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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LA CONCUBBINAZZIONE
“Ma, Eminenza, si vvò, llei pò aggiustalla:
M’ajjuti pe’ l’amor de la Madonna!
Sta supprica che cqui ggià è la siconna,
E intanto ho ffame e ddormo a Ssanta Galla.„1
A ste parole, da una stanzia ggialla
Entra e ttrapassa una gran bella donna,
Eppo’ un decane2 co’ ’na conca tonna
E un ber cuccomo pieno d’acqua calla.
Er Cardinale me se fesce rosso
Com’un gammero cotto,3 a sto passaggio;
E nnun zeppe4 ppiù ddì: “Fijjo, nun posso.„
Ma ccome je sscennessi allora un raggio
Dar celo, pe’ llevammese da dosso
Stese er riscritto, e sse n’annò ar bon viaggio.
d Roma,9 dicembre 1832
- ↑ Ospizio che dà ricovero la notte a chi è privo d’alloggio.
- ↑ Vedi la nota 4 del sonetto.
- ↑ Esiste in Roma il Collegio Germanico-Ungarico, i cui alunni pel loro vestimento rosso vengono detti gamberi-cotti.
- ↑ Seppe.
Note
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