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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LA GOLACCIA1
Quann’io vedo la ggente de sto Monno,
Che ppiù ammucchia tesori e ppiù ss’ingrassa,
Più2 ha ffame de ricchezze, e vvò una cassa
Compaggna ar mare, che nun abbi fonno,
Dico: oh mmandra de scechi,3 ammassa, ammassa,
Sturba li ggiorni tui, pèrdesce4 er zonno,5
Trafica, impiccia: eppoi? Viè ssiggnor Nonno
Cor farcione6 e tte stronca la matassa.7
La morte sta anniscosta8 in ne l’orloggi;
E ggnisuno pò ddì:9 ddomani ancora
Sentirò bbatte10 er mezzoggiorno d’oggi.
Cosa fa er pellegrino poverello
Ne l’intraprenne11 un viaggio de quarc’ora?
Porta un pezzo de pane, e abbasta quello.
27 ottobre 1834
- ↑ L’avidità.
- ↑ Che, quanto più ammucchia tesori e s’ingrassa, tanto più, ecc.
- ↑ Ciechi.
- ↑ Pèrdici.
- ↑ Il sonno.
- ↑ Col falcione.
- ↑ Tutti i progetti, i disegni, ecc.
- ↑ Nascosta.
- ↑ Nessuno può dire.
- ↑ Battere.
- ↑ Nell’intraprendere.
Note
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