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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LE FURTUNE
Ne l’usscì dda la cchiesa, appena ho ttocco1
Co sto piede una sojja de scalino
Vedo un coso2 che lluccica: m’inchino...,
E ssapete ch’edèra?3 era un majocco.4
Io, de raggione, nun fui tanto ggnocco
De lassallo5 stà llì, nnò ssor Fillino?
Ma mmentre ero a rriccòjjelo,6 un paìno7
Disse: “Furtuna e ddorme„:8 e entrò a Ssarrocco.9
Furtuna e ddorme! io fesce:10 eh nnun c’è mmale.
La furtuna l’ho pprova,11 e ssarà mmejjo
Che mmó pprovi er dormì cqui ppe’ le scale.
Oh azzeccàtesce12 un po’ cche cc’è de bbello
De sta furtuna mia? che mm’arisvejjo,
E mm’aritrovo llì ssenza cappello.
9 aprile 1834
- ↑ Toccato.
- ↑ Il coso e la cosa sono comodissimi nomi di disimpegno che si dànno a tutti gli oggetti.
- ↑ Che era, cos’era. Le voci è ed era, se vanno precedute da una che nel senso di cosa, si cambiano nella bocca del Romanesco in edè ed edèra.
- ↑ Baiocco.
- ↑ Lasciarlo.
- ↑ Raccoglierlo.
- ↑ Le persone ben vestite son tutte paìni e paìne.
- ↑ Fortuna e dormi: proverbio.
- ↑ San Rocco.
- ↑ Dissi.
- ↑ Provata.
- ↑ Indovinateci.
Note
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