< Il Trecentonovelle
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Novella XCVII (frammento)
XCIII XCVIII

... bocca, facendo: Sciu, u, u, u. Il prete, o frate che vogliamo dire, come la vede con quest’atti, dice in verso la ciovetta:
- E tu l’ha’ tue?
E scagliando il calice verso lei con tutto il vino disse:
- E tu t’abbi or questo al nome del diavolo.
Come ebbe scagliato il calice, e quelli vede l’ostia in su l’altare, e non comprendendo ch’ella fosse stata sotto il calice, dice:
- Ecco che ci ha aúto paura, e perciò l’ha reportato qui -; e volgendosi al popolo disse per miracolo come la ciovetta avea furata l’ostia, e che per paura della gittata di quel calice verso li suoi occhi strabuzzanti l’avea renduta, e riposta su l’altare, e aveasi ritenuto il vino.
La ciovetta parea che intendesse queste cose, guardando ora il prete, ora il cherico, ora il populo, continuo, ora chinando il capo a terra, e ora levandolo in alto, schiacciando col becco, facea: Sciu, u, u, u. Quelli che erano con qualche intendimento ivi alla messa, non poteano tenere le risa. Altri villani croi e grossi diceano:
- O nella mal’ora, a che ci tiene frate Sbrilla la ciovetta presso all’altare, s’ella ci fura il corpo di Cristo?
E troppo bene lo credeano.
Frate Sbrilla, minacciata la ciovetta che non starebbe piú in quel luogo, fecesi dare le ampolluzze al cherico, e riforní il calice col vino, e compieo la messa.
E a questo modo, e tra cosí fatte mani, e cosí discreti sacerdoti è condotto il nostro Signore; che spegnere se ne possa il seme!

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