Questo testo è incompleto. |
◄ | Er ventre de vacca | Lei ar teatro | ► |
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
LA PELLE DE LI COJJONI
Avevo sempre inteso ch’è ppeccato
No cquello ch’entra in bocca, ma cquer ch’essce.
Vedenno1 che sto pessce indemoniato
Ne li ggiorni de magro sempre cresce:2
Essennome a l’incontro3 immagginato
Ch’er maggnà ttartaruche è un maggnà ppessce,
Io le maggnavo in pasce; ma er Curato
M’arispose sta pascua: “M’arincressce.„
“Ma cquesta, padre mio, me sa un po’ d’agro:4
Li Pavolotti5 nun farìano6 peggio,
C’hanno da cuscinà ssempre de magro?„
“Fijjo caro, voi dite un zagrileggio:
Nun è llescito a vvoi d’entrà in ner zagro:
Si7 lle maggneno loro, è un privileggio.„
Roma, 13 gennaio 1833
- ↑ Vedendo.
- ↑ Rincara.
- ↑ Essendomi al contrario, ecc.
- ↑ Mi è un poco dura, agra, ecc.
- ↑ Frati Paolotti.
- ↑ Farebbero.
- ↑ Se.
Note
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.