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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA SEPPORTURA GGENTILISSIMA
Sganàssete de ride.1 Er mi’ padrone
Ha ddato scento scudi senz’usura
A li frati de San Bonaventura2
Pe’ avé un zeporcro a ssu’ disposizzione.
Nun te pare un penzà ffor de natura?
Nu la credi una spesa da minchione,
C’uno ch’è ssenza casa e sta a ppiggione
Abbi poi da crompà3 una sepportura?
Lui disce sempre a li fijji e a la fijja,
Che cquella fossa apprivativa4 è un loco
Che pprepara pe’ ssé e ppe’ la famijja.
Disce: “Fijjoli cari, da cqui avanti
Cqua, ssi Ddio sci dà vvita, a ppoc’a poco
Sci saremo inzeporti tutti quanti.„
2 febbraio 1835
Note
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