Questo testo è incompleto. |
◄ | Li Ggiudii de l'Egitto | Er motivo de li guai | ► |
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LA MMASCHERA
Sibbè cche in vita sua cuann’ebbe er pranzo
Mai nun potessi arimedià dda scena,
È stato sempre una gran testa amena,
E nn’ha avute de bbuggere1 d’avanzo.
Oggi ch’è bbiocco2 e nnun pò ffa ppiù er ganzo,3
Dà in cojjonella4 e nnun ze mette in pena;
E ’ggnicuarvorta che sse sente in vena
Pe’ ffanne delle sue trova lo scanzo.
Ggiuveddì ggrasso5 sto gallaccio vecchio
Co ccerti scenci che jje diede un prete
Se vestì dd’abbataccio mozzorecchio.6
Eppoi se messe un specchio ar culiscete
Co ste parole cqui ssott’a lo specchio:
Ve tiengo a ttutti indove ve vedete.
Roma, 17 dicembre 1832
- ↑ Originalità, stravaganze.
- ↑ Vecchio.
- ↑ L’amoroso.
- ↑ Dà in baie.
- ↑ Il giovedì fa gli ultimi otto giorni del carnevale, solo periodo in cui sono a Roma permesse le maschere.
- ↑ Suole il popolaccio amare appassionatamente una certa foggia di maschera imitante alcuanto il procuratore forense: e con un gran libro nelle mani vanno spargendo spropositi e frizzi. Così contraffanno il medico e il conte, l’uno asino, l’altro orgoglioso.
Note
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.