< La Scimitarra di Budda
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2. La scommessa
1. La festa della colonia danese 3. La partenza

2.

LA SCOMMESSA


I giuocatori, accresciuti assai di numero, sturate altre bottiglie di Xeres ed empite le tazze, s'accomodarono attorno al tavolo per udire la narrazione che prometteva di essere interessante. Il più profondo silenzio non tardò a regnare sotto il boschetto.

– Dovete sapere, amici miei, – cominciò Cordonazo – che la storia risale al secolo scorso e precisamente al 1786. In quell'anno un numero straordinario di cinesi si recarono in pellegrinaggio al lago di Manasa-Wara, luogo santo per i buddisti e specialmente pei tibetani che vanno a gettarvi le ceneri dei loro morti, credendo in buona fede che vadano in grembo a Budda. Fra di essi vi era Kubilai Sciù, principe del Kuang-Si, uno dei più fervidi seguaci del dio. Una notte questo principe, navigando sul lago, veniva assalito da una terribile burrasca che gli rovesciava il canotto e gli annegava i compagni. Vedendosi in procinto di perdere la vita, invocava l'aiuto di Budda e approdava sano e salvo alla costa rifugiandosi in una caverna. Pochi minuti dopo udiva un tremendo scroscio nel fondo del suo rifugio e ai suoi occhi appariva un fuoco fatuo che si mise a danzare or qua or là come invitandolo a seguirlo. Spinto dalla curiosità lo seguì e, passando fra gallerie tortuosissime, giungeva in un'ampia caverna piena d'ossami, e in mezzo ai quali brillava una scimitarra simile a quella che usano i tartari, colla lama d'acciaio finissimo e l'impugnatura d'oro sormontata da un diamante grosso quanto una nocciuola. Su una faccia della lama v'era inciso il nome di Budda in sanscrito, e sull'altra dei segni che nessuno fu mai capace di decifrare. Kubilai Sciù, certo che quell'arma avesse appartenuto a Budda, di ritorno dal pellegrinaggio la regalò a Khieng-Lung, imperatore della Cina e suo signore, il quale la fece collocare in uno dei quaranta edifici del famoso Palazzo d'Estate.[1]

– Bene – disse Krakner, gettando via il sigaretto per prestare maggior attenzione.

– Quest'arma, – continuò Cordonazo, dopo essersi inumidita la gola con una tazza di Xeres – che si riteneva miracolosa, era ambita da tutti i popoli buddisti. Offerte di somme favolose erano state fatte dalla Birmania, dal Tonchino, dal Siam e perfino dai rajah dell'India, ma invano. Nel 1792, all'imperatore Khieng-Lung, mentre era occupato a festeggiare l'ambasciata di lord Macartney nel palazzo di Gheol in Tartaria, giungeva la triste notizia che la Scimitarra era stata rubata.

– Da chi? – chiesero ansiosamente alcuni giuocatori.

– Non lo si sapeva. Chi diceva da una banda di arditissimi ladri, chi da alcuni birmani, chi da alcuni giapponesi pagati dal Mikado, chi da alcuni indiani. Khieng-Lung spedì emissari in tutti gli Stati dell'Asia, ma le ricerche a nulla approdarono. Fu solamente verso il 1801, dopo la morte di Khieng-Lung, che corse voce essere stata la miracolosa arma rubata da un mandarino di Yuen-Kiang, fanatico seguace di Budda. Si diceva anzi che il ladro l'avesse nascosta in un tempio buddista della sua città. L'imperatore Kia-King, succeduto sul trono, fornì a parecchi individui fidati un disegno della preziosa arma e li mandò nell'Yun-Nan a cercarla, ma nessuno ebbe fortuna. Alcuni tornarono a mani vuote e altri furono assassinati, forse dai bonzi[2]. Nel 1857, cacciando presso le coste del Konang-Si, mi imbattei in un cinese, figlio di uno degli emissari spediti da Kia-King, che possedeva ancora un disegno della Scimitarra di Budda. Acquistai quel disegno e, tornato a Canton, lo mostrai al mio amico Rodney, il quale mi propose di cercare l'arma.

– Bel progetto! – esclamò Krakner.

– Decidemmo adunque di metterci coraggiosamente in via per l'Yun-Nan – disse il boliviano con un certo orgoglio. – Due uomini più adatti di noi non si potevano trovare per una partita così difficile e pericolosa.

– Troppo adatti – brontolò Korsan, sogghignando.

– Il viaggio, signori miei, era tutt'altro che facile in quelle regioni ignote, popolate da uomini sanguinari. Occorrevano degli uomini di ferro, dotati di un coraggio straordinario e di una energia eccezionale.

– Degli eroi, infine! – esclamò il Capitano lanciando uno sguardo sprezzante sul borioso boliviano.

– Sissignore, dei veri eroi – continuò Cordonazo. – Malgrado i pericoli che mi attendevano, partii in compagnia del mio amico Rodney.

– E poi? – chiese il capitano Giorgio con impazienza.

– Partimmo in sul finire del gennaio dello scorso anno, con una guida cinese, e parecchi cavalli carichi di fucili, di polvere e di palle.

– Diavolo! – esclamò Krakner. – Volevate conquistare qualche provincia?

– Volevo spiegare la bandiera boliviana nel cuore dell'Yun-Nan e impossessarmi, potendolo, di una buona parte della provincia – disse Cordonazo con entusiasmo.

– Il che non avrete fatto – disse Olvaez, ridendo di quella spacconata.

– No, ma per poco. Dunque ci mettemmo in viaggio dirigendoci verso il Pe-Kiang. Che marcia, amici! Nessun viaggiatore dei tempi antichi e moderni incontrò tanti ostacoli.

– Eppure il Pe-Kiang non è molto lontano – osservò Krakner.

– Che monta? La guida ci tradiva menandoci attraverso a monti inaccessibili, a boschi e a paludi, in luoghi infine dove non avevamo nulla da fare.

– E voi dormivate? – chiese il capitano Giorgio.

– Né io né Rodney conoscevamo il paese.

– Che bravi viaggiatori! Partite senza aver prima studiato il paese!

– Avrei voluto vedervi io laggiù, signor Capitano! – esclamò il boliviano con collera.

– Sarebbe andato dritto e avrebbe trovato la Scimitarra di Budda! – esclamò Korsan.

– Si sarebbe lasciato menare per il naso anche il nostro Capitano.

– Ne dubito, signor Cordonazo – disse Giorgio.

– È perché siete un marinaio?

– Signore!

– Oh! Oh! – esclamò Olvaez. – Volete suscitare una disputa? Un po' di calma, diamine!

– State quieti – gridò Krakner. – Se continuate a questionare non si udrà più la fine del meraviglioso viaggio.

– Raccontate, Cordonazo! Tirate innanzi! – incalzarono i giuocatori.

– Avete ragione, amici – disse il boliviano. – Ripiglio adunque il filo della narrazione. Vi dicevo che eravamo giunti al Pe-Kiang, una fiumana piena di gorghi, larga quanto dieci Tamigi, e...

– Che dite! – esclamò l'inglese Rodney, punto sul vivo. – Voi avete torto, amico mio.

Korsan fece udire il suo riso sgangherato, che trovò degli imitatori.

– Ve ne avete a male, se paragono il Pe-Kiang a dieci Tamigi? – chiese il boliviano, che si fe' rosso fino al bianco degli occhi.

– Un po', lo confesso. Ho osservato io, che il re dei fiumi inglesi è più largo del Pe-Kiang cinese.

– Bravo il mio cacciatore di rinoceronti! – esclamò Korsan.

– Anche voi adunque suscitate questioni? – chiese il boliviano.

– Ma, signori miei! – esclamò Krakner. – Siete tutti idrofobi questa sera?

– State zitti! – gridarono alcuni.

– Raccontate! Raccontate! – gridarono gli altri.

Il boliviano, più rosso di una peonia, pareva che fosse lì lì per scoppiare. Dovette vuotare tre bicchieri di Xeres l'un dietro l'altro prima di ripigliare il disgraziato racconto.

– Attraversata la gran fiumana, – continuò egli – ci slanciammo attraverso le immense pianure del Kuang-Si, passando là dove venti uomini avrebbero dovuto indietreggiare, seminando la via di cadaveri...

– E di oro – lo interruppe Rodney.

– Sia pure, di cadaveri e di oro. Non vi descriverò le marce attraverso le foreste dell'Yun-Nan, zeppe di tigri e di elefanti e di rinoceronti, e fra le paludi, dove ci assalivano tremende febbri.

– Eppure gli uomini di ferro non dovrebbero soffrire febbri – disse Olvaez disgustato da quelle spacconate che lo stesso Rodney disapprovava.

– Avrebbero colpito anche gli uomini di granito – disse il boliviano. – Che febbri! Ci facevano battere i denti sotto un calore di 60 gradi! Alla frontiera tonchinese, dopo una battaglia spaventevole, cademmo nelle mani di un feroce bandito e rimanemmo prigionieri per sei lunghi mesi. Una notte fuggimmo massacrando tutti quei birbanti.

L'inglese Rodney che fumava alzò il capo guardando con sorpresa il suo compagno. Ai giuocatori non isfuggì quello sguardo e non dubitarono più che il boliviano narrasse delle frottole fenomenali.

– Alle porte di Yuen-Kiang, – continuò Cordonazo – pugnammo colle guardie cinesi che non volevano lasciarci entrare. Il nostro valore trionfò e irrompemmo nella città mettendoci bravamente in cerca della Scimitarra. I templi furono visitati minutamente, i bonzi torturati, ma, sorpresa indicibile! L'arma non esisteva più!

– Come! – esclamarono i viaggiatori. – La Scimitarra non esisteva più?

– Non esisteva più! Non avendola trovata, io credo fermamente che sia stata distrutta.

– Una distruzione alquanto dubbia – disse il Capitano.

– Perché, di grazia? – chiese il boliviano, guardandolo dall'alto in basso.

– Perché poteva essere stata nascosta in qualche altra città che voi non vi siete sentito in caso di visitare.

Carrai! – esclamò Cordonazo, battendo furiosamente il pugno sul tavolo.

– Non avete mai udito parlare della Birmania, signor Cordonazo?

– Della Birmania?

– La Birmania si fa sempre entrare nella storia della Scimitarra di Budda. Se non lo sapete, vi dirò che i cinesi sospettano che l'arma sia stata portata ad Amarapura.

– Ad Amarapura! – esclamò Cordonazo coi denti stretti.

– Oh! – ribatté Olvaez. – Come mai vi è sfuggito questo interessante particolare, Cordonazo?

– Ma chi assicura che la Scimitarra di Budda si trovi ad Amarapura? – chiese il boliviano, guardando torvamente il Capitano.

– E chi ci assicura che la Scimitarra di Budda doveva trovarsi a Yuen-Kiang? – chiese a sua volta il capitano Giorgio.

– Ma gli scritti cinesi, signore.

– E gli scritti cinesi dicono pure che probabilmente si trova ad Amarapura.

– Signor Cordonazo, avete assunto delle informazioni storpiate – disse Krakner.

– Non è possibile! – esclamò il boliviano.

– Eppure i fatti lo dimostrano – confermarono alcuni giuocatori.

– Si vorrebbe dire, forse, che io non ero l'uomo capace di trovare quella dannata Scimitarra? – chiese il boliviano con maggior ira.

– Potrebbe darsi! – gridò Korsan battendo il pugno sul tavolo con tale violenza da far traballare bicchieri e bottiglie.

– Davvero? – gridò Cordonazo. – Avrei voluto vedere il vostro Capitano al mio posto.

– Signore! – disse il Capitano alzandosi.

– Io dico che sarebbe riuscito – urlò l'americano che cominciava a scaldarsi.

– Un po' di calma – gridò Barrado.

– Avrebbe fatto dieci volte meno di quello che ho fatto io – ripigliò il boliviano.

– Lo credete, signor Cordonazo? – chiese il Capitano, pallido per l'ira.

– Lo credo.

– Signore, ci terreste ad una scommessa?

– A dieci, se lo volete.

– Ebbene, se ci tenete, io scommetto qualsiasi somma che entro un anno ritorno con la Scimitarra di Budda!

– Voi! – esclamarono ad una voce i giuocatori.

– Io, il capitano Giorgio Ligusa.

– Ed io che sono la vostra ombra, vi accompagnerò! – gridò l'americano Korsan. – By-God! Fissate la somma, signor Cordonazo, e domani stesso marceremo verso Yuen-Kiang. Ci tenete?

– Sicuro che ci tengo – disse il boliviano. – Voglio vedere quel che saprete fare nell'Yun-Nan.

– Basta così, signore – disse il Capitano. – Signori, voi siete tutti testimoni che noi, Giorgio Ligusa e James Korsan, abbiamo accettato la scommessa. Ed ora, signore, fissate la somma.

– Se ci tenete, ventimila dollari.

– Accettato – risposero Giorgio e Korsan.

– Accettato – disse Cordonazo.

Il Capitano respinse la sua sedia mentre Olvaez e Krakner empivano le tazze.

– Alla buona riuscita! – gridarono i giuocatori alzando i bicchieri.

– Grazie, amici – riprese il Capitano commosso. – Arrivederci a domani, a mezzogiorno, nella mia palazzina.

Cinquanta mani si stesero verso di lui. Le strinse una ad una e lasciò la tavola seguito dall'inseparabile suo amico, mentre un ultimo grido rimbombava sotto gli alberi coprendo il fracasso della banda e delle coppie danzanti.

– Viva il capitano Giorgio! Urrah per la Scimitarra di Budda!


Note

  1. Questo Palazzo d'Estate, formato da quaranta stupendi fabbricati e da un parco che fu il più bello che sia mai stato costruito al mondo, era stato eretto da Khieng-Lung nelle vicinanze di Pechino. Fu, colle sue preziose biblioteche, dato barbaramente alle fiamme il 18 ottobre 1860 da lord Elgin comandante delle truppe anglo-francesi per atti di malafede commessi dai cinesi nel corso delle trattative per la pace.
  2. Sacerdoti buddisti.
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