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15.
UNA TRACCIA MISTERIOSA
Era tempo! Gli animali, sfiniti da un digiuno che durava quasi da quarant'otto ore, non essendosi, in questo frattempo, cibati che di poche canne semiarse e quasi morenti di sete, non si reggevano più sulle gambe e stavano per cadere per non più rialzarsi.
Fiutando un vicino pascolo, fecero un ultimo e disperato sforzo e trascinarono il pesante carro dinanzi a una vallata verdeggiante che si addentrava nei fianchi elevati della grande catena di Mac-Donnell, le cui cime bizzarramente frastagliate, si perdevano verso l'est e verso l'ovest. Colà giunti, cavalli e buoi caddero l'un sull'altro, esausti da quell'ultimo sforzo, mettendosi a brucare avidamente l'erba che cresceva a loro intorno in grande quantità. La vallata si prolungava per parecchi chilometri entro la catena, formando una specie di lunga gola, la quale si arrampicava lentamente sui fianchi di quell'accatastamento di grandiose rupi. Mentre i dintorni erano aridi, cosparsi di sabbie e di macigni enormi, là dentro crescevano invece in grande quantità gli alberi, i cespugli e le erbe da pascolo. A destra e a sinistra si estendevano grandi gruppi di mulghe alte dai quattordici ai quindici piedi, di wed-waiga o alberi mortali, di legni neri, di alberi dalla scorza fibrosa, di casuarine dal legno duro e compatto, di calidri spirali, di cedri australiani, di xantharrea, di araucarie e eucalyptus di varie specie e in mezzo a quei vegetali si vedevano volteggiare e si udivano a garrire o a stridere o a schiamazzare o a tubare, colombe bianche, bande di porphirio dalle penne d'un azzurro scintillante, stormi di kakatue bianche o cremisine o leggermente tinte di rosa, di colombe magnifiche, di pardalotus e di pappagalluzzi, mentre in alto volteggiavano, sopra le rupi e le rocce parecchie coppie di aquile audaci e di quei grossi falchi chiamati dai naturalisti haliaestur.
— Carramba! — esclamò il mastro sbarrando gli occhi. — Dove siamo giunti noi? In un lembo del paradiso terrestre?...
— In una specie di oasi — rispose il dottore.
— Strano paese!... Ad ogni passo si presenta delle nuove sorprese!... Là il deserto calcinato e qui un pezzo di paradiso!... Chi ci capisce qualche cosa?
— Si vede un po' d'acqua fresca? — chiese Cardozo. — Darei due anni della mia vita per vuotare un boccale di liquido sia birra o acqua, poco importa.
— Ora te la procurerò io — disse il dottore.
— Avete scoperta una fonte?
— Prendi una scure e seguimi.
— Una scure!... Volete spaccare le rupi?
— Seguimi e lo vedrai.
Scesero tutti e tre dal dray e il dottore si diresse verso un gruppo di eucalyptus globulus che cresceva a poca distanza, ma su di un terreno che non offriva alcuna traccia di umidità.
— Taglia le radici di quest'albero — disse Alvaro a Cardozo.
— Cosa volete farne? — chiese il marinaio sorpreso.
— Che contengano qualche deposito di ghiaccio? — chiese Diego. — In questo paese non mi sorprenderebbe.
— Taglia — disse il dottore.
Cardozo percosse le grosse radici dell'eucalyptus che sporgevano dal terreno, e tosto dalla spaccatura si videro zampillare dei getti d'acqua limpida.
— Bevete, amici — disse il dottore.
I due marinai si precipitarono sulle radici, applicando le labbra sui tagli e si misero a bere ingordamente.
— Ventre di balena! — esclamava il mastro fra una boccata e l'altra. — Ma è deliziosa e fresca quest'acqua!... Stravagante paese... dove gli alberi servono da pozzi!... Bevi, Cardozo, bevi... ve n'è per tutti.
E bevevano tutti e tre, assorbendo quella fresca acqua come pompe. Vuotata una radice, ne tagliavano subito un'altra e ricominciavano da capo con egual ardore, né si arrestarono se non quando si furono ben dissetati.
— Basta — disse Diego. — Se continuo ancora due minuti, io scoppio. Pensiamo ora a procurarci qualche delizioso arrosto; qui la selvaggina non deve mancare, ne son...
Non finì la frase. Aveva urtato coi piedi contro una marra, una lunga liana che serpeggiava a terra allungandosi verso gli alberi, ed era bruscamente caduto nel bel mezzo d'un cespuglio dai rami lunghi.
Era appena stramazzato su quel vegetale, che con sua grande sorpresa si sentì allacciare strettamente da quei rami che erano sprovvisti di foglie.
— Chi m'imprigiona! — esclamò. — Ahi!...
Si rizzò di colpo e con uno strappo violento si liberò da quei rami che si erano appiccicati attorno al suo corpo. Si guardò le mani e mandò un grido d'orrore: erano coperte di sangue!...
— Del sangue!... — esclamò. — Quale orribile vegetale è questo?...
— Del sangue!... — esclamarono Cardozo e il dottore.
— Guardate — disse Diego. — Le mie mani sono rosse.
— Provi dei dolori? — chiese il dottore.
— Un leggero bruciore — rispose il mastro.
— Vediamo questa bizzarra pianta.
Si avvicinò al cespuglio e lo osservò minutamente. Era alto un paio di metri, coi rami sottili, assai flessibili, sprovvisti di foglie e ricoperti d'uno strato di gomma densa e assai attaccaticcia, la quale presentava qua e là dei forellini quasi invisibili.
Toccò uno di quei rami e tosto lo vide ripiegarsi e imprigionargli strettamente il braccio. Poco dopo provò sulla mano un legger bruciore, le vene si gonfiarono e attraverso i pori della pelle, compressi da quel ramo, vide spicciare alcune gocce di sangue.
— È una pianta carnivora — disse, liberandosi bruscamente da quella stretta.[1]
— Una pianta carnivora! — esclamarono Diego e Cardozo, al colmo della sorpresa.
— Sì, amici, e succhia il sangue per mezzo di ventose invisibili.
— Ma come! — esclamò il mastro. — In questo paese vi sono perfino delle piante che si nutrono di sangue? Ma che continente è questo?...
— Se si gettasse fra quei rami un animale, lo divorerebbe? — chiese Cardozo.
— Lo dissanguerebbe completamente, amico mio — rispose il dottore.
— Che orribile pianta! — esclamò il mastro.
— Ti sorprendi? Eppure, se ne sono vedute delle altre, qui ed altrove. L'illustre Darwin ha scoperto che la drosura rotondifoglia ha la proprietà di divorare gli insetti che si posano sulle sue foglie, ed è una pianta molto comune anche in Europa. In questo continente poi si è trovata una specie di ortica gigante, la quale afferra gli uccelli o i piccoli animali, li avvolge fra le sue larghe foglie e li succhia interamente, riducendoli a scheletri. Non lascia la preda che per abbandonare le ossa che non può assorbire.
— Se queste cose me le raccontasse un altro, vi assicuro dottore, che lo farei chiudere in un manicomio.
— Lo credo, mastro — disse il dottore, sorridendo. — La cosa è così stravagante che si stenterebbe a crederla vera, quantunque nelle piante si siano scoperte delle stravaganze ben più sorprendenti.
— E quali? — chiese Cardozo.
— Non si sono scoperte forse le piante-animali?
— Le piante animali? — esclamò il mastro, guardando il dottore con una cert'aria come per chiedergli se aveva il cervello fuori di posto.
— Sì, mastro — disse Alvaro. — Questa pianta-animale è una plenaria, la convolvula Schiattii, la quale è comunissima ed è formata dall'associazione di un'alga e di un verme e il cui corpo, privo di cavità, è munito di ciglia vibranti che gli servono per muoversi. È di colore verde, dovuto ad uno strato di cellule contenenti della clorofilla che è il principio della colorazione delle piante. Si aveva anzi creduto dapprima, che queste piante-animali respirassero allo stesso modo degli altri vegetali, ma poi si è constatato che hanno un modo loro affatto speciale e cioè che assorbono l'acido carbonico sciolto nelle acque in cui vivono, ma che, invece di mandare fuori l'ossigeno, essi l'utilizzano per proprio conto per vivere più lungamente.
— Ma dove si trovano queste alghe-vermi?
— Nelle acque corrotte, Cardozo — rispose il dottore.
— Ma hanno occhi?
— Occhi precisamente no, ma degli organi visivi sì, anzi amano la luce e se tali piante-animali si pongono in una bottiglia oscura, si vedono dirigersi istintivamente verso il punto più illuminato.
— È una cosa sorprendente, dottore.
— Lo credo, Cardozo e ha sorpreso assai anche i naturalisti, i quali dovettero creare fra i due regni animali e vegetali una zona ambigua, una nuova specie che prima non esisteva. Ma basta colle chiacchiere; occupiamoci dei nostri animali che muoiono di sete.
Ritornarono al dray che si era fermato all'entrata della valle, e mandarono Niro-Warranga a raccogliere l'acqua che ancora si poteva trovare nelle radici degli eucalyptus, per dissetare le povere bestie che parevano moribonde. Mentre l'australiano si affrettava a obbedire, Diego diede mano a preparare la colazione mettendo a bollire la lingua del secondo bue morto nel deserto, e Cardozo si diresse verso i boschi per cercare qualche capo di selvaggina. Era appena trascorsa mezz'ora, quando il cuoco e il dottore videro giungere Cardozo trafelato. Prese i compagni per le braccia e li condusse dietro al carro, onde non venire inteso da Niro-Warranga.
— Dottore, — disse, — noi siamo inseguiti!...
— Tu sogni figliuol mio — disse il mastro.
— No, marinaio, non sogno.
— Hai veduto degli australiani? — chiese il dottore.
— Ho scoperto una traccia assai strana.
— E quale?
— Attraversando una zona sabbiosa, ho veduto impresse distintamente le orme di due piedi nudi e presso a queste quelle di un emù.
— E cosa vuoi concludere? — chiese Diego.
— Che è passato di là un uomo seguito da un casoaro.
— Non ci trovo il motivo di spaventarsi.
— E se quell'uomo fosse il kerredais?
— Lui!... è impossibile!... Deve trovarsi ancora sulle rive del Finke.
— No, Diego, t'inganni, — disse Cardozo — poiché alcune sere or sono, mentre noi ci trovavamo accampati presso l'Hugh, io ho veduto apparire confusamente due forme sulla riva, una umana e l'altra era quella d'un grosso uccello, d'un casoaro senza dubbio.
— E non l'hai detto, figliuol mio?
— Ero tanto certo di essermi ingannato, che non ho voluto spargere un inutile allarme.
— La cosa è grave — disse il dottore, che era diventato pensieroso.
— Ma come volete che abbia fatto quello stregone, a precederci?
— Gli australiani sono grandi camminatori, Diego, e percorrono delle incredibili distanze.
— Ma il deserto?...
— Non è un ostacolo per loro, che sono abituati ai grandi calori e alle più dure privazioni.
— Che voglia vendicarsi, quel miserabile? — chiese il mastro, digrignando i denti e mostrando le pugna.
— Io so che gli australiani sono eccessivamente vendicativi e che attendono con una pazienza incredibile, il momento propizio per saldare i loro conti.
— Ma se è solo, cosa volete che faccia?
— Chi lo sa?... Ai kerredais tutti obbediscono e potrebbe sollevarci contro qualche tribù numerosa.
— Ah per Giove!... Se riesco a prenderlo, parola d'onore che lo appicco!...
— Cosa decidete di fare, dottore? — chiese Cardozo.
— Ripartire subito e cercare di raggiungerlo. Io sento per istinto che quell'uomo ci sarà fatale.
— Sì, sì raggiungiamolo — disse il mastro. — Metteremo allo spiedo quel suo uccellaccio del malaugurio.
— Continuerà il deserto, al di là dei monti? — chiese Cardozo.
— Sì, ma non sarà arido come quello che abbiamo attraversato prima. Orsù, andate a tagliare tutte le radici di quegli eucalyptus per provvederci d'acqua e poi mettiamoci in viaggio. La nostra salvezza forse dipende dalla nostra rapidità.
— Un boccone, e poi al lavoro — disse il mastro.
In pochi minuti divorarono la colazione, poi si recarono alla macchia degli eucalyptus che era molto estesa e raccolsero diligentemente tutta l'acqua che zampillava dalle radici, rinchiudendola nei barili. Quella provvista era così abbondante, che poteva bastare per tre e anche quattro settimane. Temendo che gli animali non trovassero dei pascoli abbondanti al di là dei monti Mac-Donnell, i due marinai, aiutati da Niro-Warranga, caricarono il dray di erbe succolenti.
Alle quattro pomeridiane i buoi e i cavalli, ben pasciuti e ben riposati, si rimettevano in marcia addentrandosi in una stretta gola, che era aperta fra la catena dei Mac-Donnell. Attraversatala in tutta la sua lunghezza, il dray si diresse verso un'altra linea di monti meno elevati che chiudevano l'orizzonte settentrionale e che erano di una sterilità spaventosa. Cardozo, che esaminava sempre attentamente il terreno, scoprì ancora, in una zona sabbiosa, le orme di un uomo accompagnate a quelle di un grosso uccello, di un casoaro senza alcun dubbio a giudicarle dalla loro ampiezza. Si dirigevano verso il nord ma con una tendenza a deviare verso il monte Sir Charles che si trovava verso l'est.
— Sono le orme di quel miserabile stregone! — esclamò il mastro furioso.
— Lo credo anch'io — disse il dottore.
— In caccia, adunque!... Coco, frusta sempre, e se ti arresti, bada che ti torco il collo!...
Niro-Warranga si diede a frustare buoi e cavalli con gran vigore, ma se in quel momento il bravo marinaio lo avesse guardato in viso, avrebbe scorto un ironico sorriso contorcere quelle labbra da scimmia.
Note
- ↑ Il dottor Dustan, nel 1892, ha scoperta una pianta simile anche nell'America Centrale. E. S.