Questo testo è incompleto.
Le smosse de quella bbon'anima Li fijji a pposticcio
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1843

LA LAVANNARA ZZOPPICONA

     Voi me guardate ste scarpacce rotte:
Eh, ssora sposa1 mia, stateve zzitta,2
Che cciò un gelone ar piede de man dritta
Che nun me fa rrequià mmanco la notte.

     Io sciò mmesso ajjo pisto, io mela cotte,
Io sego, io pisscio callo, io sarvia fritta!3...
Mó nun ce spero ppiù, ssora Ggiuditta,
Sin che l’inverno nun ze va a ffà fotte.

     Disce: “E ttu nun girà.„ Bbelli conzijji!
Sì, stamo a ccasa: eppoi? come se spana?4
Che abbusco?5 un accidente che jje pijji?

     Ma ccazzo! a mmé cchi mme sce va in funtana?
Chi mme ne dà ppe’ mmantené li fijji?
Campo d’entrata io? fo la p......?6

14 maggio 1843


Note
  1. [Colla o strotta. — “Spósa si dice per titolo di cortesia a tutte le donne, delle quali non si sappia il nome. Talora è anche un’ironia usata con quelle che si conoscono.„ Così il Belli nella nota 2 del sonetto: La regazza ecc., 14 genn. 34. Ma dal sonetto presente, da quello intitolato: Le purce ecc., 4 febb. 35, e da altri ancora, sì vede che la detta nota anderebbe corretta in questo modo: “.... delle quali non si sappia, o anche si sappia, il nome. Ma a quest’ultime, qualche volta, si dice per ironia.„]
  2. [Statevi zitto è un’epressione molto comune ed efficace, che si dirige a chi, senza volerlo, ci richiama alla mente qualche nostro malanno.]
  3. [Variante popolare: Io farina de ceci, io marva affritta]
  4. [Come si mangia?]
  5. [Che busco? Che guadagno? ]
  6. Vedi Annotazione al verso 14

Annotazione al verso 14[modifica]

[La variante popolare delle due terzine, già da me accolta nell’ediz, Barbèra, è anch’essa stupenda:

     S’averò dda guarì, gguarirò allora;1
Ma intanto ho dda schiattà la sittimana,2
E arzamme de notte e usscì abbonora.

     Me fate ride! Nun annà in funtana!3
No?! chi cce va pe’ mmé? So’ ’na siggnora?
Campo d’entrata io? fo la p......?

  1. [Cioè, finito l’inverno.]
  2. [Schiattar la settimana: penar sempre, tutt’e sette i giorni della settimana.]
  3. [Mi fate ridere, dicendomi: “Non andare in fontana.„ Il dicendomi è sottinteso, perchè l’uso, in questo caso, vuole rigorosamente così; ma è compensato ad usura dal tono di dolore e di maraviglia con cui la povera donna pronunzia le parole: Me fate ride! e dal modo esclamativo delle altre: Nun annà in funtana! che ella accompagna con un lento scuotere della testa e delle spalle.]
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