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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LA SCITTÀ ETERNA
Gusto sce l’averebbe io,1 sor Topaj,2
Che Rroma tra cqualunque priscipizzio
Campassi3 inzino ar giorno der giudizzio
E ppuro4 un po’ ppiù in là ssi ccasomai.5
Ma ssempre ha ttorto marcio er zor don Tizzio,
Che la preposizzione6 c’avanzai
Ner dì cche sta scittà ppò ppassà gguai,
Sii dilitto d’annàcce7 a Ssant’Uffizzio.
Dunque, pe’ llui, la riliggione e Rroma
Sò ddistinate inzieme a una cascata
Come cascheno l’asino e la soma?!
Dunque la riliggione a st’abbatino
Nun je pò arregge si nun è affonnata8
Sopr’a Ppiazza-Navona e ar Babbuino?!9
22 aprile 1834
- ↑ Ce lo avrei.
- ↑ Topaj, nome di famiglia romana, dalla quale dev’essere discesa l’altra de’ Topi, che mangia nello stesso granaio.
- ↑ Campasse.
- ↑ Pure.
- ↑ Quand’anche si voglia.
- ↑ Proposizione.
- ↑ Andarci.
- ↑ Se non è fondata.
- ↑ Due luoghi di Roma: la parte pel tutto.
Note
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