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CANTO IV
Creazion di corpi celesti e terrestri.
Ribellione e ruina delli angeli.
Come del ciel tra le piú accese faci
quella del bel Lucifero da mane
sola di Febo scorge i rai vivaci;
cosi tra quelle forme soprumane
5l’ardente piú degli altri Lucibello
s’abbella a le beltá di Dio soprane.
Minor di sé pur l’altro padre fèllo,
maggior degli altri ed angelo primiero,
ed informò di cose piú alte quello,
10Sta sempre innanzi al Re con grande impero,
riconosciuto il primo ed onorato
per un di mille fregi e grazie intero.
Egli fe’ cenno al canto; e quel pausato,
tonò la voce ancor del sommo Padre,
15e in quell’istante il mondo fu creato.
Io vidi il sol, la luna, e a squadre a squadre
ir infinite stelle, e fonti e piante
e augelli uscir della terrestre madre.
In quel medesmo punto tutte quante
20le fiere, ch’eran con bel modo finte,
sbucano fuor di macchie a noi davante.
Le cose ai seggi lor sen van distinte;
e poco stante fúr dal primo lume
niolt’ombre al cieco fondo risospinte.
25Ch’eran quest’ombre? O sacrosanto Nume,
o profondo consiglio, dá’ perdono
a mia viltá, se di te dir presume!
Vedeva il gran Fattor molt’esser buono
quant’era fatto, ed un mancarvi solo
30a cui di tutto avesse a farne dono.
— Facciamo — disse — l’uomo, che figliuolo
mi sia, del mondo erede e simil nostro,
cui sotto giaccia l’uno e l’altro polo.
Facciamo l’uom, che al ciel vòlt’abbia il rostro,
35degno animai, che gli altri signoreggi
e di ragion solazzi il vago chiostro.
Facciamo l’uom, ch’eterno voi pareggi,
voi, spirti miei, ch’eterno neU’eterne
delizie mie fra voi sempre fiammeggi !
40Alfin nel mio consiglio si discerne
che l’uomo, a me figliuolo, a la mia destra
trascenderá voi, gerarchie superne. —
A tanto dir del seggio si sequestra,
ov’era Lucibello a Dio vicino
45in vista torta, baldanzosa, alpestra.
Ed ecco un stuol di spiriti repentino
vannogli appresso, e l’union si parte
quinci del mal, quindi del buon destino.
Michel si trasse alla fedel sua parte;
50dall’altra è Lucibello, e ornai s’accende
tra fidi e ribellanti un crudo marte.
Ma sopra tutti l’empio duca frende,
apostata superbo, e tra’ seguaci
suoi cavalieri zolfo ed ésca incende;
55e, poi che fatto gli ebbe contumaci
contra il suo Creatore, a lui va verso
e parlagli con gesti troppo audaci :
— Si veramente tutto l’universo
compiuto hai di formar: e me, l’egregio,
60me l’eccellente, l’alto, il bello e il terso,
me (ch’io sol tengo di splendor il pregio,
perché non so qual uom, non anco suto,
s’abbia di me piú largo privilegio),
come non son da te riconosciuto
65per quel che fatto m’hai? come t’appaghi
si nuocer me, ch’ancor non t’ho nociuto? —
Ah!—disse Dio — che i monti, piani e’laghi
lode mi dan, che Tesser dato ho loro,
nel qual, non men del ciel, si tengon paghi:
70e tu, che piú t’inalzo e piú t’onoro,
piú ancor rendermi grazie mi dovressi,
sendo tu donno e re del primo coro;
ecco, fatto arrogante e altier con essi
seguaci tuoi, non pur grazie non rendi
75a me, che per aurora mia ti elessi,
ma tanto il van desio sfrenato estendi,
tant’alto il mandi, sol d’invidia morso
c’hai dell’altezza mia, che un salto prendi;
prendi un gran salto in giú, di voglia scorso,
80dal piú alto cielo al piú profondo abisso,
né del tuo fallo senti alcun rimorso!
Ché, siccome credesti aver giá fisso
non men sublime il tuo del seggio mio,
ch’eterno avessi a star, non che prolisso,
85tanto piú basso e piú lontan da Dio
or va’ dannato eternamente al regno
d’ombre, di morte, di dolore e oblio! —
Si tosto che il divino e santo sdegno
fini di tanto dir, Michel il forte
90corse al rubello, ornai di vita indegno;
dagli le man nel petto, e l’urta forte
una e due volte, e fallo gir a terra
per dargli col suo brando eterna morte.
Allor vidi acciuffarsi orribil guerra
95tra questo e quello esercito, gridando,
come gridar si suole: — Serra, serra! —
Non grandine si spessa piove, quando
d’umor talvolta e fuoco un nuvol denso
va piante, armenti e case danneggiando,
100com’io vedea di quel conflitto immenso
venir cornuti e negri spirti abbasso
in un inferno fintamente accenso.
Udivasi nell’aria un tal fracasso,
qual s’ode in terra d’appicciate schiere:
105tanto valea chi finse di compasso.
Le forme, che cadeau, non eran vere;
ma vote o piene pur di paglia o stoppa,
parean brutti demon con facce nere.
Fumo e polvino in aria cela e stoppa
110la vista nostra si, pur senza noia,
che il finto e vero in un sol vero intoppa.
Di Dite la cittá, li posta, Troia
parca seder nel fuoco, e quanti d’alto
vólti giú sono, tanti ardendo ingoia.
115Ver era il grido, falso era l’assalto,
che con fracasso d’orni, legni e canne
facean tremarci sotto a’ piè lo smalto.
Or Lucibello ongiute ha ornai le spanne,
ha duri e folti peli di cinghiale,
120ha della bocca fuor le curve sanne;
spande di vespertillo duo grand’ale;
fuoco dagli occhi lancia e dalle nari,
che Mongibel non ne lanciò inai tale.
Ma non cosi però, ch’ei si ripari
125 dalle percosse di Michel gagliardo,
che di vittoria è ornai tra i pregi rari.
Alfin gli caccia nel gran ventre un dardo;
e quel, voltato in giú col capo innanti,
non fu con gli altri negri al fuger tardo.
130Di trombe allora e d’altri suoni e canti
alta armonia percosse l’aria, e gesti
si fan di giuochi e carri trionfanti.
Mi volsi al biondo vecchio e dissi : — Questi
si fatti oggetti apportano verace
135forma di vero e sensi al vero desti.
Beati voi, che, mentre si vi piace
trattar imprese degne, v’acquistate
tranquilla in terra, eterna in cielo pace!
Non ponno se non esser a Dio grate
140quest’opre vostre, ad un sol fine intente,
che del ver sole i raggi veri abbiate.
Atto qui non si vede e men si sente
che sia d’uffizio fuora e d’onestade.
mercé di voi la ben istrutta gente.
145In grave accorto senno mai non cade
segno di pentimento; né qual foglia
muovesi facil, no: ma d’ambe strade
tiensi ragione, a cui suppon la voglia!