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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
LA PRELATURA DE GGIUSTIZZIA
Nun ve la venno1 mica pe’ ssicura,
Ma ccome io puro l’ho ccrompata2 adesso;
Perchè cciò3 er mi’ gran dubbio c’a un dipresso
Fussi ’na cojjonella4 o un’impostura.
Dicheno5 c’uno che vojji èsse6 ammesso
Pe’ mmano de ggiustizzia in prelatura,
Avanti d’annà in opera e in figura
È cchiamato, e jj’incarteno un proscesso.7
Io l’oppiggnone mia ggià vve l’ho ddetta:
Chi vvolete che ssii tanto cojjone
Da fasse8 appiccicà cquela pescetta?9
Co sto proscesso sai quante perzone
Invesce d’abbuscà10 la mantelletta
Sarìeno asposte11a tterminà in priggione.
19 marzo 1834
- ↑ Vendo, ma qui sta per “dico.„
- ↑ Comperata, per “udita.„
- ↑ Ci ho.
- ↑ Una beffa.
- ↑ Dicono.
- ↑ Essere.
- ↑ Allude al processo che sostengono coloro che aspirano ad una prelatura non di grazia. In questo processo su esaminano i meriti personali, il sangue della progenie, la condizione, e più di tutto il censo del candidato. Ma poi tutto va come può.
- ↑ Farsi.
- ↑ Appiccicare una pecetta sarebbe come “applicare un cataplasma di dubbia azione.„
- ↑ Buscare.
- ↑ Sarebbero esposte.
Note
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