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XIII.
Non già che il marchese fosse innamorato come un giovanotto (egli anzi si meravigliava un po’ di non provare per la Mugnos qualche cosa di più che un sentimento di gratitudine e di rispetto), ma perchè la immagine di lei sorridente lo rasserenava tenendolo occupato.
La risposta poteva essere diversa da quella che egli desiderava?
Intanto bisognava pensare a ripulire la casa, a farvi grandi mutamenti. Mai, come in quei giorni, essa non gli era sembrata un laberinto.
Ah, quel marchese grande, che aveva avuto il mal del calcinaccio in città e in campagna! Fare e disfare era stato per lui davvero tutto un lavorare.
Che mostruosità quella massiccia facciata, con lo smisurato portone e le pesanti mensole dei balconi, in quel vicoluccio, tra casette che non permettevano di poterla osservare da vicino! E il brutto atrio, col pozzo in mezzo, la stalla a destra, la cantina a sinistra, e in fondo la legnaia e la pagliera da far andare in fiamme tutta la casa, se qualcuno vi avesse buttato un zolfanello acceso! E la scala! Buia, storta, non poteva servire ad altro che a far scavezzare l’osso del collo alla gente. Inutile anche, perchè dal lato opposto si entrava a pian terreno, e soltanto affacciandosi ai balconi si capiva di trovarsi al terzo piano.
Egli già aveva tracciato uno schizzo dei mutamenti da fare. Ma l’ingegnere, che mostrava di non raccapezzarsi, avea voluto, innanzi tutto, rendersi conto della solidità dei muri sottostanti, delle vôlte, della possibilità dei passaggi da praticare.
— Capisce, marchese!...
Parlava con aria severa, di uomo che la sa lunga e che vuole far valere la sua scienza, stirandosi le grige fedine alla Francesco-Giuseppe, girando il collo dentro il largo colletto con lunghe punte a canale, aggiustandosi gli occhiali affumicati, a capestro, le cui enormi lenti rotonde sembravano due buchi neri sotto la fronte.
Il marchese avea cominciato a irritarsi delle minute osservazioni di lui.
— Guardi, guardi: buttando giù questo muro, non avremo un’ariosa camera quasi immediata alla sala da pranzo?
— Ma capisce, marchese, che allora non sapremo più d’onde cavare un discreto corridoio per liberare le altre stanze!
— Come? E questo spazio qui?
— Ah! Su la carta, sta bene. Io però non guardo la carta....
Don Aquilante, che veniva per render conto al marchese dell’andamento di una lite, lo sentì sin dall’anticamera gridare:
— Capisce! Capisce! Sono uno stupido forse? Il corridoio qui.... Un uscio. Un altr’uscio. E così avremo un salottino avanti il salone! Capisce, sì o no?
E rivolgendosi all’avvocato che entrava in quel momento, esclamò forte, quasi non potesse raffrenare l’impeto della voce:
— Oggi non è possibile. Domani, domani l’altro!
— Quando vi fa comodo, marchese — rispose don Aquilante, un po’ sconcertato da quell’accoglienza.
Il marchese intanto continuava a discutere come se l’avvocato non fosse rimasto là, irritandosi sempre più per la testardaggine dell’ingegnere che scovava difficoltà da ogni parte:
— Io debbo avvertirla avanti, marchese; non voglio assumere responsabilità.
E si stirava le fedine.
Il marchese, insistendo nella difesa del suo progetto, invocava anche il parere di don Aquilante, che lo ascoltava socchiudendo gli occhi, tirandosi su, col solito movimento delle mani e del ventre, la cintura rilasciata dei calzoni, approvando con la testa, senza pronunciare un monosillabo.
— Ho ragione?... Che ne dite? — strillò, all’ultimo, il marchese.
Era impazientissimo; quasi le obbiezioni dell’ingegnere ritardassero i lavori e potessero mettere qualche impedimento alla rinnovazione della sua vita che quel matrimonio doveva iniziare.
E pochi giorni dopo, la casa era piena di operai che buttavano giù pareti intermedie, smattonavano pavimenti, abbattevano vôlte reali; di ragazzi che ammonticchiavano i calcinacci ai lati del portoncino, donde li portavano via i carrettieri, di mano in mano, per non ingombrare il viale che conduceva alla spianata del Castello.
Impolverato peggio dei manovali, il marchese andava da un punto all’altro dando ordini, gridando come un ossesso se si vedeva mal capito, togliendo di mano il piccone a un operaio se questi esitava nel dare i colpi per paura di vedersi crollare addosso un pezzo di muro:
— Così, animale! Debbo insegnarti io il tuo mestiere?
E la domenica appresso, non avendo chi sgridare nè di che occuparsi, sentì con piacere che due forestieri, pecorai a giudicarli dall’apparenza, chiedevano di consegnargli una lettera e di parlare con lui.
Li squadrò mentre apriva la busta.
Vestiti da festa, con camicia di grossa tela candidissima sotto il bianco corpetto di frustagno casalingo, ornato di fitti bottoncini di madreperla; giacchetta di albagio nero con maniche attillate; calzoni della stessa stoffa, a ginocchio, dall’orlo dei quali scappavano i lembi delle mutande; calze di lana grigia, e calzari a punta, di pelle suina, legati con corregge di cuoio incrociate attorno al collo del piede, quei due, un vecchio e un giovane, parevano intimiditi dalla circostanza di trovarsi al cospetto del marchese di Roccaverdina.
— Di che si tratta? La lettera non spiega nulla — egli disse.
— Vostra eccellenza scuserà l’ardire, — balbettò il vecchio. — Questi è mio figlio.
— Me ne rallegro con voi; bel pezzo di giovane!
— Grazie, voscenza! Abbiamo detto: — È giusto richiedere prima il permesso al padrone. — I grandi meritano rispetto. Noi non vogliamo offendere nessuno.... Se voscenza acconsente....
— Spiegatevi.
Si vedeva che non era facile spiegarsi perchè padre e figlio si guardarono negli occhi, invitandosi l’un l’altro a parlare.
— Siamo di Modica, eccellenza — riprese, esitante, il vecchio. — Ma, pel pascolo delle pecore, veniamo spesso da queste parti.... Così si sono conosciuti, per caso. Egli mi ha detto: — Padre, che ne pensate? Io la sposerei, però....
— Chi? — domandò il marchese che cominciava a comprendere.
— La vedova.... di voscenza, cioè, la Solmo....
— E venite da me? Che può importarmi a me di cotesta signora?... Vi compatisco, perchè non siete del paese.
— Voscenza deve perdonarci — s’intromise il giovane.
— Ci hanno consigliato.... — balbettò l’altro.
— Vi hanno consigliato male. Non ho niente che spartire con costei.... Sono suo parente, forse? Perchè è stata.... al mio servizio? Ha preso marito.... È vedova, libera.... Che c’entro io?
Il marchese alzava la voce, corrugando le sopracciglia, facendo gesti di negazione con le mani. — Che c’entro io? — agitato da improvviso sentimento di rancore, quasi di gelosia, contro colui che infine (egli lo riconosceva nello stesso tempo) veniva a rendergli un bel servizio portando via, lontano, quella donna che forse tratteneva la signorina Mugnos dal prendere una risoluzione affermativa.
— Chi vi ha consigliato?... Essa?
— Eccellenza, no. Un nostro amico che rispetta tanto voscenza....
— Ditegli che lo ringrazio, e che poteva far a meno di suggerirvi una sciocchezza.... E sposatevi, sposatevi pure! È libera, vi ripeto. Io non c’entro, nè voglio entrarci.... Subito vi sposereste?
— Bisogna cavar fuori le carte e fare i bandi in chiesa.
— E la condurreste a Modica?
— Se voscenza permette.
— Io non c’entro; non volete intenderlo? — urlò il marchese.
Era rimasto turbato. Per poco non gli sembrava che Agrippina Solmo gli facesse ora un altro tradimento; giacchè doveva essere di accordo con colui, se pure quel tentativo non nascondeva un’insidia, un mezzo di rammentare a lui, marchese, che ella era viva e che si teneva ancora come legata!... Sposasse! Purchè gli si levasse di torno!...
Non voleva darle neppure la soddisfazione di rinfacciarle la sua infamia!
Aveva dunque fretta di riprendere marito?
E una sconcia parola gli uscì di bocca, quasi la Solmo fosse là, a riceverla in pieno viso!
Per sfogo, ne parlò con mamma Grazia.
— Meglio così, figlio mio!
— Se venisse, bada!... non voglio vederla!
— La ho incontrata parecchie volte a messa. Ultimamente mi ha domandato: “È vero che il marchese prende moglie?„
— Chi gliel’ha detto?
“Non so. Risposi: — Se fosse vero, lo saprei prima degli altri.
“Ah, se le anime sante del Purgatorio facessero questo miracolo!„
— E.... insistette?
— Disse: “Dio lo renda felice!„ Nient’altro. E ogni volta ha soggiunto: “Baciategli le mani, se credete!„ Ma io te l’ho sempre taciuto, per non farti dispiacere, figlio mio!
Eppure no, non doveva lasciare andar via quella donna senza prima rinfacciarle il suo nero tradimento! Doveva, invece, strappargliene la confessione, perchè ella non potesse vantarsi, in cor suo, di essere riuscita a farsi gioco del marchese di Roccaverdina. Voleva che piangesse, che avesse rimorso dell’atto infame da lei commesso, e non ignorasse per quale motivo egli si era rifiutato di più vederla e le aveva chiuso in faccia la porta di casa!
Poi rifletteva:
— Ho torto. Vada via! Lontano! Vada!
Aveva paura di tradirsi, di farla sospettare per lo meno. E s’indignava contro sè stesso della vigliaccheria che gli rimestava nel cuore i ricordi del passato, che gli faceva risentire il contatto delle verginali carni di lei, come la prima volta, a Margitello, quando egli le aveva giurato: — Non avrò altra donna! — Era un fiore, allora!... E dopo.... anche! E, nei giorni scorsi, mentre il piccone dei manovali abbatteva le pareti della sua camera, non si era sentito stringere il cuore...?
— Ho torto! Vada via! Lontano!... Vada!... E se ella avesse l’audacia....
Ma quella sera, al vedersela improvvisamente davanti, avvolta nella mantellina nera e vestita a lutto, nell’àndito del portoncino dov’ella lo aveva atteso quasi un’ora, sapendo che doveva arrivare da Margitello, al sentirsi salutare con voce commossa: — Voscenza benedica! — il marchese non ebbe animo di passare sdegnosamente innanzi, nè di fare un gesto o di dirle un’amara parola che la scacciasse.
L’umile atteggiamento, il suono di quella voce che, non udita da un pezzo, gli ronzava da qualche giorno nell’orecchio col ricordo di parole e di frasi evocate suo malgrado (egli stesso non avrebbe saputo dire se per rimpianto, o per indignazione, o per rigurgito di odio), lo sopraffecero, anche perchè lo coglievano alla sprovveduta.
— Che fai qui?... Perchè non sei entrata? — le disse in risposta al saluto.
— Volevo almeno vederlo.... Per l’ultima volta!
— Entra! Entra!
La voce del marchese si era già alterata, e il gesto era diventato brusco, imperioso.
Mamma Grazia, accorsa ad aprire l’uscio al tintinnìo dei sonagli delle mule e al rumore delle ruote della carrozza, indietreggiò spalancando gli occhi vedendoseli apparire insieme, e non potè trattenersi dall’esclamare sotto voce:
— Oh, Vergine santa!
Agrippina Solmo la salutò con un cenno della testa, inoltrandosi dietro al marchese tra le impalcature e gli arnesi da muratori che ingombravano le stanze, fino alla sala da pranzo, rimasta intatta, dove il marchese si fermò, sbatacchiando nervosamente l’uscio per chiuderlo.
— Volevo almeno vederlo.... per l’ultima volta, — ella replicò tra i singhiozzi irrompenti.
— Sto per morire, forse? — disse il marchese con cupa ironia. — Per te, lo so, sono morto da un pezzo!
— Perchè, voscenza?
— Perchè?... Non avevi giurato? — egli proruppe. — Ti ho costretto con la forza quel giorno? Ti feci una proposta. Potevi rifiutarla, rispondermi di no!
— Ogni sua parola era comando per me. Ho obbedito.... Ho giurato, sinceramente.
— E poi?... E poi?... Nega, nega, se hai coraggio!
— Per Gesù Cristo che deve giudicarmi!
— Lascia stare Gesù Cristo! Nega, nega, se puoi!... Ti sei data.... a tuo marito, come una sgualdrina! Non era, non doveva essere marito di apparenza soltanto?... Lo avevate giurato, tutti e due!
— Ah!... Voscenza!
— Tu, tu stessa me l’hai fatto capire!
— Com’è possibile?
— Ti faceva pena! Ti sembrava avvilito davanti alle persone! Me lo hai detto più volte.
— È vero! È vero! Ma pensi, voscenza!... Da prima, niente; come due estranei, come fratello e sorella. Spesso lo vedevo appena mezza giornata, le domeniche.... Dopo quattro o cinque mesi.... oh! sembrava scherzasse: “Bella vita, eh? Ho sotto gli occhi la tavola apparecchiata e debbo restare digiuno!„ Io lo lasciavo dire. E poi, di tratto in tratto, mordendosi le mani: “Ci voleva il santissimo.... del marchese di Roccaverdina per farmi fare questo sacrificio!„ E una volta: “Vi pare che io non indovini che cosa dice la gente? Quel cornutaccio di Rocco!„ Gli risposi: Dovevate pensarci prima!... “Avete ragione!...„ Pensi, voscenza. Sentirlo parlare così!... Non ero di bronzo!
— E allora?... Allora?... Non me ne dicevi niente però!
— A che scopo? Perchè voscenza andasse in collera?...
— E.... poi?
— E poi.... Ma pensi, voscenza!... Un giorno gli risposi: — Femine ne avete quante volete.... Chi v’impedisce?... Non vi bastano? — Si mise a piangere; come un bambino piangeva, imprecando: “Sangue.... qua! Sangue... là! Dobbiamo finirla questa storia! Non reggo più!... Che cuore avete dunque?„ Che cuore? Non glielo davo a vedere, ma piangevo, di nascosto, pel peccato mortale in cui vivevo...
— E per lui pure!... Dillo! Confessalo!
— Niente! Niente, voscenza!... No — ella soggiunse dopo breve pausa — non voglio mentire!... Ma il Signore ci ha castigati.... per la mala intenzione soltanto! E, quella notte, non lo fece arrivare a casa!... Oh!... Saremmo venuti da voscenza, a pregarlo, a scongiurarlo.... Tanto, a voscenza che le è più importato di me?... Il mio destino ha voluto così! Sia fatta la volontà di Dio!... Ed ora, si perderà di me anche il nome. Vado via, in un paese dove nessuno mi conosce; per disperazione vado via.... Se un giorno però.... Serva, serva e nient’altro! Ah! Vorrei dare il mio sangue per voscenza!
Il marchese l’aveva ascoltata con crescente ansietà, stringendo tra i denti il labbro per non irrompere; e quando, fermatasi un istante, ella aveva subito soggiunto: ̋ No, non voglio mentire!„ il sangue gli aveva dato un tuffo, quasi egli dovesse vedere compirsi di nuovo l’infame tradimento e proprio sotto i suoi occhi.
Stette immobile, senza fiato. Immediatamente però il petto gli si gonfiava con un gran respiro di tetra soddisfazione. Aveva colpito a tempo! Aveva impedito che il tradimento fosse compiuto!...
Ma la intenzione, la mala intenzione, c’era dunque stata! E, chi sa? — non osava di confessarglielo — essa rimpiangeva ancora il morto!
Un feroce pensiero gli attraversò la mente: impedirle di sostituire il morto con un vivo! Tenersela sempre schiava, e colmarla di disprezzo, non guardandola neppure in viso! Quei singhiozzi, quelle lagrime, quelle proteste erano certamente menzognere!
E già stava per dirle: “Non sposare!... Resta!„ Si trattenne a stento.
Agrippina Solmo gli si era accostata umilmente, asciugandosi le lagrime; e, presagli una mano, gliela baciava con labbra gelide e convulse:
— Voscenza benedica! E il Signore le dia tutte le felicità.... se è vero che sposa!
Un lieve senso di tenerezza lo invase al contatto, ed egli ritrasse lestamente la mano. E prima che maggiore commozione lo vincesse, al gesto di commiato, fece seguire, con voce turbata, queste sole parole:
— Se, per caso.... avessi bisogno.... Ricordati!...