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3.
LA PARTENZA
All'indomani della scommessa, poco prima delle dieci, l'americano Korsan, vestito come un piantatore cubano, con una lunga carabina sotto il braccio, suonava alla porta della palazzina di Giorgio, situata sulla riva settentrionale dell'isola danese, quasi di faccia al piccolo villaggio di Wampoa.
Venne ad aprirgli il marinaio del Capitano, un giovanotto sui vent'anni, alto, magro, abbronzato e dai lineamenti energici.
Questo ragazzo nativo di Varsavia era lo stesso che aveva seguito il capitano Giorgio nel gran viaggio attraverso la Cina, dopo di essere scampato al naufragio di Corea, ed essere fuggito dalle mani dei pirati. Anziché chiamarlo marinaio del capitano Giorgio, potevasi chiamare suo fratello minore, poiché come tale veniva trattato dal suo padrone.
– Buongiorno, sir James! – esclamò allegramente il polacco.
– Ah! Sei tu, ragazzo? – chiese l'americano, stringendogli la mano con tanta forza da fargli crocchiare le ossa. – Che fa il Capitano?
– Sta tracciando una via sopra una carta geografica. Si va proprio a cercare la Scimitarra di Budda?
– Sicuro, ragazzo mio. Vedrai che viaggio!
– E chi è, sir James, questo signor Budda? Deve essere stato un grand'uomo!
– Peuh! Come parli male, ragazzaccio! – esclamò l'americano sporgendo sdegnosamente le labbra. – Ti pare che un dio asiatico si possa chiamare un grand'uomo?
– Toh! È un dio questo signor Budda? Io lo credevo un celebre guerriero.
– È un dio, che quei brutti musi gialli di cinesi adorano.
Il polacco proruppe in uno scroscio di risa.
– Corpo di una pipa! Ma che fate, sir James?
– Che faccio?...
– Ma vi pare! Voi, eterno nemico dei cinesi, andare a cercare la scimitarra di un dio cinese!
L'americano emise un profondo sospiro.
– Che vuoi che ti dica, ragazzo? – borbottò. – Ho commesso una grande bestialità.
– E che bestialità, sir James! – disse il polacco, che rideva fino a slogarsi le mascelle.
– E non posso più ritirarmi!
– Lo so. Orsù, sir James, consolatevi. Guadagneremo ventimila dollari e una scimitarra miracolosa.
– Non dico di no, ma...
– E batteremo quel borioso boliviano. E andremo a cacciare elefanti e rinoceronti.
– Tenteresti anche una pellerossa, tu. Infine si tratta di fare un bel viaggio, di cacciare dei colossi, di rompere qualche testa, di strappare qualche centinaio di code, di fumare dell'oppio, di intascare una rispettabile somma e di guadagnare una scimitarra, che se non sarà miracolosa, avrà il pregio di avere un diamante grosso come una nocciuola.
– Sicché non rimpiangete la scommessa?
– No, ragazzo, e te lo dico francamente.
– Allora andiamo a trovare il Capitano e a dare un'occhiata alla via che percorreremo.
L'americano e il polacco entrarono in un elegante gabinetto, in mezzo al quale trovarono il capitano Giorgio assiso dinanzi ad un tavolino ingombro di carte geografiche.
– Ah! – esclamò il Capitano, alzando il capo. – Siete qui, la mia cara ombra?
– E voi che fate là, seppellito fra le carte come un sorcio di biblioteca?
– Sto tracciando la via. Avete preparato tutto?
– È pronto tutto. La giunca di mastro Luè-Koa ci aspetta alla riva col piccolo Min-Sì. Tenda, coperte, viveri e munizioni sono stati di già imbarcati. Non ho dimenticato di cambiare ventimila dollari in diamanti onde non avere troppo peso indosso.
– Avete fatto più di quanto sperava. Ora sedete vicino a me e discorriamo un pochino sull'itinerario del viaggio.
L'americano si sedette presso il Capitano guardando con sorpresa quella confusione di linee, di monti e di fiumi tracciati sulle carte geografiche.
– Ma credete voi a quegli sgorbi? – chiese egli.
– Certamente, James – disse il Capitano spiegando dinanzi a lui una grande carta della Cina sulla quale aveva tracciato la via da Canton a Yuen-Kiang e da Yuen-Kiang ad Amarapura.
– Io non ci credo proprio nulla. Eppoi ci vorrebbe la pazienza di un monaco per seguire tutti quegli sgorbi tracciati appositamente per confondere i galantuomini. I miei occhi si smarriscono solamente a guardarli.
– Si sa che voi non vedete che code da strappare.
– Avete ragione – disse ingenuamente l'americano.
– Ora ascoltatemi. Voi vedete qui Yuen-Kiang e là Amarapura, le due città che si disputano l'onore di possedere la Scimitarra di Budda.
– Corpo d'un cannone! – esclamò il polacco. – Sono due adunque le città che dovremo visitare?
– Proprio due, Casimiro – disse l'americano, che cercava Yuen-Kiang nella Mongolia.
– Dove andate a cercarle, James? – chiese il Capitano. – Se andate un poco più lontano andrete in Siberia.
– Non sono un geografo, io. Bene, le vedo queste città, ma, quantunque le tocchi tutte e due colle mie dita un poco allargate, mi sembrano alquanto lontane. M'inganno forse?
– No, sono assai lontane. Ora trattasi di decidere quale sarà la prima città che visiteremo. Io andrei a Yuen-Kiang, e voi?
– A me lo chiedete! – esclamò l'americano, assai sorpreso che il suo illustre amico gli chiedesse un parere. – Se voi dite che è meglio andare a Yuen-Kiang, andiamoci.
– Sta bene, ora vi mostrerò la via.
– Correte come un treno.
– Ecco qui il Si-Kiang; lo rimonteremo in barca senza troppa fatica. Vi piace?
– Come! Andremo a Yuen-Kiang in barca?
– Oibò! Yuen-Kiang non è sul Si-Kiang.
– Quanti Kiang!
– Lo saliremo fino a Ou-Tcheon, poi acquisteremo dei cavalli e attraverseremo le province di Kuang-Si e di Yun-Nan fino alle rive del Koo-Kiang.
– Cos'è questo Koo-Kiang?
– Un fiume che bagna Yuen-Kiang.
– Sicché, attraversato questo Koo-Kiang entreremo senz'altro in Yuen-Kiang?
– Precisamente, James. Avete osservazioni da fare?
– Che osservazioni volete che faccia? Voi parlate meglio di un libro stampato.
– Bene...
– Una parola, che non è però una osservazione. Troverò degli elefanti e dei rinoceronti da accoppare?
– Oh! Sir James! – esclamò il polacco. – Volete azzuffarvi con quei bestioni? Vi demoliranno.
– Peuh! Bestie cinesi!
– Che siano differenti dalle altre?
– Certamente, ragazzo mio. Ne troverò, Giorgio?
– A centinaia.
– Benissimo, tiriamo innanzi. Se questa famosa Scimitarra di Budda non si trovasse a Yuen-Kiang, cosa si farà?
– Andremo ad Amarapura – rispose il Capitano. – Vi spaventa un viaggio attraverso l'Indocina?
– Non dico questo, ma osservo che il viaggio diventerà assai lungo.
– Abbiamo un anno di tempo, James.
– Non fiato più. Dunque...
– Dunque, se non troveremo l'arma a Yuen-Kiang, attraverseremo il fiume Cambodia o Mey-Kong, poi il Saluen, indi il Mey-Nam e arriveremo alle sponde dell'Irawaddy. Con una barca poi ci sarà facile scendere ad Amarapura, detta anche la Città degli immortali.
– Che razza d'uomo! – esclamò l'americano, stupito. – Si direbbe che ha percorso cento volte quella strada.
– Vi piace l'itinerario?
– Certamente.
– E sarete disposto a fare qualsiasi sacrificio per trovare la Scimitarra?
– Farò tutto quello che vorrete.
– Sta bene, cominciamo con un piccolo sacrificio.
– Oh! Oh! – esclamò lo yankee un poco inquieto.
– James, – disse il Capitano, sturando una bottiglia di vecchio whisky ed empiendo due tazze – voi sapete, e forse meglio di me, che il governo cinese non ama vedere gli stranieri entrare nelle sue terre.
– Lo so – rispose l'americano. – Si corre il pericolo di perdere la testa.
– Se noi entriamo nel Kuang-Si vestiti da europei ci arresteranno subito.
– Pur troppo. E allora cosa si farà?
– Vi faccio una proposta che mi sembra eccellente.
– Quale sarebbe?
– Camuffiamoci da cinesi.
– Che cosa dite?...
– Che bisognerà appendersi alla nuca il pen-sse[1] e indossare la kao-ha-tz[2].
– Che?... Io vestirmi da cinese! Io, cittadino della libera America, io yankee puro sangue, indossare la kao-ha-tz!
– Se avete qualche proposta migliore, mettetela fuori.
L'americano rimase lì a bocca aperta senza trovare parole.
– James, non è il momento di esitare, – disse – né il momento di suscitare degli ostacoli.
– Ma vi pare, Capitano!... Io vestirmi, mascherarmi da cinese! Uno yankee puro sangue attaccarsi quell'appendice...
– Al diavolo tutti gli yankees puro sangue!
– Ma mi derideranno tutti.
– Che importa? Si tratta di vincere la scommessa. Eppoi, non vi siete vestito da cinese quando appiccaste zuffa nella Città galleggiante?
L'americano non sapeva cosa dire. Cercava argomenti, ma non ne trovava.
– Orsù, cosa decidete? – chiese il Capitano.
– Cosa decido?... Appendersi una coda!...
– Animo, sir James – disse il polacco. – Quando avremo la coda, andremo a fumare l'oppio e a bere il thè come veri cinesi.
– E ti appenderai anche tu la coda, Casimiro?
– Certamente. Per vincere la scommessa io mi dipingerei anche di azzurro.
L'americano, imbarazzatissimo, si grattava furiosamente la testa e soffiava come una foca. Era un gran passo per lui, nemico eterno dei cinesi, indossare un costume cinese e appendersi la coda.
– Animo, sir James – incalzò il polacco. – Che cosa fate lì duro duro, con quella faccia malinconica?
– Penso alla coda. Viaggiare con quel brutto ornamento e calzare un paio di ha-tz[3] dall'alta suola!
– Ma non vi sembra giusto che in Cina si viaggi vestiti da cinesi? – chiese il Capitano, ridendo.
– Toh!... Forse forse avete ragione.
– E così? – incalzò il Capitano.
– E così... quando è proprio necessario... mi lascerò... orsù mi lascerò dipingere e vestire.
– Resta stabilito dunque, James. Vi vestirete da cinese.
– Con una lunga coda piantata sul cranio e un paio d'occhiali affumicati sul naso – aggiunse malignamente il polacco.
– Ih!... Che furia! Correte come due treni! Che sacrificio!
– Consolatevi, James – disse il Capitano. – Si tratta della Scimitarra.
– Al diavolo la Scimitarra e tutte le divinità asiatiche! Costa già enormi sacrifici questa sciagurata arma e non siamo ancora in viaggio!
Il Capitano guardò l'orologio.
– Le undici – disse. – Abbiamo appena il tempo di fare la nostra toletta.
L'americano emise un sospirone che veniva proprio dal cuore e seguì il Capitano e il polacco in un'altra stanza. Colà, non senza un brivido, vide casacche, camicie, calzoni, code, cappelli, zoccoli, cintole, borse, occhiali e ventagli, tutti oggetti indispensabili ai buoni figli del Celeste Impero.
Un figaro cinese rase a tutti la barba, impeciò loro i baffi curvandoli all'ingiù, rase una parte della nuca e vi appiccicò una bella coda di novanta centimetri, il pen-sse. L'americano sospirava e sbuffava ad un tempo; quella trasformazione gli agghiacciava il sangue nelle vene.
La toletta non fu lunga. Lavatisi con un'acqua giallastra che lasciò sui loro volti una tinta proprio cinese, indossarono la pu-saiu o camicia di seta, vi sovrapposero le kao-ha-tz, sorta di casacca che scende fino alle ginocchia, aperta sul lato destro del petto dove incrociasi e abbottonasi, la strinsero colla ku-tz'-la, larga cintola alla quale appesero la hoo-pao contenente la pipa, gli occhiali di quarzo affumicato e la ventola.
L'americano, giunto a questo punto, si arrestò. Sudava come avesse fatto uno sforzo gigantesco.
– Animo, James, – disse il Capitano – siete già mezzo cinese, tanto vale diventare un cinese intero.
– Voi parlate, ma io faccio le dodici fatiche d'Ercole – rispose l'americano.
Con uno sforzo sovrumano si decise a infilare i calzoni e a calzare gli zoccoli dalla punta larga e la suola di feltro alta assai. Calcatosi in capo un cappellaccio in forma di fungo, si precipitò verso lo specchio.
– Davvero! – esclamò, stupefatto al massimo grado. – Che sia diventato un vero cinese?
Si guardò attentamente gli occhi, temendo che fossero diventati obliqui e respirò lungamente vedendo che erano ancora orizzontali.
Il polacco e il Capitano, vedendolo piantato dinanzi allo specchio, ridevano a crepapelle.
– Che magnifico cinese! – esclamò Casimiro. – Corpo di un cannone! Vi giuro, sir James, che siete un cinese superbo!
– Birbone! – disse l'americano, che rideva con tal fragore da far tremare le pareti della stanza.
In quell'istesso istante batterono le dodici. Alla riva erano giunte le barche cogli europei e gli americani delle fattorie e la giunca coi suoi sei barcaioli.
Non vi era un minuto da perdere.
Furono sbarrate le finestre e le porte affinché la palazzina non venisse vuotata dai ladri di Wampoa che sono numerosissimi, e i tre avventurieri, armati di carabine, di pistole e di solidi bowie-knife[4] scesero la riva.
Krakner, Olvaez, Barrado, Rodney e una cinquantina di amici li attendevano.
Gli addii furono commoventi e gli augurii interminabili. Ognuno voleva abbracciare e baciare i tre intrepidi viaggiatori che forse non dovevano ritornare mai più a Canton.
Alle dodici e un quarto fu dato il segnale della partenza; il Capitano, James e Casimiro balzarono nella giunca che ondeggiava vivamente sotto la marea montante.
– Iddio vi accompagni! – gridarono gli amici affollati sulla riva.
– Grazie, amici! – gridò il Capitano salutandoli col cappello. – Fra un anno, se Iddio vuole, torneremo colla Scimitarra di Budda!
Ad un suo cenno i barcaioli tuffarono i remi, e la giunca prese il largo rimontando rapidamente la corrente del Fiume delle Perle.