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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA MORTE DER RABBINO1
È ito in paradiso oggi er Rabbino,
Che ssarìa com’er Vescovo der Ghetto;
E stasera a li Scòli2 j’hanno detto
L’uffizzio de li morti e ’r matutino.
Era amico der Papa: anzi perzino
Er giorn’istesso ch’er Papa fu eletto,
Pijjò la penna e jje stampò un zonetto3
Scritto mezzo in ebbreo mezzo in latino.4
Dunque a la morte sua Nostro Siggnore
Cià ppianto a ggocce, bbe’ cche ssia5 sovrano,
E cce s’è inteso portà vvia er core.
Si6 ccampava un po’ ppiù, tte lo dich’io,
O nnoi vedemio7 er Rabbino cristiano,
O er Papa annava a tterminà ggiudio.
9 maggio 1835
- ↑ Moisè Sabbato Beèr, uomo dottissimo. [Morì, di circa 67 anni, il 6 maggio 1835. Era nato a Pesaro.]
- ↑ [Alle scole: alla sinagoga. V. la nota 3 del sonetto precedente.]
- ↑ Lo scrisse veramente.
- ↑ [Non è già, come crede il popolano, mezzo in ebraico e mezzo in latino, ma in ebraico, con a lato la traduzione libera in prosa italiana. Di latino non c’è altro [ che i richiami de’ biblici squarci messi a contributo nel testo. Il sonetto fu scritto in omaggio di venerazione ed esultanza, per la gloriosissima esaltazione di Gregorio XVI, ma fu pubblicato quasi tre anni dopo, cioè il 15 novembre 1833, ed è preceduto da una lettera dedicatoria, piena anch’essa di sperticate lodi per l’adorabile Sovrano. Chi però legga le mie note a’ sonetti: Le curze ecc., 10 genn., e L’omaccio ecc., 4 magg. vedrà che il Rabbino mirava a propiziarsi l’animo del Pontefice, che conosceva personalmente, affinchè prestasse benigno orecchio alle istanze che stavano per rivolgergli i poveri Ebrei, onde essere esonerati da servitù e tributi iniquissimi. Ma Gregorio non si lasciò intenerire; e i vecchi Israeliti di Roma ricordano ancora che rispondeva sempre ai loro Rappresentanti: “Vorrei contentarvi, ma me lo vietano le costituzioni apostoliche.„]
- ↑ Benchè sia.
- ↑ Se.
- ↑ Vedevamo.
Note
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