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Questo testo fa parte della raccolta Poesie di Giovanni Berchet

IL ROMITO DEL CENISIO


romanza


Viandante alla ventura
   L’ardue nevi del Cenisio
   3Un estranio superò;
   E dell’itala pianura
   Al sorriso interminabile
   6Dalla balza s’affacciò.

Gli occhi alacri, i passi arditi
   Subitaneo in lui rivelano
   9Il tripudio del pensier.
   Maravigliano i romiti,
   Quei che pavido il sorressero
   12Su pei dubbi del sentier.

Ma l’un di essi, col dispetto
   D’uom crucciato da miserie,
   15Rompe i gaudi al viator,
   Esclamando: — «Maledetto
   Chi s’accosta senza piangere
   18Alla terra del dolor!»

Qual chi scosso d’improvviso,
   Si risente d’un’ingiuria
   21Che non sa di meritar;
   Tal sul vecchio del Cenisio
   Si rivolse quell’estranio
   24Scuro il guardo a saettar.

Ma fu un lampo. — Del Romito
   Le pupille venerabili
   27Una lagrima velò;
   E l’estranio, impietosito,
   Ne’ misteri di quell’anima,
   30Sospettando, penetrò.

Che un dì a lui, nell’aule algenti
   Là lontan su l’onda baltica,
   33Dall’Italia andò un romor
   D’oppressori e di frementi,
   Di speranze e di dissidi,
   36Di tumulti annunziator.

Ma confuso, ma fugace
   Fu quel grido: e ratto a sperderlo
   39La parola uscì dei re,
   Che narrò composta in pace
   Tutta Italia a’ troni immobili
   42Plauder lieta, e giurar fè. —

Ei pensava: — Non è lieta,
   Non può stanza esser del giubilo
   45Dove il pianto è al limitar. —
   Con inchiesta mansueta
   Tentò il cor del Solitario,
   48Che rispose al suo pregar:

«Non è lieta, ma pensosa;
   Non v’è plauso, ma silenzio;
   51Non v’è pace, ma terror.
   Come il mar su cui si posa,
   Sono immensi i guai d’Italia,
   54Inesausto il suo dolor.

«Libertà volle; ma, stolta!
   Credè ai prenci, e osò commettere
   57Ai lor giuri il suo voler.
   I suoi prenci l’han travolta,
   L’han ricinta di perfidie,
   60L’han venduta allo stranier.

«Da quest’Alpi infino a Scilla
   La sua legge è il brando barbaro
   63Che i suoi regoli invocâr.
   Da quest’Alpi infino a Scilla
   È delitto amar la patria,
   66È una colpa il sospirar.

«Una ciurma irrequieta
   Scosse i cenci, e giù dal Brennero
   69Corse ai Fori e li occupò:
   Trae le genti alla segreta,
   Dove iroso quei le giudica
   72Che bugiardo le accusò.

«Guarda; i figli dell’affanno
   Su la marra incurvi sudano:
   75Va, ne interroga il sospir:
   Queste braccia, ti diranno,
   Scarne penano onde mietere
   78Il tributo a un stranio sir.

«Va, discendi, e le bandiere
   Cerca ai prodi; cerca i lauri
   81Che all’Italia il pensier diè. —
   Son disciolte le sue schiere;
   È compresso il labbro ai savii;
   84Stretto in ferri ai giusti il piè:

«Tolta ai solchi, alle officine
   Delle madri al caro eloquio
   87La robusta gioventù,
   Data in rocche peregrine
   Alla verga del vil Teutono
   90Che l’edùchi a servitù.

«Cerca il brio delle sue genti
   All’Italia; i dì che furono
   93Alle cento sue città:
   Dov’è il flauto che rammenti
   Le sue veglie, e delle vergini
   96La danzante ilarità?

«Va, ti bea de’ Soli suoi;
   Godi l’aure, spira vivide
   99Le fragranze de’ suoi fior.
   Ma, che pro de’ gaudi tuoi?
   Non avrai con chi dividerli:
   102Il sospetto ha chiusi i cor.

«Muti intorno degli alari
   Vedrai padri ai figli stringersi:
   105Vedrai nuore impallidir
   Su lo strazio de’ lor cari,
   E fratelli membrar invidi
   108I fratelli che fuggîr.

«Oh! Perchè non posso anch’io,
   Con la mente ansia, fra gli esuli
   111Il mio figlio rintracciar?
   O mio Silvio, o figlio mio,
   Perchè mai nell’incolpabile
   114Tua coscienza ti fidar?

«Oh, l’improvido! — l’han colto
   Come agnello al suo presepio;
   117E di mano al percussor
   Sol dai perfidi fu tolto
   Perchè, avvinto in ceppi, il calice
   120Beva lento del dolor;

«Dove un pio mai non consola,
   Dove i giorni non gli numera
   123Altro mai che l’alternar
   Delle scolte...» — La parola
   Su le labbra qui del misero
   126I singulti soffocâr. —

«Di conforto lo sovviene,
   La man stende a lui l’estranio. —
   129Quei sul petto la serrò:
   Poi, com’uom che più ’l rattiene
   Più gli sgorga il pianto, all’eremo
   132Col compagno s’avviò.

Ahi! qual alpe sì romita
   Può sottrarlo alle memorie,
   135Può le angosce in lui sopir
   Che dal turbin della vita,
   Dalle care consuetudini,
   138Disperato, il dipartir? —

Come il voto che la sera,
   Fe’ il briaco nel convivio,
   141Rinnegato è al nuovo dì;
   Tal, sul l’itala frontiera,
   Dell’Italia il desiderio
   144All’estranio in sen morì.

Ai bei soli, a’ bei vigneti
   Contristati dalle lagrime
   147Che i tiranni fan versar,
   Ei preferse i tetri abeti,
   Le sue nebbie ed i perpetui
   150Aquiloni del suo mar.

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