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Cecco d’Ascoli
Napoleone Cola di Renzo


Come lungamente ragionammo di Dante Alighieri, non crediamo dover lasciare senza cenno un suo avversissimo, Cecco Stabili. Nato ad Ascoli dalla ricca famiglia degli Stabili, finita nel secolo XVIII, egli fu astrologo della città di Firenze, conobbe i dotti di Bologna, di Salerno, di Avignone e gli Arabi, e compose un poema filosofico, morale, scientifico, intitolato L’Acerba, volendo indicare un acervo o mucchio di cognizioni umane varie; poema nè bello di poesia, nè ricco di dottrina, ove in cinque rubriche o libri, di cui l’ultimo è breve e forse non compiuto, ragionato della scienza, finisce col parlar della rivelazione. La scienza sua è secondo i tempi, ma ripetutamente batte Averoè e la sua scuola: nella rivelazione accetta affatto quel che la Chiesa, se non che qui pure mescola ciò che predomina nelle altre parti, la magia e l’astrologia; chiama «cieca gente e storpj intelletti» quelli che non conoscono il linguaggio de’ corpi celesti, nè sanno indovinare il futuro, o che sprezzavano l’astrologia, parlando «secondo il tempo antico»; credeva a un genio familiare, detto Fiorone, a’ cui responsi sostenea doversi aver fede, sebbene talvolta inganni cogli oracoli suoi, come quando a re Manfredi rispose, Vincerai non morrai.

Queste e ben altre follie espone a lungo non solo, ma pretende persuaderle altrui; e lo fece a Bologna commentando nel 1322 la Sfera del Sacrobosco, poi a Firenze mediante l’Acerba. Nel proemio all’esposizione del Sacrobosco dice che «molti si promettono giudicare della vita e della morte, e delle cose future mediante arti magiche, le quali sono da santa Madre Chiesa riprovate vituperevolmente (vituperabiliter improbata): e alle cinque scienze magiche, romantica, matematica, sortilegio, prestigio, malefìcio, prevale l’astronomia, cioè la rivelazione delle intelligenze mediante il cielo, al quale son note tutte le cose». Tutta l’opera, e così l’Acerba, è un esaltamento della magia, dalla quale perfino deduce prove della divinità di Cristo, scrivendo: — Che Cristo fosse veramente figliuol di Dio ci è manifestato da molte cose, e primamente per i tre magi, i quali furono i maggiori astrologi che avesse il mondo, e seppero tutti i segni della natura». In quel commento della Sfera pone ancora generarsi ne’ cieli alcuni spiriti maligni, i quali, sotto l’influenza di certe costellazioni, valevano ad operar cose meravigliose: sotto una di tali costellazioni esser nato Cristo, perciò rimasto povero; mentre l’anticristo verrebbe sotto un’altra, la quale lo farebbe ricco.

L’Acerba ebbe 19 edizioni prima del 1546, e Guglielmo Libri, grand’encomiatore di chiunque fu censurato dalla Chiesa e viceversa, osa vantar quel poema come una vera enciclopedia, e l’opera scientifica più notevole nel secolo XIV, e che «l’autore fu uomo dotto non solo, ma di elevati sensi, e sarebbe omai tempo che gl’Italiani cominciassero a venerar la sua memoria, vittima non della sola inquisizione»1. Basta scorrer l’opera di Cecco per convincersi come a torto e’ gli dia merito di molte verità, le quali esso o accenna confusamente o confuta. Tra quest’ultime è che la terra sia sostenuta da due forze, una che la tira, una che la respinge, e che noi or chiamiamo centripeta e centrifuga; ma Cecco riprova altamente alcuni ascolitani e fiorentini che ciò sostenevano, e che probabilmente erano Guido Cavalcanti e Dino del Garbo famoso medico, i quali esso bersaglia. Se veramente Cecco fu medico, il merito principale di quest’arte riponeva nel conoscere, per via delle stelle, quali infermità sieno mortali, e quali no; altro motivo per cui esso Dino forse gli si palesò avversissimo.

Al modo di Dante morde e paesi e persone; e contro Dante si svelenisce più volte, asserendo che andò all’inferno e più non risalì, anzi rimase nel basso centro, ove il condusse la sua fede poca; e confutandone le dottrine più rette intorno al libero arbitrio dell’uomo, e accusandolo d’aver amato con desìo una donna, e lodato le virtù di un sesso, del quale egli non rifina di dir ogni peggio, non eccettuando nessuna. Di rimpatto, esso pretende innovar lo scibile, e per esso la vita umana nell’attuazione intellettuale, morale, religiosa, professando il materialismo e il comunismo, l’astrologia, le scienze occulte, con mille superstizioni e fanciullaggini; insegnando, anzi esortando agli incantesimi; inveendo contro chi non gli ammette2.

Le magie e i sortilegi non erano spettanza dell’Inquisizione, e nella Maestruzza, che ne è il codice, al C. 91 è detto: — Degli indovinatori e sortilegi gl’inquisitori non possono e non debbono intromettersi, se già manifestamente non tenessero alcuna eresia». Tale appunto era il caso di Cecco. Giovanni Villani (L. X, C. 41) narra che, nel trattato sopra la Sfera, avendo messo che per incantamenti sotto certe costellazioni possono costringersi gli spiriti maligni a far cose meravigliose; che l’influenze delle stelle portano necessità, ed altre cose contro la fede, l’inquisitore lo riprovò, e gli fe giurare di non adoprar più questo libro: ma esso di nuovo a Firenze avendolo usato, fu preso dal cancelliere del duca d’Atene, allora dominante.

E un libretto contemporaneo, conservato in più biblioteche, particolareggia come frà Lamberto da Cingoli, inquisitore in Bologna, a’ 16 dicembre 1324 condannò Cecco perchè avesse scompostamente parlato della fede, obbligollo a una confessione generale e a certe penitenze, gli tolse tutti i suoi libri d’astrologia, gli proibì di più leggere questa scienza, e privollo dell’onor del dottorato e di qualunque magistratura. Quel processo fu mandato a frate Acursio fiorentino de’ Minori Osservanti, a’ 17 luglio 1327, il quale, citatolo ed esaminatolo, lo convinse di eretico, e lo rimise al braccio secolare, onde il dì medesimo fu fatto bruciare. Della sentenza ecco le parti principali:

— Precedente la fama pubblica sparsa da molte persone degne di fede, ci venne all’orecchio che maestro Cecco, figliuolo dell’illustrissimo Simone Stabili da Ascoli, andava spargendo per la città di Firenze molte eresie; e, quello ch’è cosa più brutta, dava a leggere per le scuole pubbliche un certo suo eretico libretto, fatto da lui sopra la sfera celeste, contro al giuramento altre volte da lui dato; femmo alla presenza nostra venire il detto Cecco; e nella esamina senz’altra strettezza o forza, ma di sua libera e spontanea volontà, disse e confessò:

1° Come, essendo già stato citato e richiesto da frate Lamberto di Cingoli, confessò d’aver insegnato per le scuole, che l’uomo poteva nascere sotto tale costellazione, che necessariamente sarebbe o ricco o povero, e simile, se Dio già non mutasse l’ordine di natura. 2° Che aveva con giuramento promesso al detto frate Lamberto di lasciare ogni eresia e credenza e ogni favore degli eretici, massime degli astrologi, e osservare la fede cattolica, e che ricevette la penitenza, ma poi che venne a Firenze, domandato se, per scienza astrologica, si potea sapere la fortuna o disgrazia di un esercito o di un principe, rispose che sì, perchè una cosa che è possibile si può comprendere per mezzo di una scienza. E confessò aver consigliato i Signori non esser bene per ora combattere coi nostri soldati contro l’imperatore Lodovico il Bavaro; ma se gli concedesse il passo infino a tanto che, con vera scienza di astrologia, si potesse pigliare il tempo e il giorno atto alla guerra. E disse credere che le predette cose si possono sapere per scienza di astrologia, e non crede esser questo contro la fede. 3° Asserì che aveva fatto più profitto nell’astrologia, che alcun altro da Tolomeo in qua. 4° Confessò, che, domandato da un Fiorentino che gli dichiarasse il libro dell’Alcabizzo, che tratta de’ segni e cognizione de’ segni, della natività degli uomini, e dello eleggere i tempi del comprare, del vendere e degli altri atti ed esercizj umani, gli disse che aveva fatto un comento sopra detto libro, e procurasse di averlo. 5° Disse aver composto un libro sopra la sfera. Ora, le cose che si contengono in detto libro sono contrarie alla natura e nimiche alla verità cattolica. Che cosa più eretica e a Dio e agli uomini infesta più che dire, per la necessità de’ corpi superiori e virtù delle costellazioni, Gesù Cristo esser nato povero? Che Anticristo abbia a nascere da una vergine, e che abbia a venire duemila anni dopo Gesù Cristo, in forma di soldato valente, accompagnato da nobili, e non come poltrone accompagnato da poltroni? Qual maggiore eretica falsità che il porre l’ora, il luogo, la qualità della morte, cose al tutto incognite al genere umano? Nelle azioni umane, col giudicare secondo la disposizione e operazione de’ corpi celesti si toglie al tutto il libero arbitrio, e per conseguenza il merito e il demerito. E quando si avesse a oprare con tale supposizione, che cosa si potrebbe fare col libero arbitrio? Nè scusa tali errori il dire, che queste cose non procedono di necessità, ma che la scienza dimostra quello che tu pensi, che porti chiuso in mano. Nè scusato debb’essere dicendo che crede non essere contro la fede pigliare il tempo, eleggere guerra, e simile; che sarebbe una ignoranza molto grossa, anzi un’opinione eretica. Nè debbe scusare che in fine delli detti scritti esprime, se in quelli fossero alcune cose non ben dette, di rimettersi alla cognizione della santa Madre Chiesa; perchè in quella si sono trovate espresse eresie, scritte dopo aver giurato; e basta che una sola volta abbia ingannato la Chiesa; perchè questa protestazione è indirettamente contraria al fatto stesso, e l’aggrava maggiormente.

E siccome non possiamo nè dobbiamo passare tali e tante cose fatte per lo detto maestro delli errori, in dispregio dell’Eterna Maestà e per lesione della fede cristiana, considerata la sentenza data per frate Lamberto contro di lui, e il giuramento ch’esso fece, e la penitenza che ricevè, della quale non si curando, dice non si ricordare; e viste le altre cose che dal medesimo inquisitore abbiamo ricevuto, e udito i testimonj e le sue confessioni, e datoli il termine per finirle e scusarsi; e poichè nè fece alcuna scusa e, nel giorno che seguiva detto termine, quelle raffermò di sua spontanea volontà, e disse di nuovo essere vere; conferita la cosa con prelati, e molte altre persone e dottori di legge, religiosi teologi, e con altri tanto chierici che laici, pronunziamo il detto maestro Cecco essere cascato nell’eresia, nella quale con giuramento aveva già promesso di non cascare, e pertanto doversi dare e concedere al giudizio secolare. E così lo concediamo al nobile milite messer Jacopo di Brescia, vicario fiorentino, per punirlo con la debita pena. E ancora il libro composto sopra la sfera, pieno di eresie e d’inganni; e un altro libro in vulgare nominato l’Acerba (dal qual nome ne segue, che non contiene in sè maturità alcuna, presupponendovi che molte cose che appartengono alla virtù e ai costumi nascono dalle stelle, e a quelle ritornano come a loro cause) e riprovando tutti i suoi ammaestramenti, senza dottrina composti, ordiniamo di abbruciarle con detto Cecco. E così ordiniamo e comandiamo».

La condanna di Cecco non fu dunque per magia e astrologia: del che troppe persone erano macchiate allora, eppur teneansi a servizio da Comuni, da principi, da prelati. Bensì per eresie, e per esservi ricaduto dopo la promessa. E per verità, studiando l’opera di Cecco, vedesi ch’egli mirava a un innovamento della scienza, e per mezzo di questa, a un innovamento della vita nell’intelligenza, nella morale, nella religione, a ciò adoprando l’insegnamento, i colloquj, i libri. La scienza sua nuova consisteva nella necessità universale e nell’antivedere; le intelligenze erano le cagioni; loro organi le stelle; ogni cosa sotto la luna aver effetti necessarj; tutto esser fatale. L’uomo però, mediante la scienza, può costringere le intelligenze a palesargli il futuro. Perchè questa nuova scienza prevalesse, bisognava aver distrutta la verità razionale e la rivelata; e Cecco lo faceva con una fermezza, che non si smentì neppur davanti al rogo.

Insomma egli rappresenta la scienza naturale, contro la scienza cristiana di Dante; e potrebbe anch’essere che i Fiorentini, i quali vivo aveano cacciato Dante, morto il volessero vendicare perseguitando Cecco suo detrattore: il che viepiù ci si rende probabile dal vedere principale avversario di lui Dino del Garbo. Anche l’Orgagna, nel Camposanto di Pisa, lo dipinse nell’inferno. Pure il suo poema; fu, come dicemmo, tante volte ristampato, e il gesuita Appiani ne fece un’insulsa difesa, pretendendo fosse d’inappuntabile dottrina3.



  1. Hist. des Sciences mathématiques en Italie, II, 195 e 200.
  2. Palermo, nel catalogo dei manuscritti della Palatina di Firenze.
  3. La quistione di Dante eretico (vedi sopra, a pag. 33) fu ripigliata nel Calendario Evangelico del 1865 che si stampa a Berlino, dove il dottore Ferdinando Piper, professore di teologia, trattò di Dante und seine Theologie. Conviene egli che Dante pone come supremo bene Iddio, nè poter l’uomo raggiunger esso bene se non acquistando la beatifica visione: questa acquistarsi colle virtù teologiche: alle quali ci ajutano le sacre carte, l’esperienza e la ragione, che però nelle cose soprasensibili piegasi alla rivelazione. Dante propriamente non può dirsi uscito dalla Chiesa di Roma: le sue dottrine però menano dritto alla evangelica. E non solo quanto alla riforma del capo e delle membra, e quanto al poter temporale: ma anche nel dogma. In fatti (è sempre il Piper che ragiona) egli non ammette l’infallibilità del papa, giacchè colloca fra gli eretici Anastasio II papa: non ammette che niun altro fuor dei presbiteri possa ingerirsi nella Chiesa, poichè egli stesso se ne ingerisce raccomandando la riforma: non ammette che le decretali possano esser fonte del vero quanto le sacre carte.
    Veda ogni cattolico se questi siano argomenti valevoli a segregar quel genio dalla nostra unità.

Note

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