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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LA FIJJA DORMIJJONA.
Alegria, sù1 cch’è ttardi: animo, fòra.
T’arincressce d’arzatte2 eh? tt’arincressce?
Vojjo propio vedé ssi tt’arïessce
De stà a lletto inzinent’3 a vventun’ora.
Nun zei tu er gruggno de fà la siggnora:
Chi ddorme, bbella mia, nun pijja pessce.4
Portronaccia, essce5 da quer letto, essce:
Di’ l’orazzione,6 vèstete,7 e llavora.
Guardate lli! nnemmanco la vergoggna!
Stà8 a ccovà ttuttaquanta la matina,
Senz’arifrette9 a cquer che ciabbisoggna.10
Ma attacchetel’ar déto,11 Caterina;
Ché ssi cce12 provi ppiù, bbrutta caroggna,
Te fotto13 a ppan e acqua ggiù in cantina.
9 aprile 1834.
- ↑ Sveltezza, su!
- ↑ Alzarti.
- ↑ Insino.
- ↑ Proverbio.
- ↑ Esci.
- ↑ Orazioni.
- ↑ Vestiti.
- ↑ Stare.
- ↑ Riflettere.
- ↑ Ci bisogna.
- ↑ Attaccatela al dito, vale: “sia questa l’ultima.„
- ↑ Chè se ci.
- ↑ Ti caccio ecc. È una delle consuete minacce delle buone madri alle loro cattive figliuole, che vogliono bene educare.
Note
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