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Destatosi la mattina appresso alle otto, non trovò il signor Pickwick che la giornata fosse fatta a posta per tenerlo su o per temperare la depressione di animo conseguente alla mala riuscita delle sue trattative. Il cielo era scuro e triste, l’aria umida e frizzante, le vie bagnate e sdrucciolevoli. Sui comignoli il fumo si svolgeva denso e basso come se non avesse il coraggio di alzarsi, e la pioggia cadeva lenta e minuta come se non si sentisse l’animo di rovesciarsi. Un gallo in un cantuccio del cortile, senza una sola scintilla del solito suo fuoco, si dondolava malinconicamente sopra una zampa; e un asino riparato da una breve tettoia se ne stava a capo basso e tutto pensoso come se meditasse il suicidio. Giù nella via, non si vedevano che ombrelli e non si udiva che lo schizzar della pioggia e lo sguazzar delle pedate.
A colazione si parlò poco o punto; lo stesso Bob soggiaceva all’influenza del tempo e dell’eccitamento del giorno innanzi. Si sentiva, secondo il suo linguaggio immaginoso, "impiantito". Così pure si sentiva Ben e così il signor Pickwick.
Aspettando sempre che il tempo si rimettesse al buono, l’ultimo giornale della sera arrivato da Londra fu letto e riletto con un interesse che si vede soltanto nei casi di estrema disperazione; con mirabile perseveranza si passeggiò per la camera, senza trascurare un sol pollice del tappeto; si guardò fuori delle finestre tante e tante volte da giustificare l’imposizione di una tassa addizionale; tutti i soggetti di conversazione furono tentati, e caddero tutti uno dopo l’altro; e alla fine il signor Pickwick, arrivato che fu il mezzogiorno senza che il tempo si rischiarasse, suonò il campanello e ordinò la carrozza.
Benchè le vie fossero fangose, e la pioggia venisse giù più fitta, e così di dentro come di fuori alla carrozza si fosse esposti alle pillacchere della mota, quel moto nondimeno e quel sentimento di star su e di far qualche cosa valevano tanto meglio dello star tappati fra quattro mura a guardare la pioggia uggiosa che cadeva in una strada malinconica, che tutti convennero, nel punto di partire, che il cambiamento era un gran che e stupirono che per tanto tempo lo avessero indugiato.
Quando si fermarono alla prima posta a Coventry, i cavalli mandavano tali nuvole di vapore da nascondere a dirittura lo stalliere, la cui voce si udì che dichiarava di mezzo alla nebbia, che la Società Umanitaria gli dovea dare la medaglia d’oro alla prossima distribuzione, per aver tolto il cappello al postiglione, il quale si sarebbe di certo annegato nell’acqua che gli scorreva dalle tese, s’ei non avesse avuto la presenza di spirito di strappargli subito il cappello e di strofinare con una manata di paglia la faccia del naufrago.
— Questo sì ch’è piacevole, — disse Bob Sawyer, alzandosi il bavero del pastrano e sprofondando il naso nello scialle per concentrare i fumi di un bicchier di acquavite ingollato allora allora.
— Molto, — rispose Sam senza scomporsi.
— Non pare che lo pensiate, — osservò Bob.
— Non so davvero a che potrebbe servire il pensarci sopra.
— Cotesta è una ragione a cui non c’è che rispondere.
— Sicuro. Comunque la vada, la va bene, come osservò quel signore quando gli dettero la pensione perchè il nonna della moglie dello zio di sua madre aveva acceso la pipa del re con un acciarino tascabile.
— Non è mica cattiva l’idea, Sam.
— Proprio quel che disse quel signore tutti i trimestri per tutto il resto della sua vita.
Dopo un breve silenzio, Sam abbassando la voce fino ad un bisbiglio misterioso e guardando al postiglione con la coda dell’occhio, domandò a Bob:
— Siete mai stato chiamato, quando stavate in pratica con un Segaossi, a visitare un postiglione?
— Per quanto ricordo, credo di no.
— E non avete mai visto un postiglione all’ospedale?
— No, non mi pare.
— Nè mai avete saputo di un camposanto dove ci fosse una tomba di postiglione, e nemmeno visto un postiglione morto?
— No, mai.
— No, — ripetette Sam in aria trionfale, — e non lo vedrete mai. E c’è pure un’altra cosa che nessuno ha mai visto, cioè un asino morto; nessuno ha mai visto un asino morto, meno quel signore in calzoni di seta nera che conosceva la giovane che teneva una capra: e quello lì era un asino francese, non era della razza vera, e perciò non conta.
— E che ha a far cotesto coi postiglioni? — domandò Bob.
— Ecco. Senza arrivare a dire, come certe persone molto sensibili, che gli asini e i postiglioni sono immortali, quel che dico io è questo: che quante volte si sentono irrigiditi e che non ne possono più, scappano via insieme, un postiglione per ogni due asini. Che cosa se ne faccia nessuno l’ha mai saputo, ma è probabilissimo che scappino a divertirsi in qualche altro mondo, visto che nessun uomo ha mai incontrato un asino o un postiglione che si divertissero in questo.
Spaziandosi su questa dotta e singolare teorica e citando in appoggio molti curiosi fatti statistici e di altro genere, Sam Weller ingannò il tempo fino a Dunchurch, dove si presero dei cavalli freschi e un postiglione asciutto. Venne poi Daventry e poi Towcester; e ad ogni fermata pioveva più forte che non piovesse alla partenza.
— Dico eh, — osservò Bob Sawyer, cacciando il capo per lo sportello quando la carrozza ebbe fermato alla Testa del Saracino a Towcester, — questo non è affare che va.
— Povero me! — disse il signor Pickwick destandosi da un suo sonnellino; — ho paura che siate bagnato.
— Siete bagnato, non è così? — rispose Bob. — Ed io pure, un po’ inzuppato, vedete.
E si vedeva in effetto, perchè l’acqua gli scorreva dal collo, dai gomiti, dal cappello, dai calzoni; e tutto lui era così stillante, da parer vestito d’inceratina oleata.
— Sono un pochino bagnato, — disse Bob, dandosi una scrollatina e spargendo intorno un piccolo sprazzo idraulico, come un cane di Terranova che uscisse dal bagno.
— Mi pare impossibile per questa sera di andare avanti, — disse Ben.
— Non c’è questione, — notò Sam, entrando nel discorso; — è una crudeltà per le povere bestie. Ci sono dei letti qui, padrone, comodi e puliti. Un buon pranzetto lo apparecchiano in mezz’ora; un par di polli, quattro costolette, un po’ di fagioli, due dita di buon vino e pulizia quanta se ne vuole. Meglio che vi fermiate qui, se posso dir la mia. Sentite il consiglio, signore, come diceva il medico.
Apparve a questo punto molto a proposito l’oste della Testa del Saracino per confermare le parole di Sam relative alle buone comodità dello stabilimento, e per rincalzare le sue istanze con una grande varietà di lugubri congetture sullo stato delle strade, sul dubbio di potere avere dei cavalli freschi alla prossima posta, sulla certezza che tutta la notte sarebbe piovuto, e sulla certezza non meno certa che a giorno sarebbe uscito il bel tempo, con altri argomenti di seduzione familiari agli osti.
— E sia pure, — disse il signor Pickwick, — ma io debbo trovar modo di spedire una lettera a Londra perchè sia recapitata domani di buon’ora, o se no son costretto ad ogni costo a proseguire.
L’oste sorrise di compiacenza. Niente di più facile pel signore che spedire una lettera sia con la diligenza sia con la carrozza che partiva di notte da Birmingham. Se il signore avea premura di farla recapitar presto, potea scrivere di fuori: "Urgentissima" — o meglio ancora: "Pagare una mancia al latore per immediata consegna."
— Benissimo, — disse il signor Pickwick, — ci fermeremo qui dunque.
— Accendete nella camera del Sole, Giovanni; fate una bella fiammata; i signori sono bagnati, — gridò l’oste. — Di qua, signori, di qua; non vi date pensiero del postiglione ora; ve lo manderò appena avrete suonato. Su, Giovanni, svelto, le candele.
Furono portate le candele, il fuoco fu attizzato e fornito di nuova legna. In dieci minuti il cameriere aveva già messa la tovaglia pel desinare, le tendine erano abbassate, il fuoco scoppiettava allegramente, e pareva insomma — come suole in ogni buona osteria inglese — che i viaggiatori fossero aspettati e tutti i comodi preparati da molti giorni innanzi.
Il signor Pickwick si pose a sedere ad un tavolino di lato e scrisse subito una lettera al signor Winkle, informandolo che il pessimo tempo lo tratteneva, ma che il giorno appresso sarebbe a Londra senz’altro: si riserbava di riferirgli allora l’esito delle sue pratiche. Chiusa e sigillata la lettera, Sam Weller la portò subito al banco con incarico di pronta spedizione.
Sam la consegnò all’ostessa, e se ne tornava su per cavar gli stivali del padrone, dopo essersi un po’ asciugato al fuoco della cucina, quando, gettando per caso un’occhiata per un uscio socchiuso, vide un signore dai capelli rossi, con un gran fascio di giornali sulla tavola che aveva davanti, ed occupato a leggere un articolo di fondo con un certo suo ghigno che gli faceva arricciare il naso ed ogni altra linea della faccia in una maestosa espressione di superbo disprezzo.
— Ohe! — esclamò Sam, — quella testa lì e quel viso gli avrei da conoscere; e anche la lente e il cappellone a larghe tese. Eatanswill o che io non son più io.
Un nodo di tosse lo pigliò ad un tratto, che dovea servire ad attirare l’attenzione di quel signore: e il signore voltandosi al rumore, alzò il capo e la lente e mostrò la fisonomia profonda e meditativa del signor Pott, della Gazzetta d’Eatanswill.
— Domando scusa, signore, — disse Sam avvicinandosi e inchinandosi, — il mio padrone è qui, signor Pott.
— Zitto, zitto! — esclamò Pott, tirando in camera Sam e chiudendo la porta pieno di misteriosa paura.
— O ch’è successo? — domandò Sam, guardandosi intorno.
— Non vi fate sfuggire il mio nome. Son tutti Gialli qui. Se mai il popolaccio irritabile venisse a sapere che io son qui, mi farebbero a pezzi!
— Possibile!
— Cadrei vittima del loro furore, sì! Ebbene, che dicevate del vostro padrone?
— Si ferma qui per questa notte andando a Londra con un par d’amici.
— Uno dei quali è il signor Winkle? — domandò Pott corrugando la fronte.
— Nossignore; il signor Winkle sta a casa ora. S’è ammogliato.
— Ammogliato! — esclamò Pott con terribile veemenza. Poi, sorridendo cupamente, aggiunse con tono basso e vendicativo: — Gli sta il dovere!
Dopo aver dato sfogo a questo crudele ribollimento di malvagità e di spietato trionfo sopra un nemico caduto, il signor Pott s’informò se i due amici del signor Pickwick erano Azzurri; ed avuta una soddisfacente risposta affermativa da Sam, che ne sapeva precisamente quanto lo stesso Pott, consentì ad accompagnarlo in camera del signor Pickwick, dove una cordiale accoglienza lo aspettava, e subito si convenne di mettere insieme i loro desinari.
— E come vanno le cose ad Eatanswill? — domandò il signor Pickwick, quando Pott ebbe preso il suo posto accanto al fuoco e tutti gli altri ebbero mutato gli stivali umidi in pantoffole asciutte. — Si pubblica sempre L’Indipendente?
— L’Indipendente, o signore, — rispose Pott, — trascina sempre una vita stentata e miserabile, abborrito e disprezzato da quegli stessi che ne conoscono la disgraziata esistenza; affogato da quello stesso fango che va spargendo intorno a piene mani; assordato e acciecato dalle esalazioni del proprio puzzo, l’osceno giornale, inconscio per fortuna sua della sua degradazione, rapidamente sprofonda in quella melma traditrice, che mentre gli dà in apparenza una base solida presso le classi infime ed abbiette della società, gli si solleva nondimeno di sopra al capo detestato e lo sommergerà subito e per sempre.
Declamato che ebbe questo programma (che faceva parte dell’articolo di fondo della settimana avanti) con singolare veemenza, il direttore si fermò per pigliar fiato e guardò maestosamente a Bob Sawyer.
— Voi siete giovane, signore, — disse Pott.
Il signor Bob Sawyer accennò di sì col capo.
— E voi pure, signore, — disse Pott volgendosi al signor Ben Allen.
Ben non si oppose.
— E siete tutti e due imbevuti di quei principii azzurri, che, fino all’ultimo respiro della mia vita, io ho giurato al cospetto di tutto il paese di sostenere e difendere?
— Per dir la verità, — rispose Bob, — non ci capisco troppo. — Io sono...
— Non è Azzurro, signor Pickwick? — interruppe Pott tirandosi indietro con la seggiola. — Il vostro amico non è Azzurro, signore?
— No, no, — rispose Bob; — io sono una specie di scialle adesso; un misto di tutti i colori.
— Un indeciso, — disse Pott con solennità, — un indeciso. Vorrei mostrarvi, signore, una serie di otto articoli pubblicati nella Gazzetta d’Eatanswill. Credo poter dire che non stareste molto a stabilire le vostre opinioni sopra una solida base.
— Scommetto che diventerei violetto prima di arrivare in fondo, — rispose Bob.
Il signor Pott guardò dubbioso in viso a Bob Sawyer, indi volgendosi al signor Pickwick:
— Avrete visto, — disse, — gli articoli letterari pubblicati ad intervalli nella Gazzetta nel corso degli ultimi tre mesi, e che hanno destato un interesse, anzi dirò un’attenzione ed un’ammirazione così generali!
— Veramente, — rispose un po’ imbarazzato il signor Pickwick, — sono stato così distratto da altre faccende, che non ho proprio avuta l’opportunità di leggerli.
— Dovreste leggerli, signore.
— Li leggerò.
— Furono pubblicati in forma di una larga recensione intorno ad un’opera sulla metafisica cinese.
— Oh! scritti da voi, spero?
— No, — rispose Pott con dignità, — dal mio critico.
— Un argomento un po’ astruso.
— Molto astruso. Ei lo sviscerò, per usare un termine tecnico ma espressivo, e pigliò i suoi appunti, secondo gli consigliai io stesso, nell’Enciclopedia Britannica.
— Davvero! Non ho mai saputo che questa pregevole opera contenesse delle notizie relative alla metafisica cinese.
— Egli andò a leggere, signore, — rispose Pott, mettendo la mano sul ginocchio del signor Pickwick e guardando intorno con un sorriso di superiorità intellettuale, — andò a leggere per la metafisica alla lettera M, e per la Cina alla lettera C, e combinò insieme le due cose!
La fisonomia del signor Pott divenne così maestosa al solo ricordo della potenza di ricerca e dell’acume spiegati in quella dotta questione, che il signor Pickwick non osò lì per lì riappiccare la conversazione. Passati che furono parecchi minuti e vedendo che il viso del direttore riprendeva l’usata espressione di superiorità morale, si rifece animo per domandare qual grande missione lo avesse spinto così lontano.
— Quella missione, — rispose Pott con un sorriso calmo, — che mi guida e mi sorregge in tutti i miei sforzi giganteschi: il bene del paese.
— Credevo che si trattasse di una missione pubblica, — osservò il signor Pickwick.
— E tale è appunto, — rispose Pott. Poi, chinandosi verso il signor Pickwick, bisbigliò con voce cupa: — domani sera, signore, avrà luogo in Birmingham un ballo Giallo.
— Possibile!
— Sì, o signore, ed anche una cena Gialla.
— Voi non parlate mica da senno!
Pott crollò il capo con energia.
Ora, benchè facesse le viste di rimaner schiacciato da cotesta rivelazione, il signor Pickwick era così poco a giorno della politica del luogo da non potersi formare una giusta idea della bieca cospirazione cui quella si riferiva; la qual cosa non essendogli sfuggita, il signor Pott trasse di tasca l’ultimo numero della Gazzetta d’Eatanswill e vi lesse dentro il seguente paragrafo:
GIALLUME CLANDESTINO.
"Un rettile contemporaneo ha testè eruttato il suo nero veleno nell’inane e folle tentativo di bruttare la fama illibata del nostro distinto ed egregio rappresentante, l’on. Slumkey — quello Slumkey che noi preconizzammo, assai prima che toccasse l’altezza dell’attuale posizione, dover essere un giorno, come oggi è in effetto, la gloria più splendida, l’orgoglio più legittimo, l’ardito difensore del suo paese — il nostro rettile contemporaneo, diciamo, ha voluto far dello spirito a proposito di una cesta da carbone inargentata e squisitamente cesellata, che all’uomo eminente è stata presentata dagli elettori entusiasti, e alla compra della quale cotesto sciagurato senza nome osa insinuare aver contribuito lo stesso on. Slumkey, facendo figurare un amico intrinseco del suo maestro di casa, per più di tre quarti della somma sottoscritta. E non vede cotest’abbietta creatura che, anche ad ammettere il fatto, l’on. Slumkey viene a mostrarsi in una luce più bella, più splendida di prima, se mai fosse possibile? Non sa intendere la sua crassa ottusità che questo gentile e commovente pensiero di dar forma ai desiderii del corpo elettorale deve per sempre renderlo caro a tutte le anime elette di quei suoi concittadini che non sono al disotto dei maiali, o in altri termini che non sono così abbietti come l’autore di quello scritto vergognoso? Ma tali sono gli artifizi bassi e vituperevoli di cotesto ipocrito Giallume! Nè già sono i soli. No. Il tradimento mette fuori il capo. Noi affermiamo recisamente, poichè si vuole costringerci a dir tutto, — e ci mettiamo sotto la protezione del paese e dei pubblici ufficiali, — noi affermiamo recisamente che dei preparativi clandestini si vanno ora facendo per un ballo Giallo, che sarà dato in una città Gialla, nel cuore di una popolazione Gialla; che sarà diretto da un maestro delle cerimonie Giallo; cui interverranno quattro membri ultra Gialli del parlamento, e dove non si potrà essere ammessi che con biglietti Gialli! Frema pure di rabbia impotente il nostro vile avversario! si abbeveri pure nel suo veleno, quando leggerà scritte queste sole parole: Noi ci verremo."
— Ecco, signore, — disse Pott ripiegando il giornale, — questo è lo stato delle cose.
Entrarono a questo punto l’oste e il cameriere annunziando ch’era pronto in tavola, sicchè il signor Pott mettendosi il dito sulle labbra ebbe a raccomandar la sua vita nelle mani ed alla segretezza del signor Pickwick. Bob e Ben, che con poco riguardo s’erano addormentati alla lettura ed alla discussione politica, si scossero al solo susurro della magica parola: Desinare. E ci andarono subito accompagnati dal buon appetito, dalla buona digestione, dalla buona salute e dal cameriere.
Durante il desinare, il signor Pott, discendendo un momento ad argomenti domestici, informò il signor Pickwick che non confacendosi l’aria d’Eatanswill alla signora Pott, ella era in giro pei più eleganti ritrovi di bagni nello scopo di rimettersi di animo e di salute. Era questo un delicato artifizio per velare il fatto che la signora Pott, traducendo in atto la sua ripetuta minaccia di separazione, si era definitivamente ritirata, in virtù di un accordo trattato da suo fratello il luogotenente ed accettato dal signor Pott, con la sua fedele guardia del corpo sopra una metà degli introiti e profitti annuali della Gazzetta d’Eatanswill.
Mentre il grave signor Pott intrattenevasi sopra questa ed altre materie, animando di tratto in tratto la conversazione con varii estratti delle lucubrazioni proprie, un maestoso forestiero, affacciandosi allo sportello di una diligenza che avea fermato all’osteria per consegnare alcuni colli, domandò se volendo rimaner lì la notte ci fosse da avere una camera ed un letto.
— Certo, signore, certo, — rispose l’oste.
— Certo? proprio? — domandò il forestiero, che pareva tutto sospettoso dai modi e dall’aspetto.
— Senza nessunissimo dubbio.
— Bene. Cocchiere, io scendo qui. Conduttore, datemi la mia sacca.
Dando la buonanotte agli altri passeggieri con tono breve ed aspro, il forestiero smontò. Era un ometto dai capelli neri ed ispidi, tagliati a spazzola o al dorso di porcospino, ritti, duri. Di aspetto era pomposo e fiero; di modi recisi; di sguardo irrequieto e penetrante; e tutto il suo fare dava a vedere un sentimento di gran fiducia in sè stesso e di smisurata superiorità sul resto del genere umano.
Fu introdotto questo signore nella camera già prima assegnata al patriottico signor Pott; e il cameriere osservò, non poco sorpreso dalla singolare coincidenza, che non appena accesa la candela, il forestiero cacciando una mano nel fondo del cappello ne trasse un giornale e si diè a leggerlo con quella stessa espressione di sprezzo sdegnoso che era apparsa un’ora prima sulla maestosa fisonomia del signor Pott. Osservò anche, che mentre il disprezzo del signor Pott era stato destato da un giornale intitolato L’Indipendente d’Eatanswill, quello del nuovo arrivato era acceso da un giornale che portava scritto in cima La Gazzetta d’Eatanswill.
— Chiamatemi l’oste, — ordinò il forestiero.
— Subito, — rispose il cameriere.
L’oste venne.
— Siete voi l’oste? — domandò il signore dei capelli ritti.
— Per servirla, — rispose l’oste.
— Mi conoscete?
— Non ho questo piacere, signore.
— Io mi chiamo Slurk.
L’oste fece un leggero inchino.
— Slurk, dico, — ripetette con forza il forestiero. — Mi conoscete ora?
L’oste si grattò in capo, guardò al soffitto, poi al viaggiatore, e poi sbozzò un mezzo sorriso.
— Mi conoscete? — domandò sdegnosamente il forestiero.
L’oste fece uno sforzo supremo e rispose alla fine:
— Ebbene, signore, io non vi conosco.
— Giusto cielo! — esclamò il forestiero dando un gran pugno sulla tavola. — Ed è questa la popolarità!
L’oste fece uno o due passi verso la porta, e il forestiero, fissandogli gli occhi addosso, riprese a dire:
— Ed è questa la gratitudine per anni di lavoro e di studio a pro delle masse. Scendo qui fradicio e stanco; nessuna folla entusiastica si accalca per salutare il suo campione; le campane tacciono; lo stesso suo nome non desta alcun senso nel loro torpido seno. Gli è più che non ci voglia (e il signor Slurk passeggiava su e giù per la camera) per far gelare l’inchiostro nella penna di un uomo e per indurlo ad abbandonar la causa loro per sempre.
— Ha detto un ponce all’acquavite, signore? — osò domandare l’oste.
— Al rum, — disse il signor Slurk voltandosi con furia. — Avete del fuoco in qualche parte?
— Si accende subito, signore.
— Già, perchè non dia calore fino all’ora di andare a letto. C’è qualcuno in cucina?
— Nemmeno un’anima.
C’era in cucina un fuoco eccellente. Tutti erano andati via e la porta per quella sera era chiusa.
— Beverò il mio ponce, — disse il signor Slurk, — davanti al fuoco della cucina.
E presi il cappello e il giornale, seguì con passo solenne le orme dell’oste verso quell’umile parte della casa, dove sdraiandosi in un seggiolone accanto al fuoco, riprese la sua faccia sdegnosa e si diè a leggere e a bevere in muta dignità.
Ora qualche demonio di discordia, trovandosi in quel punto a volare di sopra alla Testa del Saracino, gettò per caso uno sguardo in basso, e scorse il signor Slurk comodamente insediato accanto al fuoco della cucina e in un’altra camera il gran Pott intonato un po’ alto dal vino. Rapidissimamente piombando in questa, il maligno demonio si ficcò nella testa del signor Bob Sawyer e pei suoi malvagi fini lo mise su nella maniera seguente.
— Dico eh, abbiamo lasciato spegnere il fuoco, — disse Bob. — Fa un freddo del diavolo con tutta quest’acqua che ci siamo presa.
— Un freddo terribile, — rispose tremando il signor Pickwick.
— Non sarebbe mica una cattiva idea andarsi a fumare un sigaro accanto al fuoco della cucina, non vi pare? — disse Bob, sempre inuzzolito dal demonio suddetto.
— Non mi pare che abbiate torto, — rispose il signor Pickwick. — Che ne dite voi, signor Pott?
Il signor Pott subito consentì; e tutti e quattro, col bicchiere in mano, si avviarono in cucina con Sam Weller alla testa.
Il forestiero leggeva sempre. Alzò gli occhi e trasalì. Il signor Pott trasalì.
— Che è stato? — domandò a bassa voce il signor Pickwick.
— Quel rettile! — rispose Pott.
— Che rettile? — esclamò il signor Pickwick, guardandosi intorno per paura di pestare qualche grosso scarafaggio o qualche ragno idropico.
— Quel rettile, — borbottò Pott, afferrando pel braccio il signor Pickwick ed indicando il forestiere. — Quel rettile, Slurk, dell’Indipendente!
— Forse sarebbe bene ritirarci, — suggerì il signor Pickwick.
— Giammai, signore, giammai!
E il signor Pott prese posizione sulla seggiola opposta e scegliendo un giornale da un fascio che ne aveva, incominciò a leggere di contro al suo nemico.
Il signor Pott, naturalmente, leggeva L’Indipendente, e il signor Slurk, naturalmente, leggeva La Gazzetta, e ciascuno dei due esprimeva il proprio disprezzo per la prosa dell’avversario con risa amare e con sarcastiche aspirazioni nasali; dal che passarono poi ad espressioni più esplicite delle loro opinioni, come ad esempio: Assurdo — abbietto — orrore — ciarlataneria — bricconata — fango — spazzatura — porcheria — acqua fetida — ed altri appunti critici dello stesso genere.
Bob e Ben aveano osservato questi sintomi di antagonismo e di odio con una soddisfazione che rendeva loro cento volte più saporiti i sigari che andavano fumando a pieni polmoni. Quando la lotta diè segno di raffreddarsi, il perfido Bob, volgendo cortesemente la parola a Slurk, disse:
— Permettereste, signore, ch’io dia un’occhiata al vostro giornale quando l’avrete letto?
— Troverete ben poco compenso pel vostro fastidio in questa roba qui, — rispose Slurk, scagliando a Pott uno sguardo satanico.
— Vi darò questo di qui a poco, — disse Pott, pallido dalla stizza, e con un tremito nella voce. — Ah, ah! vi divertirà molto l’audacia di costui.
Un’enfasi terribile accentuò la roba e il costui; e le faccie dei due direttori incominciarono a rosseggiare di sdegno e di sfida.
— La ribalderia di questo miserabile è assolutamente stomachevole, — disse Pott, facendo le viste di parlare a Bob; e guardando di scancio a Slurk.
Il signor Slurk rise di cuore, e piegando il giornale in modo da poter leggere un’altra colonna, disse fra i denti che quello sciocco lo divertiva davvero davvero.
— Che impostore impudente! — disse Pott, facendosi violetto da rosso che era.
— Avete mai letto delle melensaggini di costui? — domandò Slurk a Bob.
— Mai, — rispose Bob. —È proprio cattivo?
— Oh, orribile, disgustoso! — rispose Slurk.
— Questa poi è atroce! — esclamò Pott a questo punto, sempre fingendo di essere assorto nella sua lettura.
— Se avrete la forza di sorbirvi una filza di frasi dettate dalla malignità, dalla bassezza, dalla menzogna, dalla perfidia, dalla turpitudine, — disse Slurk porgendo il giornale a Bob, — troverete forse un certo compenso ridendo allo stile di questo sgrammatico imbrattacarte.
— Che avete detto, signore? — domandò Pott alzando gli occhi e tremando tutto dallo sdegno.
— Che importa a voi, signore? — disse Slurk.
— Sgrammaticato imbrattacarte, non è così?
— Signor sì, precisamente; e se vi piace meglio, pittima azzurra, signore; ah! ah!
A questo giocoso insulto il signor Pott non rispose verbo, ma piegando deliberatamente il suo Indipendente, lo gettò a terra, lo pestò sotto lo stivale, ci sputò sopra, e lo scaraventò nel fuoco.
— Ecco, signore! — disse poi allontanandosi dal camino; — e a questo modo vorrei trattare la vipera che lo produce, se, per buona sorte di lui, non fossi trattenuto dalle leggi del mio paese.
— Trattarlo così? — gridò Slurk balzando in piedi. — A coteste leggi, signore, ei non farà mai appello in un caso simigliante. Trattarlo così, avete detto?
— Udite! udite! — disse Bob.
— Magnifico, squisito! — osservò Ben.
— Trattarlo così! — ripetette Slurk con voce tonante.
Il signor Pott gli fulminò addosso un’occhiata di sprezzo che avrebbe incenerito un’ancora.
— Trattarlo così! — tornò a gridare Slurk con voce sempre più forte.
— Non lo farò, — rispose Pott, — non mi abbasserò fino a questo.
— Ah, non lo farete, signore! no eh? — disse Slurk in tono sarcastico. — Voi l’udite, o signori! Ei non lo farà; non già che abbia paura, oh no! non lo farà, ecco. Ah! ah!
— Io vi considero, o signore, — disse Pott punto dal sarcasmo, — io vi considero una vipera. Io vi guardo, o signore, come un uomo che s’è messo fuori della società con la sua audace, spudorata, abbominevole condotta politica. Io non vedo in voi, o signore, io non so vedere altro che una vipera schifosa e indomabile.
L’indignato Indipendente non aspettò la fine di questo attacco personale, perchè, dando di piglio alla sua sacca da notte, ch’era ben rimpinzata di oggetti mobili, la scagliò in aria nel punto che Pott voltava le spalle. La sacca descrisse la sua parabola e andando a colpire il capo del signor Pott proprio con quell’angolo che conteneva una spazzola massiccia, diè un rumore aspro e sordo e fece stramazzare il pubblicista sul colpo.
— Signori, — gridò il signor Pickwick mentre Pott rizzatosi afferrava la paletta, — signori, per amor del cielo, badate! — aiuto! — Sam, qua, Sam! — di grazia, signori! — aiuto — qualcuno!
Mettendo fuori queste incoerenti esclamazioni, il signor Pickwick si precipitò fra gli infuriati combattenti proprio in tempo per ricevere la sacca da una parte del corpo e la paletta dall’altra. Sia che i rappresentanti la pubblica opinione d’Eatanswill fossero dall’animosità accecati, sia che nella loro qualità di sottili ragionatori vedessero il vantaggio di aver fra loro un terzo che si pigliasse le botte, certo è che al signor Pickwick non badarono nè punto nè poco, ma sfidandosi invece calorosamante, seguitarono a scaraventare a vicenda la paletta e la sacca da notte. Il signor Pickwick ne avrebbe senza meno avuto la peggio, se il signor Weller, attirato dalle grida del padrone, non fosse piombato nella mischia e dato di piglio ad un sacco vuoto di farina non l’avesse ficcato sulla testa e sulle spalle dell’eminente Pott, legandoglielo strettamente nella vita.
— Toglietegli la sacca a quell’altro pazzo, — gridò Sam a Ben e Bob, che s’andavano dondolando intorno al gruppo, armato ciascuno di una lancetta di tartaruga e pronti a salassare il primo che cadesse intontito. — Lasciatela subito, furfante di un nano, o vi ci affogo dentro.
Intimorito da queste minacce e senza più fiato in corpo, l’Indipendente si lasciò disarmare, mentre Sam, con la debita precauzione, liberava Pott dell’improvviso smoccolatoio.
— Andatevene subito a letto, — disse Sam, — o vi ficco tutti e due qui dentro, lego la bocca, e vi lascio acciuffare a tutto vostro comodo. E voi, signore, fatemi la finezza di venirvene da questa parte.
Così parlando al suo padrone, Sam lo prese pel braccio e lo menò via; mentre i rivali direttori, per vie separate condotti a letto dall’oste sotto la guardia di Bob e Ben, si scagliavano di lontano sanguinose minacce e si davano pel giorno appresso vaghe e misteriose poste per una pugna mortale. Quando però ci ripensarono, venne loro in mente che avrebbero molto meglio sbrigata la cosa per le stampe, e senza por tempo in mezzo ripresero le più accanite ostilità; e tutta la città di Eatanswill suonò della loro intrepidezza — per iscritto.
Il mattino appresso, di buon’ora, tutti e due erano partiti in separate carrozze, prima che gli altri viaggiatori si destassero; e il tempo essendosi rischiarato, i nostri quattro amici mossero di nuovo alla volta di Londra.