< La palermitana < Libro secondo
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Libro secondo Libro secondo - Canto II

CANTO I

Figura del discorso fatto per Io mar della Scrittura santa.
Invoca Gioseppe in luoco del morto Palermo.
Stanca la nave mia solcar tant’onde
per lo profondo mar de’sacri inchiostri,
or siede a ristorar le fiacche sponde.
Del fier Nettunno abbiam provato i mostri,
5dal forte mio nochier poco stimati,
fin che del porto entrammo i tuti chiostri.
Nochier mi fu Palermo, che i latrati
di Scilla quinci, di Cariddi quindi
ha nell’ondoso e stretto mar passati,
io Securi andammo alli ciclopi, e d’indi
con piene vele in alto abbiam veduto
d’Europa i mari, gli africani e gl’indi.
Or chi mi dá speranza d’altro aiuto,
che il Palinuro mio m’è tolto? Quando
15piú ad uopo m’era, lasso! io l’ho perduto.
So ben che noi l’atroce Uranio infando
sospinti avria coi suoi fulminei spirti
lá ove scuto non vai, non elmo e brando;
so ben che n’assorbean le ingorde sirti
20e i rotti golfi e scogli, ove piú volte
ne s’arricciáro i peli duri ed irti ;
se non foss’egli stato, che le molte
fraudi del tempo, i segni e l’arte a pieno.
l’insole aperte intese e le sepolte.

25Or vola scarco sotto al ciel sereno.
Trovar bisogna un simile governo,
che il troppo audace legno tenga a freno.
Voi solo, assunto dal senato eterno,
per secretezza del mistero santo,
30che non cognobbe il mondo, e men l’inferno,
voi voglio, o buon Gioseppe, il qual col vanto
il nome ancor di giusto avete eguale
scelto ad onor, che non ne fu mai tanto.
Non senza voi la barca mia carnale
35varcar di spirto il pelago presume,
né dell’antenna sciórre al vento l’ale.
Del trino ed uno inaccessibil Nume
il mar non tento, no, ché a tanto corso
remi non ho, né a tanto volo piume.
40Di profezie piú segni ho fin qua scorso:
or per un mar tranquillo d’umiltate
date, vi prego, al mio timon soccorso.
Se questo arcano acquisto a me narrate,
a me che vi son fatto partegiano,
45che pur le spalle al mondo ho giá voltate;
s’io per voi sento, intendo e pongo mano
nella chiarezza di quest’atto immenso,
che il divin groppo è avvinto con l’umano;
d’un tanto beneficio in ricompenso,
50a questo vostro Figlio un tempio faccio,
l’altar vi addrizzo ed offrovi l’incenso.
Non tempio a mano fatto, non impaccio
de’ buoi, capre, vitelli, odori e fumi,
ma dentro al cuor mel tolgo, e lo vi abbraccio.
55Erano spenti giá gli erranti lumi
del cielo all’apparir del lor piú grande,
ch’alluma piani, monti, mari e fiumi;
cd ecco in Betleém da varie bande
d’uomini e donne un popolo s’addossa
60lá ’ve non so ch’editto al lor si spande.

Ma non fia mai che tanta gente possa
caper in grembo di si poca terra,
qualor si sia per alloggiarvi mossa.
Per tanto io, come quello il qual non erra
65far, ’nauti gli sia detto, alcun servigio,
in cui desio d’onor sempre si serra,
mirando il nostro albergo alcun vestigio
d’albergo non aver, anzi piú presto
ruina di vecchiezza o per litigio,
70e che il volgo scortese e poco onesto
ivi verria com’a comun ostello
per far le cose sconce, a che è ben presto,
piglio non molto esperto l’asinelio,
e, degli arnesi suoi messolo in punto,
75corro a ventura ov’era un valloncello.
Del quale alla piú ascosa banda giunto,
quel che giammai non feci allor m’è caro
prender di far, almen ch’io so, l’assunto.
Qui stringo di materie un fascio varo,
80come di canne, verghe e molte cose
atte, a’ bisogni, a farne alcun riparo.
Io me le porto alle mie gemme ascose,
per anco piú celarle, acciò proposte
non siano a’ porci ed a somier le rose.
85Torno tre volte e quattro, e mai le coste
non punsi a quel gentil conoscitore
delle ricchezze nel suo strame ascoste.
Ben esso e il suo compagno, al fiato e odore,,
al vero istinto naturai, in scorno
90d’Israel, ebber cónto il lor Fattore.
Di che non voglio ch’entro a quel soggiorno
venga uomo alcuno, e della selva presa
compono un tetto e l’armo d’ogn’intorno.
Sol un usciol vi lascio in quell’impresa:
95del resto ogni pertugio in modo chiusi,
ch’avemmo d’abitar senz’altra spesa.

Non tutto mi usurpai, ma fuora esclusi,
delle tre parti, due di quel ridotto
d’uomini’vili e da’maggior delusi,
ioo Costoro, ai comun censi e al tempo rotto,
d’angosce e di gravezze sempre oppressi,
de’ grandi e ricchi ai piè si trovan sotto.
Però quel diversorio d’ambo i sessi
di questi maltrattati giorno e notte
105fu pieno ed a fatica li ripressi.
Venian talor a noi confuse frotte:
io con dolci parole le affrenai,
e pur vi furo alcune teste rotte.
Piacque da mane a sera e sempremai
io al Signor nostro, dacché usci dal ventre,
soffrir fino al sepolcro oltraggi e guai.
Volean entrar, ed io gridava: — Mentre
che noi romani e gente di Quirino
qui stiamo, non vogl’ io ch’alcuno v’entre.
115Noi siam della famiglia del divino
Imperador; guardate al fatto vostro;
non son io circonciso, ma latino! —
Con tai parole scritte a vero inchiostro,
ch’eramo noi del divin Re famiglia,
120lor tenni fuor del piccoletto chiostro.
Poscia spediti, e data a lor la briglia
e libertá di gire ovunque piaccia,
chi qua, chi lá, ciascun suo colle piglia.
Come dal rotto mar ponente caccia
125i venti e il fa tranquillo, cosi noi
trovamo si poi Tonde in gran bonaccia.
Madonna, vòlta a me, coi puri suoi
divini modi si degnò di dirmi:
— Folengo, e perché fai piú che non puoi?
130—Madre di Dio — risposi, —a che ferirmi
indignissimo plasma con le sante
parole vostre, e non qual reo punirmi?

Son forse io degno, lasso! starvi innante?
Innanti a chi?... Deh, non abbiate a schivo,
135fior d’ogni grazia, un lordo ed ignorante! —
Cosi parlando, come fuggitivo
servo che trema, le mi gitto a’ piedi.
Corr’ella, mi dá mano, e torna’ vivo.
Poi disse: — E chi son io? perché mi cedi
140con abbassarti tanto e darmi loda?
Ch’io sia di Dio la Madre? Troppo eccedi.
Fa’ dunque, o Filoteo, che non piú t’oda
darmi alcun vanto, mentre in carne sono,
che il fatto in sacrificio si è la coda. —
145Non le rispondo, eccetto che perdono
con gli atti chieggio, ed infinito abisso
d’umiltá scuopro de’ suoi detti al suono.
Fra tanto il nostro tener Crucifisso
ha fame, ha freddo e accenna con vagito
130l’alma sua Mamma e guatala ben fisso.
Io lor do loco; e mentre l’infinito
valor di quel Fanciullo alle mammelle
di mortai Madre pende, ad un convito
fui con Gioseppe d’acqua e di nocelle.

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