Questo testo è incompleto.
La sscerta Libbertà, eguajjanza
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

L'INCRINNAZZIONE

     Sèntime: doppo er Papa e ddoppo Iddio
Cquer che mme sta ppiù a ccore, Antonio, è er pelo:
Per cquesto cquà nun so nnegatte1 ch’io
Rinegheria la lusce der Vangelo.

     E ssi dde donne, corpo d’un giudio!,
N’avessi cuante stelle che ssò in celo,
Bbasta fussino bbelle, Antonio mio,
Le vorìa fà rrestà tutte de ggelo.2

     Tratanto, o per amore, o per inganno,
De cuelle c’ho scopato, e ttutte bbelle,
Ecco er conto che ffo ssino a cquest’anno:

     Trentasei maritate, otto zitelle,
Diesci vedove: e ll’antre che vvieranno
Stanno in mente de Ddio: chi ppò sapelle?3


Roma, 21 novembre 1832

  1. Negarti.
  2. Far restar di gelo, gelare, cioè: «ammaliare, istupidire, rendere inabile a difesa o resistenza».
  3. Saperle.

Note

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