< Il contratto sociale < Libro secondo
Questo testo è completo.
Jean-Jacques Rousseau - Il contratto sociale (1762)
Traduzione dal francese di anonimo (1850)
Libro secondo - Cap. X
Libro secondo - IX Libro secondo - XI

Cap. X

Continuazione.

Si può misurare un corpo politico in due maniere, cioè dall’estensione del territorio e

6 dal numero del popolo; tra l’una e l’altra di queste misure evvi un rapporto convenevole per dare allo stato la sua vera grandezza. Gli uomini formano lo stato, e il terreno nudrisce gli uomini: quel rapporto sta adunque in questo, che la terra basti al mantenimento de’ suoi abitanti, e che vi siano tanti abitanti quanti può nudrirne la terra. In questa proporzione trovasi il maximum di forza di un dato numero di popolo: imperciocchè se evvi soverchio terreno, onerosa ne diviene la custodia, insufficiente la coltura, superfluo il prodotto, ed è la causa prossima delle guerre difensive; se non ve n’è abbastanza, lo stato per supplirvi trovasi abbandonato all’arbitrio de’ suoi vicini, e ciò diviene la causa prossima delle guerre offensive. Ogni popolo che per la sua posizione sta nell’alternativa tra il commercio o la guerra, è debole in se stesso, poichè dipende da’ suoi vicini, dipende dagli avvenimenti, ed ha sempre una esistenza incerta e breve. O egli soggioga e cambia di posizione; o è soggiogato e non è più niente. Ei non può serbarsi libero se non ben piccolo o ben grande.

Non si può dare in calcolo un rapporto fisso tra l’estensione di terra ed il numero d’uomini l’una all’altro bastevole sia per le differenze che si incontrano nella qualità del terreno, ne’ suoi gradi di fertilità, nella natura de’ suoi prodotti, nella influenza dei climi, sia per quelle che si osservano nei temperamenti degli uomini che lo abitano, dei quali gli uni consumano poco in un paese fertile, e molto gli altri in un terreno ingrato. Bisogna ancora aver riguardo alla maggiore o minore fecondità delle donne, a quello che può avere il paese di più o men favorevole alla popolazione, alla quantità della quale il legislatore può sperare di coadiuvare per mezzo delle sue istituzioni: di modo che ei non deve fondare il suo giudizio su ciò che vede, ma su ciò che prevede, nè fermarsi tanto allo stato attuale della popolazione, quanto a quello cui deve naturalmente pervenire. Finalmente vi sono mille occasioni in cui gli accidenti particolari del luogo esigono o permettono che si abbracci più terreno di quel che non sembri necessario. Così dilaterassi molto in un paese

montuoso; in cui i prodotti naturali cioè i boschi, i pascoli richiedono minor lavoro, in cui l’esperienza insegna che le donne sono più feconde che nel piano, ed in cui un gran suolo inclinato non dà che una piccola base orizzontale, la sola di cui bisogna tener conto per la vegetazione. Al contrario si può ristringere in riva al mare anche in mezzo a rupi ed a sabbie quasi sterili, perchè la pesca vi può supplire in gran parte alle produzioni della terra, perchè gli uomini debbon essere più riuniti per respingere i pirati, e perchè è più facile per mezzo delle colonie di liberare il paese dal soverchio numero degli abitanti.

A queste condizioni per istituire un popolo uopo è aggiugnerne ancora una che non può supplire a nessun’altra, e senza la quale tutte le altre sono inutili, ed è che si abbia pace ed abbondanza; imperciocchè il tempo, in cui si ordina uno stato, è, come quello in cui formasi un battaglione, l’istante in cui il corpo è men capace di resistenza e più facile a distruggersi. Si resisterebbe meglio in un disordine assoluto che in un momento di fermentazione, in cui ciascuno occupasi del suò posto e non del pericolo. Soprav= venga in quel tempo di crisi una guerra, una carestia, una sedizione, e lo stato sarà inevitabilmente rovesciato.

Non è già che durante quei tempi di burrasca non siansi stabiliti molti governi, ma allora i distruttori dello stato sono quei governi stessi. Gli usurpatori fanno sempre nascere o scelgono quei tempi di turbolenza per far passare, mercè il pubblico spavento, leggi distruttive che il popolo non mai adotterebbe in tempo di calma. La scelta del momento dell’istituzione è uno dei caratteri i più sicuri, per cui si può distinguere l’opera del legislatore da quella del tiranno.

Qual popolo è dunque fatto per la legislazione? Quello, che trovandosi già legato da qualche unione d’origine, d’interesse o di convenzione, non ha ancora portato il vero giogo delle leggi; quello che non ha nè costumi nè superstizioni ben radicati; quello che non teme d’essere oppresso da una improvvisa invasione, e senza immischiarsi nelle quistioni de’ suoi vicini, può resistere solo a ciascuno di essi o valersi dell’uno per respingere l’altro; quello del quale ogni membro. può essere conosciuto da tutti, ed in cui non si è costretti d’imporre ad un uomo una soma più grave di quella che un uomo portar possa; quello che può passarsela degli altri popoli, e così ogni altro popolo di lui1; quello che non è ricco e non è povero e può bastare a se stesso; quello finalmente che riunisce la solidità di un popolo antico colla docilità di un popolo novello. Non è tanto quello che si ha da stabilire quanto ciò che bisogna distrurre, che rende malagevole l’opera della legislazione, e ciò che rende così raro il buono avviamento è l’impossibilità di trovare la semplicità della natura congiunta ai bisogni della società. E vero che tutte queste condizioni trovansi difficilmente accoppiate insieme, epperò pochi sono gli stati bene costituiti.

In Europa evvi ancora un paese capace di legislazione ed è l’isola della Corsica. Il valore e la costanza con cui quel prode popolo seppe ricuperare e difendere la sua libertà, meriterebbero assai che qualche uomo savio gli insegnasse il modo di conservarla. Io nutro il presentimento che un giorno quell’isola, piccola com’è, farà stupire l’Europa.

Note

  1. Se di due popoli vicini l’uno non potesse fare senza l’altro, sarebbe questa una posizione durissima pel primo, e pericolosissima pel secondo. Qualunque nazione prudente in simile caso sarà sollecita di liberar l’altra da una tale dipendenza. La repubblica di Thlascala, incorporata nell’impero del Messico, amò piuttosto di fare senza sale, che di comprarne dai Messicani od accettarne gratuitamente. I savii Thlascalani conobbero l’insidia nascosta sotto quella liberalità. Conservaronsi liberi, e quel piccolo stato chiuso in quel grande imperio, fu alla fine lo strumento di sua rovina.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.