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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LE CASE
Sin da cuanno me venne la sdiddetta,1
Vado in giro pe’ ccase ogni matina:
E nn’averebbe trove una ventina,
Ma a tutte cuante sc’è la su’ pescetta.2
Cuella che sse sfittò jjeri a Rripetta,3
È un paradiso, ma nun c’è ccuscina,
L’antra c’ho vvisto mo a la Coroncina4
Ha una scala a llumaca stretta stretta.
Una a Ppiazza Ggiudia5 serve ar padrone.
Le dua in Banchi,6 nun c’è ttanto male,
Ma jje vònno aricresce la piggione.
La tua è ppoca: cuella ar Fico7 è ttroppa...
Bbasta, nun trovo un bùscio pe’ la quale,8
E sto ccome er purcino in de la stoppa;9
Perchè er tempo galoppa,
E ssi ccase sò a Rroma, o bbelle, o bbrutte,
Cuante n’ha ffatte Iddio l’ho vviste tutte.
Roma,7 dicembre 1832
- ↑ Disdetta: quell’atto legale di diffidare i pigionali al termine del fitto, affinchè per patto tacito non si riconduca.
- ↑ Pecetta: è quel tassello che ricopre un vizio nella superficie di checchesia; qui in senso traslato, “pecca, eccezione„, ecc.
- ↑ Il minor porto del Tevere.
- ↑ Contada tra i Fori Traiano e Romano.
- ↑ Piazza Giudea, su cui è patente la principale porta del Ghetto degli Ebrei.
- ↑ Contrada presso la Mole Adriana, così detta dall’adiacente Banco-monetario dell’Ospedale di S. Spirito, in Sassia.
- ↑ Piazzetta non lungi dal Foro Agonale.
- ↑ Per la quale: nel gergo romanesco vale “non adatto, non conveniente.„
- ↑ Proverbio indicante imbarazzo.
Note
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