Ben Allen, che non dormiva tanto da non ricordarsi che delle sue mille sterline avea visto la fine senza la menoma difficoltà. — Siete un uomo intelligente voi; Bob, gli è furbo l’amicone.

— Son lieto che voi mi diate ragione, — disse il signor Winkle, guardando con disprezzo a Ben Allen, che andava crollando il capo con aria profonda. — Il fatto è, signor Pickwick, che quando io diedi licenza a mio figlio di correre un po’ pel mondo (il che egli ha fatto sotto i vostri auspicii) tanto da imparare qualche cosa e da non entrar nella vita come uno scolarello che il primo venuto potesse mettere in mezzo, non ci misi anche questo nel contratto. Ei lo sa benissimo, sicchè se gli volto ora la faccia, non ha alcun diritto di sorprendersi. Gli scriverò, signor Pickwick, gli scriverò. Buona notte, signore. Margherita, aprite la porta.

In questo mentre Bob Sawyer era andato stimolando con ogni sorta di segni l’amico Ben a dire qualche cosa di sodo; e Ben, seguendo il consiglio, scoppiò ad un tratto in un breve sì ma caloroso squarcio di eloquenza.

— Signore, — disse Ben Allen, fissando il vecchio con un par d’occhi languidi e velati e agitando con forza su e giù il braccio destro., — voi, signore, dovreste vergognarvi dovreste!

— Come fratello della signora, voi siete materialmente un giudice competentissimo nella questione, — ribattè il signor Winkle. — Via, basta così. Prego, signor Pickwick, non dite altro. Buona notte, signori.

E così dicendo il vecchio prese il candeliere ed aprendo la porta della camera, accennò pulitamente verso l’uscita.

— Voi ve ne pentirete, signore, — disse il signor Pickwick, stringendo i denti per trattener la collera, perchè sentiva bene quanto importasse questo sforzo nell’interesse del suo giovane amico.

— Per ora, sono di un’altra opinione, — rispose con calma il signor Winkle. — Di nuovo, signori, vi auguro la buona notte.

Il signor Pickwick con passi sdegnosi uscì nella strada. Il signor Bob Sawyer, completamente ammansito dai modi risoluti del vecchio, prese la stessa direzione; il cappello del signor Ben Allen rotolò subito dopo per gli scalini, e il signor Ben Allen non tardò a seguirlo. Tutti e tre silenziosi e senza cena, se n’andarono a letto; e il signor Pickwick pensò, nel punto di pigliar sonno, che se mai avesse conosciuto il signor Winkle padre per un così perfetto uomo d’affari, non si sarebbe forse scomodato per compiere presso di lui una commissione di quel genere.

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