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Considerando come debito di delicatezza il non presentare Bob e Ben alla giovane coppia degli sposi prima di averla ben disposta a riceverli, e volendo avere il maggior riguardo possibile pei sentimenti di Arabella, il signor Pickwick propose che egli e Sam smontassero in vicinanza del Giorgio ed Avvoltoio, e che i due giovani prendessero pel momento un alloggio più lontano. Accettata la proposta, Bob e Ben ripararono in una osteria posta verso gli ultimi confini del Borough, dietro l’uscio della quale i nomi loro avevano un tempo figurato con una certa frequenza in capo a certe lunghe e intricate operazioni aritmetiche scritte col gesso.
— Oh Dio, signor Weller, siete voi! — esclamò la graziosa cameriera, venendo ad aprir la porta.
— Proprio io, come voi siete voi, amica mia, — rispose Sam, trattenendosi un poco perchè il padrone non udisse. — Come siete belloccia, Maria, che creatura aggraziata!
— Via mo, signor Weller, non dite scioccherie. Oh, andiamo, smettete!
— O che ho da smettere, carina?
— Ma questo che fate, proprio questo! Oh Dio, scostatevi!
E la graziosa servetta spinse Sam contro il muro, dichiarando che le avea sciupato la cuffia e arruffato tutti i capelli.
— E non m’avete fatto dire quel che stavo per dire, — aggiunse Maria. — C’è una lettera per voi che v’aspetta da quattro giorni. Arrivò che non era mezz’ora da che eravate partito; e c’è anche scritto sopra urgentissima.
— E dov’è, amore?
— Ve l’ho conservata io, o se no posso ben dire che si sarebbe perduta da un pezzo. Ecco qua, prendete; gli è più che non vi meritiate.
Così dicendo e con molti vezzi pieni di civetteria esprimenti il dubbio, il timore, la speranza di non averla perduta, Maria trasse la lettera famosa di dietro al più bianco camicino di questo mondo, e la porse a Sam, il quale dopo essere stato tutto intento a quel lavoro di ricerca, con molta devozione e galanteria ne baciò la soprascritta.
— O povera me! — esclamò Maria, aggiustandosi il camicino e facendo l’innocentina, — pare che tutto ad un tratto v’abbia pigliato una gran tenerezza per cotesto po’ di foglio.
A ciò il signor Weller si contentò di rispondere con una strizzatina d’occhio, la cui profonda e sottile espressione non c’è parola che possa descrivere; e mettendosi a sedere accanto a Maria sul poggiolo d’una finestra, aprì la lettera e diè un’occhiata al suo contenuto.
— Oh! — esclamò Sam, — o che roba è questa?
— Niente di male, spero? — fece Maria, guardandogli di sopra alla spalla.
— Benedetti cotesti occhi! — disse Sam.
— Oh, lasciate un po’ stare gli occhi! meglio è che leggiate la lettera, — disse la graziosa cameriera; e in così dire occhieggiò con tanta furberia e tanta dolcezza che davvero non ci si potea resistere.
Sam si ristorò con un bacio e lesse come segue:
Marchese Gran
By Melcordì
"Mio charo Samm,
"Son’ adoloratissimo di avere il piacere di essere latore di chattive notizie vostra madrigna prese un infreddatura del perchè è restata troppa’ lungo su lerba umida alla pioggia a sentire un pastore che non era buono di smettere fina’ tardi la sera del perchè sera empito di acq’a vite e non era buono di tapparsi fina’ che sandò ripigliando che ci volle molte ore il dott’ore dice che se avesse bevuto acqu’a vite calda e acqua dopo invece di prima non sarebbe stato nulla lingrassò le ruote di lei e fece l’impossibile per farlandare vostro padre sperava che lavrebbe spuntata come al solito ma giunta alla svolta della cantonata bambino mio sbagliò la via e andò giù che pare impossibile e con tutto che corse subito sotto il dott’ore con la martingana non se ne fece nulla perchè arrivò all’ultima barriera alle sei meno venti minuti ieri sera mettendoci anche meno tempo del perchè forse avea cari chato poco bagaglio vostro padre dice che se volete ve nire a vedermi Samm lui lo riterrà come un gran favore perchè sono troppo solo Samivel bambino mio N. B. lui lo vuole scrivere chosì io dicho di no, e ci sono tante cose da aggiustare sicchè lui è sichuro che il vostro principale non dirà di no Samm perchè io lo conosco meglio di voi e lui gli fa i suoi doveri ai quali mi unisco e sono Samivel infernalmente vostro
TONY WELLER."
— Che lettera incomprensibile! — disse Sam — chi diamine ci capisce nulla coi suoi io e lui! Non è il carattere di mio padre, meno la firma in lettere stampate; questa qui è sua.
— Forse se l’avrà fatta scrivere da qualcuno e poi l’ha firmata, — suggerì la graziosa cameriera.
— Un momento! — rispose Sam, dando una novella scorsa alla lettera, e fermandosi qua e là a riflettere. — L’avete imbroccata. Quei che la scriveva stava dicendo giusto ogni cosa a proposito della disgrazia, e allora mio padre è venuto a guardargli di sopra e ha imbrogliato le carte, volendoci ficcare la roba sua. Proprio questo, non c’è che dire. Avete ragione, cara Maria.
Soddisfatto su questo punto, Sam tornò a leggere tutta la lettera, e mostrando di essersene fatta per la prima volta un’idea piuttosto chiara, esclamò tutto pensoso nel ripiegarla:
— Sicchè la povera creatura è morta! Me ne dispiace. Non sarebbe mica stata una cattiva donna, se quei cosiffatti pastori l’avessero lasciata stare. Me ne dispiace assai.
Il signor Weller disse con tanta serietà queste parole, che la graziosa cameriera abbassò gli occhi e si fece molto seria in viso.
— Del resto, — disse Sam mettendosi la lettera in tasca e sospirando, — doveva esser così, e così è stato, come disse la vecchia signora dopo che si fu sposato il servitore. Non c’è che fare, Maria, non è così?
Maria crollò il capo e sospirò anch’ella.
— Debbo andar dall’imperatore per domandargli licenza, — disse Sam.
Maria tornò a sospirare, — così commovente era stata la lettera.
— Addio! — disse Sam.
— Addio! — rispose la graziosa cameriera voltando il capo in là.
— E una stretta di mano non me la date? — disse Sam.
La graziosa cameriera, sempre voltata in là, sporse una mano molto piccina benchè di cameriera, e si alzò per andarsene.
— Non starò via molto tempo, — disse Sam.
— Siete sempre via, — disse Maria, dando al capo una leggerissima scrollatina. — Non appena arrivate, signor Weller, che subito ve n’andate.
Il signor Weller trasse più vicino a sè la domestica beltà, e le bisbigliò certe sue parole che di lì a poco la fecero voltare un tantino e poi a dirittura guardarlo in faccia. Quando si furono separati, ella dovette per una ragione o per l’altra correre in camera ad aggiustarsi la cuffia e i ricciolini prima di presentarsi alla sua padrona; la qual cerimonia andò a compiere, mandando a Sam molti cenni e sorrisi nello scappar su per le scale.
— Non starò via più di un par di giorni, signore, — disse Sam, quando ebbe comunicato al signor Pickwick la perdita avuta in famiglia.
— Tutto il tempo che volete, Sam, — rispose il signor Pickwick. — Avete il mio pieno permesso di trattenervi.
Sam s’inchinò.
— Direte a vostro padre, Sam, che se gli posso essere utile in qualche modo nel suo stato presente, lo farò volentierissimo.
— Grazie, signore. Glielo dirò.
E con varie espressioni di affetto e d’interesse, padrone e domestico s’accomiatarono.
Battevano le sette quando Samuele Weller, smontato dalla serpe di una diligenza che passava per Dorking, si trovò a un centinaio di passi dal Marchese di Granby. Era una sera fredda ed uggiosa, la via angusta era piena di tristezza e il viso di mogano del nobile e prode Marchese pareva più malinconico dell’usato, dondolandosi di qua e di là a posta del vento e scricchiolando dolorosamente. Le persiane erano abbassate e le imposte semichiuse; del solito gruppo di perditempo che raccoglievansi davanti alla porta non se ne vedeva un solo; il posto era muto e desolato.
Non vedendo alcuno cui poter rivolgere qualche domanda preparatoria, Sam si avanzò lentamente, e guardando intorno, scorse subito in distanza il suo genitore.
Il vedovo sedeva davanti ad un tavolino nella stanzetta dietro il banco, fumandosi una pipa con gli occhi fisi sul fuoco. Era chiaro che i funerali aveano avuto luogo il giorno stesso, perchè attaccata al cappello ch’ei si teneva ancora in capo vedevasi una fascia di circa un braccio e mezzo che pendeva negligentemente di sopra la spalliera della seggiola. Il signor Weller era assorto in profondi pensieri, perchè a malgrado che Sam lo chiamasse più volte per nome, ei seguitò a fumare con la stessa tranquillità raccolta, e si scosse soltanto quando il figlio gli mise una mano sulla spalla.
— Sam, — fece il signor Weller, — benvenuto.
— Vi ho già chiamato una mezza dozzina di volte, — disse Sam appendendo il cappello ad un piolo, — ma non m’avete dato retta.
— No, Sam, — rispose il signor Weller tornando a contemplare il fuoco, — non v’ho inteso; stavo in un referto, Sam.
— In un che? — domandò Sam, tirandosi la seggiola presso il fuoco.
— In un referto Sam, a proposito di lei.
E il signor Weller accennò col capo verso il cimitero di Dorking per far capire al figliuolo che le sue parole si riferivano alla defunta signora Weller.
— Stavo pensando, Sam, — riprese dopo un poco il signor Weller, guardando serio serio al figliuolo di sopra alla pipa come ad assicurarlo che per incredibile e straordinaria che potesse parere la sua dichiarazione, era nondimeno schietta e ponderata, — stavo pensando, Sam, che tutto sommato m’è dispiaciuto assai che se ne sia andata.
— Cotesto si capisce, — osservò Sam.
Il signor Weller approvò col capo, e tornando a fissar gli occhi sul fuoco si avvolse in una nuvola di fumo e meditò profondamente.
— Erano sensibili assai quelle osservazioni che mi faceva lei, Sam, — disse il signor Weller, dopo un lungo silenzio, scacciando il fumo con la mano.
— Che osservazioni?
— Quelle che mi faceva quando le prese male.
— E che diceva?
— Diceva questo su per giù: "Weller, diceva, io ho paura di non essere stata per voi quella che avrei dovuto essere; voi siete un gran brav’uomo, ed io vi avrei potuto portare più contentezza a casa. Adesso, dice, comincio a vedere quando non è più tempo che se una donna maritata vuol essere religiosa ha da cominciare a badar alle faccende di casa ed a far contenti e felici quelli che le stanno intorno, e che mentre va in chiesa o in cappella o dove diavolo sia a tempo debito, ha da guardar bene di non pigliar la cosa come una scusa all’ozio, alla sbadataggine o peggio. Io ho fatto proprio questo, dice, ed ho buttato via tempo e danaro per quelli che lo facevano anche peggio di me; ma io spero che quando me ne sarò andata, Weller, voi penserete a me come ero prima che conoscessi quella gente lì e come era proprio il mio carattere." — "Susanna, dico io, — tutto questo mi pigliò alla sprovvista, Sam, non lo nego, — Susanna, dico, voi siete stata per me una buona moglie, ecco, non se ne parli più, statevi di buon animo, cara mia, e camperete ancora tanto da vedermi schiacciar la zucca di quel cosiffatto Stiggins." Ella sorrise a questo, Sam, — conchiuse il vecchio soffocando un sospiro con la pipa, — ma dopo tutto se ne morì!
— Ebbene, — disse Sam, tentando di offrire una piccola consolazione domestica dopo tre o quattro minuti passati dal vecchio a dondolar lentamente il capo in qua e in là ed a fumare solennemente — ebbene, il fatto è che un giorno o l’altro, a questo ci dobbiamo esser tutti.
— Tant’è, Sam, non c’è rimedio.
— C’è in questo una provvidenza.
— Naturalmente c’è. O che farebbero altrimenti i beccamorti, Sam?
Perduto nello smisurato campo di congetture aperto da questa riflessione, il signor Weller posò la pipa sulla tavola e con una faccia tutta pensosa si diè ad attizzar il fuoco.
In questo mentre una cuoca grassotta, vestita a bruno, che fino a quel momento s’era data attorno nella sala del banco, entrò chetamente nella stanzetta e con vari cenni amichevoli mostrando di riconoscere Sam, si fermò in silenzio dietro la seggiola del padre, annunziando la propria presenza prima con un po’ di tosserella, poi con un colpo di tosse più forte.
— Ohe! — esclamò il vecchio signor Weller lasciandosi nel voltarsi scappar di mano le molle e tirandosi subito in là con la seggiola. — Che c’è di nuovo adesso?
— Un sorso di tè, che ne dite? — insinuò la donna grassotta.
— Non ne voglio, — rispose il signor Weller in tono burbero. — Andate al, — il signor Weller si contenne ed aggiunse a voce più bassa, — andatevene.
— Oh Dio, come la disgrazia muta la gente! — esclamò la donna alzando gli occhi al soffitto.
— Purchè non mi muti tu che sei un’altra disgrazia, — borbottò il signor Weller.
— Davvero che non ho mai visto un uomo così burbero.
— Non ci badate; tutto pel mio meglio, come disse lo scolare pentito quando gli dettero il cavallo.
La donna grassotta crollò il capo con aria di pietà e di simpatia; e volgendosi a Sam, gli domandò se il padre non dovesse proprio fare uno sforzo per tenersi su e non farsi abbattere a quel modo.
— Vedete, signor Samuele, — soggiunse poi, — come gli dicevo appunto ieri, ei si sentirà isolato, questo si capisce, ma dovrebbe poi star di buon animo, perchè, Dio mio, è certo che a tutti ci ha fatto un gran colpo la morte della povera donna e siamo pronti a fare ogni cosa per lui; e non c’è nulla, signor Samuele, che non ci si possa rimediare, come giusto mi disse una degna persona quando mi morì la buon’anima di mio marito.
E la donna, mettendosi la mano sulla bocca, tornò a tossire e volse al signor Weller seniore un’occhiata affettuosa.
— Siccome non ho bisogno proprio adesso della vostra conversazione, signora mia, mi fate la finezza di ritirarvi? — domandò il signor Weller con voce grave e ferma.
— Ebbene, signor Weller, in coscienza di donna onesta io non v’ho parlato che a fin di bene.
— Non dico mica di no. Sam, accompagnate la signora e chiudete dietro la porta.
Senza aspettare altro, la donna grassotta si tolse subito di là e sbatacchiò l’uscio con violenza.
— Sam, — disse il signor Weller tutto acceso in viso e sudato sdraiandosi sulla seggiola, — se restassi qui un’altra sola settimana, una sola, bambino mio, cotesta donna costì mi sposerebbe per forza prima dei sette giorni.
— Tanto vi vuol bene?
— Bene! non me la posso spiccar dalle costole. Se fossi serrato in una cassa forte a prova di fuoco, scommetto che troverebbe il modo di scovarmi.
— Che bella cosa essere ricercato a questo modo! — osservò Sam sorridendo.
— Non me ne tengo mica, Sam, — rispose il signor Weller attizzando il fuoco con violenza; — è una situazione orribile. Finirà che pianto la casa e tutto. Quella povera donna aveva appena dato l’ultimo respiro, che subito una vecchia mi manda un vaso di conserva, e un’altra una boccia di ciliege, e un’altra mi fa un gran ramino di tè che pareva camomilla e me lo porta con le sue proprie mani.
Il signor Weller tacque un momento con aspetto di profondo disgusto, e guardandosi intorno, soggiunse:
— Erano tutte vedove, Sam, tutte quante; meno quella della camomilla, che era una signorina zitella di cinquantatrè anni.
Sam rispose con una sua occhiata comica, e il vecchio dopo aver rotto un pezzo ostinato di carbone con una espressione di crudeltà soddisfatta come se in quello avesse visto la testa di una delle vedove sullodate, disse:
— In somma, Sam, io sento che soltanto in serpe posso star sicuro.
— E come?
— Perchè un cocchiere è un individuo privilegiato. Perchè un cocchiere può fare, senza dar sospetto, quel che nessun altro può fare; perchè un cocchiere può stare nei termini più amichevoli con ottanta miglia di femmine, e nessuno penserà mai ch’ei se ne voglia sposare mezza. E dov’è un altr’uomo che possa dir lo stesso, Sam?
— C’è qualchecosa in cotesto.
— Se il vostro padrone fosse stato cocchiere, vi pare mo che quei signori del giurì l’avrebbero condannato, dato e non concesso che le cose avessero potuto arrivare a quel punto? Non avrebbero avuto coraggio, Sam.
— O perchè?
— Perchè! perchè sarebbe stato contro coscienza. Un cocchiere è come un anello di congiunzione tra il celibato e il matrimonio, ed ogni uomo pratico lo sa.
— Volete dire che tutti li vogliono e nessuno se li piglia, non è così?
Il signor Weller crollò il capo.
— Come succeda la cosa, — riprese poi a dire, — io non lo so, come va che i cocchieri di diligenza abbiano di queste insinuazioni, e che tutte gli stiano sempre con gli occhi addosso, per non dire che gli adorano, tutte le donne dei paesi dove si passa, questo non lo so. Questo so che la cosa sta così; è una legge di natura, un dispensario, come la buon’anima diceva sempre.
— Una dispensa, — corresse Sam.
— Sia pure una dispensa, come vi piace, Sam; io la chiamo un dispensario, e sempre così l’ho veduto scritto dove si danno le medicine gratis purchè si porti la bottiglia; ecco fatto.
Così dicendo il signor Weller ricaricò e riaccese la pipa, e tornando a farsi pensoso, continuò come segue:
— Sicchè, bambino mio, siccome non mi va punto punto che m’abbiano a sposar qui per forza e siccome nel tempo stesso non ho voglia di separarmi dalla società, mi son deciso di tirar diritto alla Bella Selvaggia, che è il mio elemento naturale, Sam.
— E che si farà qui del negozio?
— Il negozio, Sam, con le provviste, la mercanzia, i mobili e tutto si venderà per contratto privato; e del danaro che se ne ricava, duecento sterline, secondo il desiderio della buon’anima prima di morire, saranno investite nel vostro nome in... quelle cose lì, come si chiamano, sapete?
— Che cose?
— Quelle cose che vanno sempre su e giù in città.
— Gli Omnibus?
— No! Quelle cose che non stanno mai ferme e che in un modo o nell’altro si trovano sempre imbrogliate col debito pubblico e i biglietti e altre diavolerie.
— Ah! i fondi.
— Bravo, i fondaci, duecento sterline saranno investite per voi, Sam, nei fondaci; quattro e mezzo per cento, Sam.
— Un bel pensiero della buon’anima, — disse Sam, — e io le sono veramente obbligato.
— Il resto lo investiremo in nome mio, — riprese a dire il vecchio signor Weller; — e quando ribalterò anch’io e cadrò nel fosso, verrà a voi pure; sicchè, bambino mio, badate a non spenderlo tutto in una volta, e che nessuna vedova venga a subodorare che ce n’avete, altrimenti siete bell’e spacciato.
Dato questo consiglio, il signor Weller riprese con più sereno viso a fumare, sollevato in gran parte, a quanto pareva, da tutte le cose che avea dette.
— Battono alla porta, — disse Sam.
— Lasciamoli battere, — rispose il padre con dignità.
Sam obbedì e stette cheto al suo posto. Si udì allora un’altra bussata, e poi un’altra, e poi molte altre; al che Sam domandò se non si dovesse far entrare.
— Zitto, — bisbigliò il signor Weller pieno di apprensione; — fate le viste di non aver udito, Sam; l’ha da essere una delle vedove.
Dopo un poco, l’incognito visitatore, stanco di battere, si azzardò a spingere un po’ l’uscio e spiare. Non era una testa di donna, ma invece il viso rosso inquadrato da lunghi capelli neri del reverendo Stiggins. Il signor Weller si lasciò cader di mano la pipa.
Il reverendo, a poco a poco ed impercettibilmente, seguitò a spingere l’uscio fino a che l’apertura fu sufficiente a dar passaggio alla sua magra persona; e allora sgusciò dentro e richiuse con gran cura la porta. Volgendosi a Sam ed alzando le mani e gli occhi in segno del dolore ineffabile con cui egli guardava alla calamità piombata sulla famiglia, trascinò il solito seggiolone al solito posto accanto al fuoco, e mettendosi a sedere proprio sull’orlo e con tutta compunzione, cavò di tasca un fazzoletto scuro e se lo applicò agli occhi.
Mentre questo accadeva, il signor Weller seniore se ne stava ritto sulla sua seggiola, con tanto d’occhi sbarrati, con le mani puntate sulle ginocchia, con una fisonomia piena del più straordinario stupore. Sam gli stava dirimpetto in perfetto silenzio, aspettando di vedere con molta curiosità come la cosa sarebbe andata a finire.
Il signor Stiggins si tenne sugli occhi per qualche minuto il fazzoletto scuro, debitamente lamentandosi; quindi, facendo sopra sè stesso un grande sforzo, se lo ricacciò in tasca e si abbottonò. Dopo di ciò attizzò il fuoco, si diè una fregatina di mani e guardò in viso a Sam.
— Oh, mio giovane amico! — disse il signor Stiggins, rompendo a bassa voce il silenzio, — gli è un gran dolore.
Sam fece un lieve cenno col capo.
— Anche pel reprobo! — soggiunse il signor Stiggins, — anche pel reprobo! È una cosa che fa sanguinare un cuore ben fatto.
Il signor Weller padre borbottò fra i denti qualche cosa a proposito di far sanguinare un certo naso; ma non l’udì che il solo Sam.
— Sapreste per caso, mio giovane amico, — bisbigliò il signor Stiggins accostandosi a Sam con la seggiola, — se ha lasciato nulla ad Emanuele?
— A chi? — domandò Sam.
— Alla cappella, alla nostra cappella; al nostro gregge, signor Samuele.
— Non ha lasciato nulla al gregge, e nemmeno al pastore e nemmeno agli altri animali, — rispose Sam recisamente; — e nemmeno ai cani.
Il signor Stiggins guardò con occhio astuto a Sam, diè un’occhiata al vecchio che facea le viste di dormire, e accostandosi ancora un poco, domandò:
— E niente per me, signor Samuele?
Sam scrollò il capo.
— Credo che qualche cosa ci debba essere, — suggerì Stiggins, facendosi pallido per quanto a lui era possibile. — Pensateci bene, signor Samuele; nessun piccolo ricordo?
— Nemmeno il valore di quel vostro ombrellaccio sgangherato, — rispose Sam.
— Forse, — disse il signor Stiggins esitando, dopo averci pensato un po’ sopra, — forse mi avrà raccomandato al reprobo, eh, signor Samuele?
— È facile, almeno da quello che mi diceva or ora; si parlava giusto di voi quando siete entrato.
— Proprio? — esclamò il signor Stiggins rischiarandosi in viso. — Ah! scommetto ch’è mutato. Potremmo così bene vivere insieme adesso, signor Samuele, non vi pare? Io baderei alla sua proprietà, quando voi siete via; ci baderei molto, vedete.
Traendo un lungo sospiro il signor Stiggins tacque aspettando una risposta. Sam accennò di sì col capo, e il signor Weller seniore diè sfogo ad un suono gutturale straordinario, il quale non essendo nè un gemito, nè un grugnito, nè un colpo di tosse, nè una strozzatura, partecipava però in qualche modo di tutti e quattro questi suoni.
Incoraggiato il signor Stiggins da questo suono che gli parve un indizio di rimorso o di pentimento, si guardò intorno, si fregò le mani, pianse, sorrise, ripianse, e poi andando pian piano verso una ben nota scansia, ne tolse un bicchiere e vi pose dentro quattro pezzi di zucchero. Ciò fatto, si guardò di nuovo intorno e sospirò dolorosamente; andò poi al banco e tornatone col suo bicchiere a metà pieno di rum si accostò al ramino che gorgogliava sul fuoco, fece il suo ponce, girò col cucchiaino, assaggiò, si mise a sedere, e fatto un sorso lungo e cordiale, si fermò per ripigliar fiato.
Il vecchio signor Weller, che continuava a fare sforzi soprannaturali per dare a credere che dormisse, non fiatò verbo durante queste varie operazioni; ma quando il signor Stiggins si fermò a rifiatare, gli saltò addosso, e strappandogli di mano il bicchiere, gli gittò sulla faccia il resto del ponce e scaraventò il bicchiere nel camminetto. Quindi, afferrato pel collo il reverendo, con una furia rovinosa prese a dargli dei calci, accompagnando ogni applicazione del suo stivale alla persona del signor Stiggins con varie incoerenti maledizioni e parole massicce dirette al medesimo.
— Sam, — disse il signor Weller, — calcami bene il cappello in capo.
Sam da buon figliuolo obbedì al cenno paterno, e il vecchio riprendendo con più agilità di prima la sua furia di calci attraversò in compagnia del reverendo prima il banco, poi il corridoio, poi la porta, e alla fine si trovò sulla strada, seguitando sempre la serie dei calci e crescendo più che scemando in violenza ogni volta che lo stivale si sollevava.
Era uno spettacolo consolante vedere l’uomo dal naso rosso contorcersi nella stretta del signor Weller e tremar tutto dall’angoscia mentre in rapidissima successione un calcio teneva dietro all’altro; e fu ancora più bello quando il signor Weller, dopo una lotta faticosa, riuscì ad immergere il capo del signor Stiggins in un abbeveratoio pieno d’acqua, e ve lo tenne fermo fino a che non l’ebbe a metà soffocato.
— To’, prendi! — esclamò il signor Weller, concentrando tutta la sua energia in un calcio complicatissimo nel punto che il reverendo tirava fuori il capo dall’acqua. — Mandami qui tutti cotesti fannulloni di pastori e te li faccio in gelatina uno per uno e poi te li sciolgo in acqua. Sam, torniamo dentro e datemi un bicchierino d’acquavite. Non ho più fiato in corpo, bambino mio.