< Il mistero del poeta
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XX XXII

XXI.


Due ore dopo mi avviai verso il Rossmarkt, tanto per vedere le sue finestre. Camminavo adagio, evitando il chiaro di luna come se i rari viandanti potessero riconoscermi e leggere ne’ miei pensieri. Nella Residenzstrasse udii voci e passi suonar dietro a me nella strada vuota; credetti poi distinguere il riso argentino della signorina Luise. Forse andava a casa Treuberg. Scivolai nelle ombre del Residenzgarten e sedetti presso la Mariensaüle, ascoltando i passi e le voci che sopraggiungevano. Non riconobbi quella della Luise. La comitiva passò e si allontanò; in breve non udii più che il susurro delle fontane. La luna risplendeva in faccia a me sopra un lungo tetto erto a quattro piani d’abbaini, posava sull’alta statua di Maria, sulle vette degl’ippocastani fioriti di rosso che il vento agitava. Pensai ad un lontano avvenire quando avrei ricordato questa notte di passione in Eichstätt, la luna, le fontane e le piante mormoranti, l’aspetto delle case straniere. Entrando nel Rossmarkt udii suonare e cantare. Le finestre di casa Treuberg erano aperte ed i suoni uscivano proprio di là; passai con un gran battito di cuore sotto il fanale vicino e andai ad addossarmi al canto oscuro d'un'altra casa. Tre o quattro persone si erano fermate in mezzo alla via ad ascoltare; in quel momento la musica cessò e i tre o quattro curiosi se n'andarono. La notte era così chiara e placida; speravo che Violet si affacciasse alla finestra. Non vidi mai nessuno. Invece un baritono cantò detestabilmente qualche cosa di wagneriano e poi una fresca voce di giovinetta cantò con grazia Haidenröslein di Schubert, che avevo già udita cantarellare in un mite pomeriggio di novembre, fra le ultime rose della mia collina italiana. Allora la semplice poesia di Gœthe, la semplice musica di Schubert con quella loro spensieratezza piena di occulta malinconia, mi avevano stretto il cuore; adesso mi mettevano uno spasimo di dolor geloso, adesso mi torcevo le mani perchè la dolce Röslein auf der Haide, la rosetta della landa, si confondeva nel mio segreto con la rosetta mia, con la rosetta della storia amara. «Il fanciullo disse: ti schianto; la rosetta disse: ti pungo.» Dio, povera rosa! Che voglia avevo di baciarla, di stringerla, di farle male e di piangere, rosetta, rosetta, rosetta mia, oh non Röslein roth, rosetta pallida! Non ressi ad ascoltar la fine e me ne venni via.



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