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Er pilàro Li conti co la cusscenza
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

L'AVOCATO COLA

     Ma eh? Cquer povero Avocato Cola!
Da quarche ttempo ggià ss’era ridotto
Che ssì e nnò aveva la camìscia sotto,
E jje toccava a ggastigà la gola.

     Ma ppiuttosto che ddì cquela parola
De carità, ppiuttosto che ffà er fiotto,1
Se venné2 ttutto in zette mesi o otto,
For3 de l’onore e dd’una ssedia sola.

     Mó un scudo, mó un testone, mó un papetto,
Se maggnò,4 ddisgrazziato!, a ppoc’a ppoco
Vestiario, bbiancheria, mobbili e lletto.

     E ffinarmente poi, su cquela ssedia,
Senza pane, senz’acqua e ssenza foco,
Ce serrò ll’occhi e cce morì dd’inedia.5

8 novembre 1835

  1. Piuttosto che andar lagnandosi.
  2. Si vendette.
  3. Fuor.
  4. Si mangiò.
  5. Così fu trovato l’avvocato Carlo Cola dopo alcuni giorni dacchè non erasi più veduto.

Note

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