< Le mie prigioni
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Cap XXIV Cap XXVI


Capo XXV.

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Il ragazzo era uscito; ed io provava un certo godimento di aver ripreso in mano la Bibbia; d’aver confessato ch’io stava peggio senza di lei. Mi parea d’aver dato soddisfazione ad un amico generoso, ingiustamente offeso; d’essermi riconciliato con esso.

— E t’aveva abbandonato, mio Dio? gridai. E m’era pervertito? Ed avea potuto credere che l’infame riso del cinismo convenisse alla mia disperata situazione? —

Pronunciai queste parole con una emozione indicibile; posi la Bibbia sopra una sedia, m’inginocchiai in terra a leggere, e quell’io che sì difficilmente piango, proruppi in lagrime.

Quelle lagrime erano mille volte più dolci di ogni allegrezza bestiale. Io sentiva di nuovo Dio! lo amava! mi pentiva d’averlo oltraggiato degradandomi! e protestava di non separarmi mai più da lui, mai più!

Oh come un ritorno sincero alla religione consola ed eleva lo spirito!

Lessi e piansi più d’un’ora; e m’alzai pieno di fiducia che Dio fosse con me, che Dio mi avesse perdonato ogni stoltezza. Allora le mie sventure, i tormenti del processo, il verosimile patibolo mi sembrarono poca cosa. Esultai di soffrire, poichè ciò mi dava occasione d’adempiere qualche dovere; poichè, soffrendo con rassegnato animo, io obbediva al Signore.

La Bibbia, grazie al Cielo, io sapea leggerla. Non era più il tempo ch’io la giudicava colla meschina critica di Voltaire, vilipendendo espressioni, le quali non sono risibili o false se non quando, per vera ignoranza o per malizia, non si penetra nel loro senso. M’appariva chiaramente quanto foss’ella il codice della santità, e quindi della verità; quanto l’offendersi per certe sue imperfezioni di stile fosse cosa infilosofica, e simile all’orgoglio di chi disprezza tutto ciò che non ha forme eleganti; quanto fosse cosa assurda l’immaginare che una tal collezione di libri religiosamente venerati avessero un principio non autentico; quanto la superiorità di tali scritture sul Corano e sulla teologia degl’Indi fosse innegabile.

Molti ne abusarono, molti vollero farne un codice d’ingiustizia, una sanzione alle loro passioni scellerate. Ciò è vero; ma siamo sempre lì: di tutto puossi abusare: e quando mai l’abuso di cosa ottima dovrà far dire ch’ella è in se stessa malvagia?

Gesù Cristo lo dichiarò: Tutta la legge ed i Profeti, tutta questa collezione di sacri libri, si riduce al precetto d’amar Dio e gli uomini. E tali scritture non sarebbero verità adatta a tutti i secoli? non sarebbero la parola sempre viva dello Spirito Santo?

Ridestate in me queste riflessioni, rinnovai il proponimento di coordinare alla religione tutti i miei pensieri sulle cose umane, tutte le mie opinioni sui progressi dell’incivilimento, la mia filantropia, il mio amor patrio, tutti gli affetti dell’anima mia.

I pochi giorni ch’io aveva passati nel cinismo m’aveano molto contaminato. Ne sentii gli effetti per lungo tempo, e dovetti faticare per vincerli. Ogni volta che l’uomo cede alquanto alla tentazione di snobilitare il suo intelletto, di guardare le opere di Dio colla infernal lente dello scherno, di cessare dal benefico esercizio della preghiera, il guasto ch’egli opera nella propria ragione lo dispone a facilmente ricadere. Per più settimane fui assalito, quasi ogni giorno, da forti pensieri d’incredulità; volsi tutta la potenza del mio spirito a respingerli.




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