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Quando Arabella, dopo un po’ di preparazione e molte assicurazioni che non c’era motivo alcuno di scoraggiarsi, seppe alla fine dal signor Pickwick l’esito poco felice della visita a Birmingham, scoppiò in un gran pianto, e singhiozzando forte, si dolse con parole commoventi di essere stata cagione di discordia tra padre e figlio.
— Bambina mia, — disse con dolcezza il signor Pickwick, — non è mica colpa vostra. Nessuno potea prevedere che il vecchio signore fosse così fortemente prevenuto contro il matrimonio del figlio. Io son sicuro ch’ei non può avere la menoma idea del piacere di cui si priva.
— Oh, mio caro signor Pickwick, e che faremo se continua a stare in collera con noi?
— Aspetterete tranquillamente che ci pensi meglio.
— Ma, mio caro signor Pickwick, che ne accadrà del povero Nataniele se il padre gli nega a dirittura ogni appoggio?
— In questo caso, amor mio, io ho motivo di credere che ci sarà qualche altro amico che non lo abbandonerà e che lo aiuterà in tutti i modi a fare il suo cammino nel mondo.
Il senso di questa risposta non era così astruso che Arabella non lo capisse alla prima. Sicchè, gettando le braccia al collo del signor Pickwick e baciandolo affettuosamente, singhiozzò più forte di prima.
— Via, via, — disse il signor Pickwick prendendola per mano, — aspetteremo qui qualche altro giorno per veder se scrive o in qualunque modo si dà per inteso della lettera di vostro marito. Se no, io ho già in pronto una mezza dozzina di progetti, ciascuno dei quali vi farebbe felice ad un tratto. Via mo, prego, prego!
Con queste parole il signor Pickwick strinse affabilmente la mano d’Arabella, dicendole che si asciugasse gli occhi e non desse dispiacere al marito. E Arabella, che era una buona e cara creatura, si rimise il fazzoletto nella borsa, e arrivando il signor Winkle, aveva in viso quella stessa luce di sorrisi e di sguardi che un tempo lo aveano conquiso.
— È una dolorosa posizione per questi giovani, — pensò il signor Pickwick mentre si vestiva il giorno appresso. — Voglio andar da Perker e domandare a lui un consiglio.
Siccome un gran desiderio aveva anche di aggiustare i suoi conti con quel bravo ometto dell’avvocato, il signor Pickwick fece colazione in gran fretta e tanto studiò il passo che arrivò a Gray’s Inn prima che le dieci fossero battute.
Ci volevano ancora dieci minuti per le dieci quando fu giunto alla porta di Perker. I giovani dello studio non erano ancora arrivati ed egli ingannò il tempo mettendosi a guardare dalla finestra delle scale.
La luce chiara di un bel mattino di Ottobre rianimava anche le case tristi e decrepite, e qualche polverosa finestra brillava con allegria quasi che i raggi del sole la percotessero. Uno dopo l’altro, sboccavano da varie parti nella piazza i giovani di studio, e alzando gli occhi al grande orologio, acceleravano o rallentavano il passo secondo l’orario del proprio ufficio, quei delle nove e mezzo diventavano subito svelti e leggieri, e quei delle dieci si mettevano ad un passo di una comodità tutta aristocratica. L’orologio suonò le dieci, ed altri scrivani arrivarono, ciascuno più affaticato e sudato del suo predecessore. Il rumore delle serrature e delle porte che si aprivano echeggiò da tutte le parti, ad ogni finestra come per incanto apparvero dei capi, i fattorini presero il loro posto, le donne di faccende in ciabatte si dettero attorno, il postino andò tirando il campanello di casa in casa, e tutto l’alveare legale fu in movimento.
— Siete mattiniero, signor Pickwick, — disse una voce.
— Ah, signor Lowten! — esclamò voltandosi il signor Pickwick.
— Ci si riscalda parecchio a camminare, eh? — disse Lowten, cavando di tasca una chiave Bramah con entro un turaccioletto perchè non la sciupasse la polvere.
— Lo si vede bene, — rispose il signor Pickwick sorridendo e guardando il viso del suo interlocutore che era rosso come fuoco.
— Son venuto via di buon passo, — disse Lowten. — Erano le nove e mezzo quando ho traversato il Poligono. Però sono arrivato qui prima di lui e poco mi preme.
Confortato da questa riflessione, il signor Lowten stappò la chiave, aprì la porta, tornò a tappare e ad intascare, e raccolte le lettere che il postino aveva gettato per la buca, introdusse il signor Pickwick nello studio. Qui, in un batter d’occhio, si cavò il soprabito, indossò una giacca logora e scolorita che trasse da un cassetto, appese il cappello ad un piolo, pose sulla scrivania un quadernetto di carta sugante e carta bianca in fogli alternati, e mettendosi una penna dietro l’orecchio, si diè con grande soddisfazione una fregatina di mani.
— Ecco qua, signor Pickwick, — disse, — adesso sono completo. Ho indossato il mio vestito d’ufficio, la bottega è aperta, venga chi vuole. — Non ci avreste per caso una presa di tabacco?
— No, non ce n’ho.
— Me ne dispiace. Non importa, scapperò or ora un momentino a pigliare una bottiglia di soda. Non vi pare che ci abbia qualcosa di curioso negli occhi, signor Pickwick?
Il signor Pickwick guardò di lontano gli occhi del signor Lowten ed espresse la sua opinione che non c’era niente di curioso in quella parte del viso.
— Tanto meglio, — disse Lowten. — L’abbiamo fatta un po’ tardi stanotte ed ora mi sento un po’ intontito. A proposito, Perker si è occupato di quella vostra faccenda, sapete.
— Che faccenda? Le spese della signora Bardell?
— No, non dico cotesto. Quel prigioniero, sapete, pel quale aggiustammo a conto vostro lo strozzino col cinquanta per cento, per farlo uscir dalla Fleet e spedirlo a Demerara.
— Ah, Jingle! Sicuro. Ebbene?
— Ebbene, tutto è accomodato, — disse Lowten temperando la penna. — L’agente a Liverpool ha detto che gli avevate reso molti servigi quando eravate in affari e che lo prendeva molto volentieri essendo persona vostra.
— Bravissimo, mi fa proprio piacere.
— Ma dico eh, — soggiunse Lowten grattando il dorso della penna prima di fare un altro spacco, — che buon diavolo è quell’altro.
— Quale altro?
— Quel suo servitore o amico o altro che sia; Trotter, sapete.
— Ah! L’ho sempre creduto il contrario.
— E io pure, alla prima impressione. Altra prova come ci si possa ingannare. Che direste mo se anch’egli filasse alla volta di Demerara?
— Come! rinunziando a quel che gli è stato offerto qui?
— Trattando proprio come spazzatura l’offerta di Perker di diciotto scellini la settimana e anche una promozione se si portava bene. Disse che doveva accompagnar quell’altro, e così persuasero Perker a riscrivere. Gli hanno trovato un altro posticino laggiù; punto migliore, dice Perker, di quel che avrebbe un condannato nella Nuova Galles del Sud, se si presentasse al dibattimento tutto vestito a nuovo.
— Che sciocco! — esclamò con occhi umidi il signor Pickwick, — che sciocco!
— Altro che sciocco! cretino a dirittura, vedete, — rispose Lowten assottigliando la penna con una faccia di pietoso disprezzo. — Dice che gli è l’unico amico che abbia mai avuto, e che gli è affezionato, e via su questo tono. Non dico, l’amicizia è una gran bella cosa; anche noi al Ceppo siamo tutti amici, quando si beve il ponce, dove ciascuno si paga il suo; ma che non v’abbiate a scomodar per un altro, vedete! Nessuno al mondo dovrebbe avere più di due affezioni — la prima al signor me e la seconda alle signore. Ecco come la intendo io, ah! ah!
Il signor Lowten conchiuse con una gran risata tra il giocoso e il derisorio, che fu troncata a mezzo dal rumore dei passi di Perker su per le scale, che lo fece subito curvar sulla scrivania e scrivere furiosamente.
I saluti tra il signor Pickwick e il suo consulente legale furono caldi e cordiali; ma non ancora il cliente si era bene adagiato nella poltrona offertagli dall’avvocato, che s’udì bussare alla porta ed una voce domandò se c’era il signor Perker.
— Zitto! — disse Perker. — Uno dei vostri due vagabondi; Jingle in persona, mio caro signore. Volete vederlo?
— Che ne dite voi? — domandò un po’ dubbioso il signor Pickwick.
— Sì, credo che fareste bene a vederlo. Avanti, come vi chiamate, entrate pure, spingete!
Obbedendo a questo invito poco cerimonioso, Jingle e Job entrarono, ma, scorgendo il signor Pickwick, si arrestarono con un certo imbarazzo.
— Ebbene, — disse Perker, — non conoscete questo signore?
— Buona ragione per conoscerlo, — rispose Jingle avanzandosi; — signor Pickwick — obbligazione eterna — salvato la vita — fatto di me un uomo — non ve ne pentirete mai, signore.
— Sono lieto di sentirvi parlar così, — disse il signor Pickwick, — state molto meglio, si vede.
— Grazie a voi, signore — gran mutamento — prigione di sua maestà — luogo malsano — sicuro, — rispose Jingle, crollando il capo. Era vestito con decenza, e come lui anche Job, che gli stava ritto alle spalle sbarrando gli occhi sul signor Pickwick con una faccia di bronzo.
— Quando è che partono per Liverpool? — domandò sottovoce a Perker il signor Pickwick.
— Stasera alle sette, — rispose Job che aveva udito. — Con la diligenza della City.
— Avete preso i posti?
— Signor sì.
— E siete proprio deciso a partire?
— Decisissimo.
— In quanto alle prime spese che erano indispensabili per Jingle, — disse Perker parlando ad alta voce al signor Pickwick, — ho preso sopra di me di fare un certo accordo per una piccola ritenuta sul suo salario, che rimessa regolarmente per un anno basterà a mettere i conti in pari. Io son di parere, mio caro signore, che non dobbiate far nulla per lui, se non in seguito dei suoi buoni servigi e della sua buona condotta.
— Certo, — rispose Jingle con fermezza. — Testa quadra — uomo di mondo — ha ragione — sicurissimo.
— Accordando il suo creditore, riscattando i suoi effetti impegnati, aiutandolo in prigione, e pagando la traversata, — proseguì Perker senza por mente all’interruzione di Jingle, — avete già perduto più di cinquanta sterline.
— Perduto no, — fu pronto a ribattere Jingle. — Pagherò tutto — lavoro continuo — risparmio — a poco a poco. Forse la febbre gialla — non sarà colpa mia — ma se no...
Qui il signor Jingle si fermò e dando un gran pugno sul suo cappello, si passò la mano sugli occhi e si pose a sedere.
— Ei vuol dire, — disse Job avanzandosi di qualche passo, — che se la febbre non se lo piglia, renderà tutto il danaro. Se campa, lo farà, signor Pickwick. Ci baderò anch’io. Son certo che lo farà, signore, — ripetette Job con forza. — Ci piglierei giuramento.
— Bene, bene, — disse il signor Pickwick che avea fatto a Perker tanti visacci per arrestare l’enumerazione dei benefici conferiti, cui il piccolo avvocato non volle assolutamente por mente; — dovete solo badar bene, signor Jingle, a non far più di quelle vostre disperate partite di cricket, nè a rinnovare la vostra conoscenza con Sir Tommaso Blazo, ed io son sicurissimo che vi conserverete in buona salute.
Il signor Jingle sorrise a questa uscita, ma poichè si mostrava un po’ confuso, il signor Pickwick mutò discorso, dicendo:
— Non sapreste per caso quel che è avvenuto di un altro vostro amico, un amico più modesto, che io vidi a Rochester?
— Il lugubre Jemmy? — domandò Jingle.
— Per l’appunto.
Jingle crollò il capo.
— Birbone di talento — furbo — vero genio comico — fratello di Job.
— Fratello di Job! — esclamò il signor Pickwick. — Ma sì, ora che lo guardo più da vicino, una somiglianza c’è.
— Ci hanno sempre scambiati, — disse Job con una scintilla di furberia nell’angolo dell’occhio, — soltanto che io sono sempre stato molto serio, ed egli no. Emigrò per l’America, perchè qui lo cercavano troppo e non ci stava più bene; e da allora non se n’è avuto più notizie.
— Così mi spiego che non m’abbia mandato la "Pagina del romanzo della vita reale" che mi promise una mattina quando lo trovai sul ponte di Rochester a meditare, credo, il suicidio, — disse sorridendo il signor Pickwick.
— Non ho bisogno di domandare se il suo lugubre portamento fosse vero o simulato.
— Era buono di simulare ogni cosa, signore, — disse Job. — Potete chiamarvi fortunato di essergli sfuggito a così buon mercato. Nell’intimità, ei sarebbe stata una conoscenza anche più pericolosa di... — Job guardò a Jingle, esitò, ed aggiunse finalmente: — di... di... me stesso.
— Una famiglia piena di speranze la vostra, signor Trotter, — disse Perker, sigillando una lettera che aveva intanto finito di scrivere.
— Sicuro, — rispose Job. — Molto.
— Bravo, — disse l’ometto ridendo; — spero bene che le farete disonore. Consegnate questa lettera all’agente quando sarete a Liverpool, e studiatevi tutti e due, signori miei, di non fare troppo i furbi laggiù nelle Indie. Se non profittate di questa buona occasione, vi sarete largamente meritata la forca, alla quale prima o dopo ho fiducia che arriverete. Ed ora sarebbe bene che ci lasciaste soli, perchè abbiamo altre faccende da sbrigare e il tempo è prezioso.
E così dicendo Perker guardò verso la porta con l’evidente desiderio di abbreviare i convenevoli e le affettuosità del commiato.
Il commiato da parte di Jingle fu brevissimo. Con poche e tronche parole ei ringraziò il piccolo avvocato della bontà e della sollecitudine con cui l’aveva aiutato, e volgendosi al suo benefattore, stette per qualche momento incerto su quel che dovesse dire o fare. Job Trotter lo tolse da questa perplessità, perchè fatto un inchino umile e pieno di gratitudine al signor Pickwick, prese l’amico suo per un braccio e lo menò via.
— Una degna coppia, — disse Perker mentre l’uscio si richiudeva.
— Spero che lo divengano, — rispose il signor Pickwick. — Che ve ne pare a voi? C’è probabilità che si rimettano una volta per sempre sulla buona via?
Perker scrollò le spalle in segno dubitativo, ma vedendo lo sguardo ansioso e scontento del suo cliente, rispose:
— Naturalmente una probabilità c’è. Auguriamoci che la sia buona. Per ora non c’è dubbio che siano pentiti, ma le piaghe, capite, sono ancora fresche. Che cosa faranno, quando non se le sentiranno più addosso, gli è un problema che nè voi nè io possiamo risolvere. In tutti i modi, mio caro signore, — aggiunse Perker mettendo una mano sulla spalla del signor Pickwick, — il vostro scopo è sempre nobilissimo, quale che ne sia l’effetto. Se quella specie di bontà che per soverchia prudenza e previdenza non trova quasi mai da esercitarsi, per paura che chi la esercita venga messo in mezzo o ferito nell’amor proprio sia carità vera o ipocrisia mondana, lascio decidere a cervelli più dotti del mio. Ma se quei due figuri lì avessero a commettere domani una birbonata, la mia opinione sull’opera vostra non muterebbe di un capello.
Dette queste parole con più calore che non sogliano avere gli uomini di legge, Perker si avvicinò con la seggiola alla scrivania ed ascoltò la relazione del signor Pickwick sulla caparbietà del vecchio Winkle.
— Dategli una settimana di tempo, — disse poi, crollando in atto profetico il capo.
— Credete che si piegherà?
— Credo. In caso contrario, proveremo a farlo persuadere dalla sposa; cosa che qualunque altro che voi avrebbe fatto alla bella prima.
Il signor Perker annasava una presa di tabacco con varie contrazioni del viso in onore delle facoltà persuasive proprie del bel sesso, quando si udì il suono di alcune voci della camera di fuori, e Lowten bussò.
— Avanti, — disse l’avvocato.
Lo scrivano entrò e richiuse con gran mistero la porta.
— Che c’è? — domandò Perker.
— C’è gente che vi vuole.
— Chi?
Lowten diè un’occhiata al signor Pickwick e tossì.
— Chi è che mi vuole? su, Lowten, parlate.
— Ma... vedete... è il signor Dodson; e lo accompagna il signor Fogg.
— O povero me! — esclamò l’ometto, guardando al suo orologio; — gli aspettavo appunto alle undici e mezzo per aggiustare quella faccenda vostra, Pickwick. Ho dato loro un conto definitivo sul quale debbono apporre quietanza. Brutto contrattempo, mio caro signore; che volete fare? Vorreste passare nella camera appresso?
La camera appresso essendo quella medesima nella quale Dodson e Fogg si trovavano, il signor Pickwick rispose di voler rimanere dove stava, tanto più che Dodson e Fogg dovevano arrossire di guardar lui in faccia, piuttosto che vergognarsi lui di vederli; la quale circostanza ei fece notare a Perker con viso acceso e con molti segni d’indignazione.
— Benissimo, mio caro signore, benissimo, — rispose Perker; — debbo soltanto avvertirvi che se voi aspettate che Dodson e Fogg possano arrossire o in qualunque modo confondersi a guardare in faccia o voi o chi si voglia, voi siete il più ingenuo uomo a questo mondo. Lowten, fateli passare.
Il signor Lowten scomparve sogghignando, e subito tornò introducendo la ditta con la debita formalità di precedenza — Dodson avanti e Fogg appresso.
— Credo che abbiate veduto il signor Pickwick? — disse Perker a Dodson, inclinando la penna nella direzione di quello.
— Come state, signor Pickwick? — domandò Dodson ad alta voce.
— Oh, il signor Pickwick — esclamò Fogg. — Come state? Spero di sentirvi bene. Mi pareva bene che il viso non m’era nuovo.
E Fogg, messosi a sedere, si guardò intorno con un sorriso.
Il signor Pickwick piegò appena il capo in risposta a questi saluti, e vedendo che Fogg cavava dalla tasca del soprabito un fascio di carte, si alzò e andò verso la finestra.
— Non c’è bisogno che il signor Pickwick si scomodi, — disse Fogg a Perker, sciogliendo lo spago rosso che teneva stretto il fascio e tornando a sorridere con più dolcezza di prima. — Il signor Pickwick li conosce molto bene questi atti, e non mi pare che fra noi ci siano segreti. Ih! ih! ih!
— Non molti, non molti, — disse Dodson. — Ah! ah! ah!
E i due socii risero a coro ed allegramente, come sogliono spesso le persone che stanno per riscuotere del denaro.
— Gli faremo pagar una tassa se vuol guardar qui dentro, — disse Fogg scherzosamente nello squadernare i suoi fogliacci. — L’ammontare delle spese, signor Perker, è di centotrentatrè sterline, sei scellini e quattro pence.
Vi fu un gran confrontar di carte e voltar di fogli tra Fogg e Perker, durante il quale Dodson disse affabilmente al signor Pickwick:
— Non mi pare che abbiate così buona cera come l’ultima volta ch’ebbi il piacere di vedervi, signor Pickwick.
— È possibile, signore, — rispose il signor Pickwick, che aveva lanciato occhiate fiammanti d’indignazione senza produrre il menomo effetto sull’uno o l’altro dei due azzeccagarbugli; — è possibilissimo. Sono stato di recente perseguitato e molestato da alcuni furfanti, signore.
Perker tossì con violenza, e domandò al signor Pickwick se per avventura volesse dare un’occhiata al giornale del mattino, al che il signor Pickwick rispose con una recisa negativa.
— È vero, — disse Dodson, — lo credo bene che nella Fleet sarete stato molto molestato. C’è della gente curiosa lì dentro. Da che parte era il vostro alloggio, signor Pickwick?
— La mia unica camera, — rispose l’oltraggiato galantuomo, — era posta sulla scala del Caffè.
— Ah, ah! davvero? — esclamò Fogg. — Una buona parte dello stabilimento quella lì.
— Sicuro, — rispose asciutto il signor Pickwick.
C’era in tutto questo una freddezza che parea fatta a posta per esasperare una persona irritabile. Il signor Pickwick ebbe a fare sforzi soprannaturali per contenersi; ma quando Perker scrisse un pagherò per l’intiero ammontare, e Fogg se lo conservò in un suo piccolo portafogli con un sorriso di trionfo che si comunicò alla faccia severa di Dodson, ei sentì il sangue dell’indignazione che gli montava alle guance.
— Ed ora, signor Dodson, — disse Fogg, mettendosi in tasca il portafogli e tirando fuori i guanti, — sono agli ordini vostri.
— Benissimo, — rispose Dodson alzandosi, — son pronto.
— Sono lietissimo, — disse Fogg addolcito dal pagherò, — di aver avuto il piacere di conoscere più da vicino il signor Pickwick. Spero, signor Pickwick, che non penserete di noi così male come la prima volta che avemmo l’onore di vedervi.
— Lo spero anch’io, — disse Dodson col tono alto della virtù calunniata. — Il signor Pickwick ci ha meglio conosciuti, non ne dubito: quale che sia la vostra opinione sui membri della nostra professione, io vi prego di ritenere, o signore, che non vi serbo alcun rancore pei sentimenti che vi piacque di esprimere nel nostro studio in Freeman’s Court, Cornhill, nell’occasione cui il mio socio ha accennato.
— Oh no, nemmeno io, — disse Fogg con benevola indulgenza.
— La nostra condotta, signore, — riprese Dodson, — parla da sè e si giustifica abbastanza, io lo spero, in ogni occasione. Siamo da parecchi anni nella professione, signor Pickwick, e siamo stati onorati dalla fiducia di molti egregi clienti. Vi auguro il buon giorno, signore.
— Buon giorno, signor Pickwick, — disse Fogg; e in così dire si pose l’ombrello sotto il braccio, si tolse il guanto diritto, e porse la mano della riconciliazione all’indignatissimo signor Pickwick, che subito cacciò le mani sotto le falde del soprabito e fulminò l’impudente avvocato con uno sguardo di profondo disprezzo.
— Lowten! — gridò Perker a questo punto. — Aprite la porta.
— Un momento, — disse il signor Pickwick; — Perker, voglio parlare.
— Mio caro signore, prego, lasciate star le cose come stanno, — disse il piccolo avvocato, che durante tutto il colloquio era stato nervosissimo; — prego, signor Pickwick, prego!
— Io non voglio che mi si sopraffaccia, signore, — interruppe con calore il signor Pickwick. — Signor Dodson, voi mi avete rivolto alcune osservazioni.
Dodson si voltò, piegò affabilmente il capo e sorrise.
— Alcune osservazioni a me, — ripetette il signor Pickwick quasi senza fiato, — e il vostro socio mi ha steso la mano, ed avete tutti e due assunto un tono di superiorità e di perdono; impudenza maravigliosa, della quale nessuno avrei creduto capace, nemmeno voi stesso.
— Signore! — esclamò Dodson.
— Signore! — ripetette Fogg.
— Sapete voi ch’io sono stato vittima dei vostri intrighi? — riprese il signor Pickwick. — Sapete che io sono quel desso che voi avete imprigionato e rubato? sapete che foste voi proprio gli avvocati avversari nella causa Bardell e Pickwick?
— Sicuro, lo sappiamo, — rispose Dodson.
— Naturalmente che lo sappiamo, — aggiunse Fogg, dandosi un colpo, forse per caso, sulla tasca.
— Ho ben piacere che ve ne ricordiate, — proseguì il signor Pickwick, tentando per la prima volta in vita sua di sbozzare un ghigno velenoso e non riuscendovi niente affatto. — Quantunque io ardessi dalla voglia di dirvi chiaro e tondo il fatto vostro, anche questa opportunità avrei lasciato passare per riguardo al mio amico Perker, se non fosse stato pel tono ingiustificato che avete assunto e per la vostra insolente familiarità... dico insolente familiarità, signore — incalzò il signor Pickwick, voltandosi con un gesto così minaccioso a Fogg che questi si tirò subito indietro verso la porta.
— Badate, signore! — disse Dodson, il quale, benchè dei due fosse il più grosso, s’era prudentemente trincerato alle spalle del socio e parlava di sopra al capo di lui con un viso pallido come bossolo. — Lasciate che vi dia addosso, Fogg; non fate resistenza di nessuna sorta.
— No, no, non farò resistenza, — rispose Fogg, indietreggiando di un altro passo, con gran sollievo del suo socio che a questo modo si trovava spinto a poco a poco nella camera di fuori.
— Voi siete, — proseguì il signor Pickwick, ripigliando il filo del discorso, — voi siete una coppia bene assortita di vilissimi e svergognatissimi ladri.
— Bene, bene, — venne su Perker, — questo è tutto?
— Tutto si riassume in questo, — rispose il signor Pickwick; — sono due ladri vili e svergognati.
— Via, via, — disse Perker in un tono conciliantissimo, — miei cari signori, egli ha detto tutto quel che aveva da dire; andate, prego, andate. Lowten, è aperta quella porta?
Il signor Lowten, con una risata contenuta, rispose di lontano che era aperta.
— Via, via, buon giorno, buon giorno; prego, miei cari signori, prego; signor Lowten, la porta, — gridò l’ometto spingendo Dodson e Fogg fuori dell’ufficio; — di qua, miei cari signori... prego, prego, non prolunghiamo questa... Dio mio... signor Lowten... la porta, dico, a che diamine pensate?
— Se c’è una legge in Inghilterra, signore, — disse Dodson, volgendosi al signor Pickwick nel mettersi il cappello, — ce la pagherete cara.
— Siete una coppia di...
— Ricordatevi, signore, che ve n’avrete a pentire, — disse Fogg, minacciando col pugno.
— ... vilissimi e svergognatissimi ladri! — continuò il signor Pickwick non badando punto alle minacce scagliategli contro.
— Ladri! — gridò poi, correndo sul pianerottolo delle scale mentre i due avvocati scendevano.
— Ladri! — strillò più forte, divincolandosi da Lowten e Perker, e spenzolandosi dalla finestra delle scale.
Quando il signor Pickwick tirò dentro il capo, il suo viso era placido e sorridente. Tornò tranquillamente nello studio e dichiarò che s’era alla fine sgravato d’un grave peso e che si sentiva soddisfatto e felice.
Perker non disse verbo finchè non ebbe vuotata la sua scatola di tabacco, e mandato Lowten a riempirla; allora soltanto fu preso da un accesso di riso che gli durò cinque minuti, in capo ai quali disse che gli pareva dover essere molto in collera, ma che non gli riusciva ancora di pensar seriamente alla cosa: quando ci fosse riuscito, la collera sarebbe venuta.
— Orsù, — disse il signor Pickwick, — aggiustiamo ora il nostro conto.
— Dello stesso genere di quest’altro? — domandò Perker tornando a ridere.
— Non per l’appunto, — rispose il signor Pickwick, cavando il suo taccuino e stringendo cordialmente la mano del piccolo avvocato; — parlo di un conto pecuniario. Voi mi avete usato moltissime cortesie che non potrei mai nè voglio compensare, perchè preferisco rimanervi sempre obbligato.
Con questa prefazione i due amici s’immersero in certi conti molto intricati, i quali debitamente e minutamente esposti da Perker, furono subito saldati dal signor Pickwick con molte proteste di stima e di amicizia.
Erano appena arrivati a questo punto, che una violentissima bussata scosse la porta; non era già una solita bussata di due colpi, ma una successione costante e non interrotta di colpi secchi e sodi, come se il martello fosse dotato del moto perpetuo o la persona che bussava si fosse scordata di quel che faceva.
— Che diamine sarà? — esclamò trasalendo Perker.
— Credo che bussino, — disse il signor Pickwick, come se si potesse menomamente dubitar della cosa.
La persona di fuori fece una più energica risposta che a parole, continuando a smartellare con gran forza e fracasso senza smettere un sol momento.
— Dio mio! — disse Perker, scuotendo il campanello, — metteremo in allarme tutto il quartiere. Signor Lowten, non sentite che bussano?
— Vado subito a vedere, — rispose lo scrivano.
Parve che la persona di fuori udisse la risposta e volesse far capire esserle impossibile di aspettare così a lungo, perchè incalzò il martellare con uno strepito d’inferno.
— È spaventevole, — disse il signor Pickwick turandosi le orecchie.
— Presto, Lowten, — gridò Perker; — ci sfonderà le imposte, se non vi sbrigate.
Il signor Lowten, che si lavava le mani in un camerino scuro, corse alla porta, e aperto che ebbe, vide la figura che nel capitolo seguente è descritta.