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PROLOGO
SACERDOTESSA
Prega dinanzi al tempio
Prima con questa prece onoro Gea1
che profetessa fu prima: indi Tèmide
che seconda ebbe sede in questo oracolo,
dopo sua madre, com’è fama; e terza,
né già per forza, ma piacendo a Tèmide,
vi salí Febe2, prole dei Titani,
figliuola anch’essa della terra; e dono
natale a Febo ella ne fece3, e il nome
serba ancora dell’ava. E il Dio, lasciate
le scogliere di Delo e la palude,
alle acclivi approdò spiagge di Pallade
e a questo suolo, ed al Parnaso giunse.
Scorta gli fanno, e grande onore, e innanzi
gli schiudono la via, gli Atenïesi
figli d’Efesto, e la selvaggia
terra rendono pervia. E come ei giunge, il popolo
assai l’onora, e il re che questa terra
governa, Delfo. E Giove a lui fatidica
mente concesse; e quarto, in questo trono,
dei vaticinî re lo fece; onde ora
è profeta di Giove il Nume ambiguo4.
Le prime preci a questi Numi salgano.
Poscia il saluto a Pallade5 che siede
innanzi al tempio io volgo, ed alle Ninfe
ch’ànno dimora nella cava rupe
coricia, asilo ai Dèmoni, diletta
agli aligeri; e Bromio6 ha quivi impero,
non l’oblio, no, dal dí ch’egli fu duce
alle Baccanti, ed a Pentèo la sorte
feroce intorno, come a un lepre, strinse.
E del Pleisto le fonti7, e la possanza
di Posídone invoco, e il sommo Giove:
e, fatidica voce, il trono ascendo.
Ed ora a me fausto l’ingresso, quanto
mai già non fu, concedano. - E degli Èlleni
se alcuno è qui, traggan la sorte e avanzino:
come il Dio guida, i vaticinî io dico.
Entra nel tempio. Ma subito ne balza fuori esterrefatta, piomba con le mani al suolo, e si trascina ancora uno o due passi verso gli spettatori
Ahi! terribile a dire, e piú terribile
a vederlo, mi scaccia uno spettacolo
fuor dal tempio del Nume! Io non ho forze
piú: non mi reggo piú: sovra le palme
io mi trascino, e non sui piedi. Nulla
è una vecchia che teme, è come un pargolo!
Rimane pochi momenti in silenzio.
i penetrali e alle sacre bende
m’accosto, e vedo sulla pietra un uomo
supplice, sozzo d’un delitto: sangue
stillano ancor le mani e il ferro ignudo;
e stringe un ramo di montano ulivo,
tutto avvolto di pii candidi bioccoli.
È chiaro assai, ciò che finor v’ho detto.
Ma dinanzi a costui, sovressi i troni,
sopito giace un mostruoso stuolo
di femmine: non femmine, anzi Gòrgoni
io le dirò: benchè, neppure a Gòrgoni
le posso assimigliar, quali dipinte
io le vidi a Finèo predar la mensa8.
Ma senz’ali son queste, e negre, e tutte
lorde: con ammorbanti aliti russano,
e sozze marce giú dai cigli colano.
Né vesti pari a quelle ch’esse cingono
tollerare saprian dei Numi gl’idoli,
né tetti umani. Io mai progenie simile
non ho veduta, e non mi so qual terra
glorïar si potrà ch’ebbe a nutrirle
senza suo danno, senza averne a piangere.
Ma ciò che far si debba, il Nume ambiguo,
il possente Signor di questo tempio,
egli lo vede: ché indovino e vate
medico, anche le altrui case purifica9.
La profetessa esce
- ↑ [p. 276 modifica]Le caverne e i misteriosi abissi della terra, con le loro ardenti esalazioni, furono le prime sedi degli oracoli. Tale origine ebbe anche il famoso oracolo di Delfi, sacro, nei tempi piú recenti, ad Apollo. Ma viveva il ricordo della sua prima essenza, ed è rispecchiato in questo luogo eschileo, che ne attribuisce il primo possesso a Gea, la Terra.
- ↑ [p. 276 modifica]Febe era anch’essa figlia di Gea (e d’Urano); è detta perciò prole di Titani.
- ↑ [p. 276 modifica]Febe generò Latona, e fu dunque nonna d’Apollo. E Apollo ebbe da lei l’epiteto di Febo. — In questo viaggio d’Apollo, è il ricordo, trasformato miticamente, di una celebre strada aperta dagli Ateniesi da Atene a Delfi. Figli d’Efesto son detti gli Ateniesi perché Efesto era presunto padre del mitico re loro Erittonio.
- ↑ [p. 276 modifica]Nume ambiguo (ed anche obliquo, Λόξίας) era anche detto Apollo per l’ambiguità dei suoi responsi.
- ↑ [p. 276 modifica]In Delfi, non lungi dal santuario d’Apollo, c’era un tempio di Pallade. La bellissima grotta Concia, profonda e ricca di sorgenti, distante da Delfi circa sessanta stadi, era sacra alle Ninfe ed a Pan.
- ↑ [p. 277 modifica]Anche Bacco (Bromio) aveva gran culto in Tebe. Dopo che ebbe ucciso Penteo sul Citerone (si ricordino Le Baccanti di Euripide), andò in folle corsa, con le Mènadi, sino sul Parnasso. E i Delfi credevano di vedere spesso sul monte, a notte, i fuochi delle sue orge.
- ↑ [p. 277 modifica]Il Pleisto era un fiumicello a sud di Delfi.
- ↑ [p. 277 modifica]Le Arpie, che qui sono in qualche modo identificate con le Gorgoni, erano infatti rappresentate con le ali. Cosí le vediamo ancora nelle figurazioni ceramiche.
- ↑ [p. 277 modifica]E quindi piú facilmente saprà purificare la propria.