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Umanità e mistero A Eugenia giovinetta di quattordici anni
Questo testo fa parte della raccolta V. Da 'Memorie e lagrime'

V

LA MIA BISACCIA

Esopo, arguto spirito,
favoleggiò che due
bisacce ha l’uom. La gravida
delle magagne sue
5inesplorata al l’omero
gli pende, e l’altra al petto,
dove ogni altrui difetto
si curva ad esplorar.
A me la cauta favola
10fu si gagliarda scola,
che sopra il sen mi dondola
una bisaccia sola.
E in lei mi guardo, e, giudice
fiero de’ vizi miei,
15io mi confesso a lei
come a segreto aitar.

Che truppa d’eteroclite
chinesi figurine
saltati lá dentro, a ciondoli,
20a collaretti, a trine!
Ecco piumato e in bavero
il sospettoso Orgoglio,
principe senza soglio,
che almanaccando va.
25Le Noie a’ piè sbadigliano
del torbido sovrano;
con l’ali d’ór le provoca
un amorin pagano;
trilla la musa, artefice
30di parolette accorte,
ma il principe e la corte
pace con lei non (a.
Ecco il sotti) fortuito
riso della Dolcezza,
35che, urtando nella squallida
Malinconia, si spezza;
quindi la pronta Collera,
colle sembianze in loco,
che i ninnoletli e il loco
40strugger vorria con sé.
Traversa il Frizzo stridulo
col suo musin di vespa;
il Cruccio nella tenebra
la buia fronte increspa;
45storce le labbra e zufola
il Ghigno alle altrui spalle;
zoppe fantasme e gialle,
che fan corteggio al re.

Nella lentata cintola
50l’Ozio le palme caccia,
e languido si spenzola
in fondo alla bisaccia;
l’ambigua Incertitudine
crolla la faccia bianca;
55l’Angoscia a ritta, a manca
l’egro Sospir le vien.
Se a desco alcun degli ospiti
l’acre salier riversa,
e, per cadente lampana,
60d’olio è la terra aspersa,
ritti gli orecchi e trepide,
in tunicelle oscure,
si serran le Paure
l’una dell’altra al sen.
65Ecco, le ciglia splendide
di qualche sacro lume,
balza il Pensiero. Ha d’aquila,
d’aquila istinto e piume?
Povero gufo! Gli angoli
70della bisaccia ei fere,
e per le curve sfere
sogna esser ito al sol.
Q ialite miserie annidano
nella bisaccia mia!
75Pur v’ha cui rode il fegato
furor di gelosia.
Deh! potess’io, per vivere
due giorni piú tranquilli,
codesti miei gingilli
80gittarli a chi li vuol!

Ché giá né in limpid’agata
son finti od in piropo,
ma in nudo legno, a riderne
l’ombra del vecchio Esopo;
85né la bisaccia sfolgora
di ricca perla o d’oro,
né a gloria di lavoro
l’artefice pensò.
Di cuoio ha le compagini,
90color di violetta;
d’inglese acciar le fimbrie,
la susta e la chiavetta;
raccomandata a un cingolo
traverso il sen mi cade,
95e giá per molte strade
con me pellegrinò.
Ma fra il corteo dei ninnoli,
dentro mal ritti in piedi,
che son questi odorileri
100bruni fuscelli?... Oh vedi!
Fumo d’orgoglio è simile
a fumo di cigáro:
uno ne accendi, o caro,
e poniti a fumar.
105Anzi di nebbia un vortice
sui ninnoli protervi
getta, se sai, per vincerne
i petulanti nervi,
onde il gentil spettacolo,
110che ti ferisce il ciglio,
sedato ogni pispiglio,
tu possa contemplar.

Via pel celeste pelago,
addio, notturna amica!
115L’afflitto cor ti sanguina
pur della piaga antica;
e, mentr’io scherzo e medito,
tu negli eterni giri
d’Endimion sospiri
120le ardenti voluttá.
Or che la selva imbiancasi
sotto gli argentei raggi,
addio, piangenti musiche
del rosignol sui faggi:
125voi rammentale a un esule,
sazio d’illustri inganni,
i lagrimati affanni
della sua verde etá.
Che vuoi narrarmi, o lugubre
130tu di pastor lamento,
or che in qQell’ampia nuvola
il limar disco è spento?
Ah! dal montano culmine
precipitò Neera,
135la stella mattiniera,
delle capanne il fior.
0inconsapevol vergine,
dell’agne tue superba,
straniera al mondo, addormiti
140nel letticciuol tuo d’erba.
Ti daran ombra i salici,
profumo le viole,
raggi la luna e il sole,
e gemiti il pastor.

145Urrá! urrá! Trasportami,
cavai, su la tua groppa:
vedi: con noi la comica
bisaccia mia galoppa.
Bizzarra cosa è mescere
150fumo, galoppo e canto,
e divorar frattanto
la lunga via cosi.
Urrá! Voliamo al gelido
silenzio delle stelle:
155la lodoletta e l’aquila
volan cantando anch’elle.
Ecco Bisalta e i margini
del secolar castagno!
Platon di Peveragno,
160svegliatevi: son qui.
Che? Mi chiedete attonito,
perché, notturno gnomo,
vengo in quest’ora a scotere
la porta a un galantuomo?
165Perché nel di si scontrano
e carra e mulattieri,
che rompon de’ pensieri
l’armonica virtú.
Perché le ciglia il perfido
170raggio del sol m’offende.
Perché al mio cor piú tenera
la bianca luna splende.
Perché piú colma ed ilare
oggi vuotai la tazza,
175e matti d’ogni razza
pose il Signor quaggiú.

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