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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LE COSE PERDUTE
Ebbè?, pperchè tte sei perzo1 l’anello
De tu’ cugnata fai tanto fracasso!
Eh ddi’ er zarmo cqui abbita,2 fratello,
Che sse venne stampato a ssan Tomasso.
Nun ce sò ccazzi,3 cristo!, è un zarmo cuello
Che ttra li sarmi der Zignore è ll’asso:4
Che ssi mmagaraddio perdi er ciarvello,
Lo troveressi in culo a Ssatanasso.
In caso poi de furto, Pippo mio,
Stenni una gabboletta risponziva,
O ffa’ ffà5 lla garafa da un giudio:
Indove, appena scerto6 fume sbafa,7
Comparisce la faccia viva viva
Der ladro propio immezzo a la garafa.
Terni, 11 novembre 1832
- ↑ Perduto.
- ↑ “Qui habitat in adiutorio Altissimi...„. Psal. XC.
- ↑ Non v’ha dubbio o difficoltà.
- ↑ È il primo; metafora presa dal giuoco della briscola.
- ↑ Fa’ fare.
- ↑ Certo (la c striscicata).
- ↑ Svapora.
Note
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