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LE MONETE DEL DUCATO NAPOLETANO1
Manca sin’ora una notizia compiuta delle monete appartenenti al Ducato napoletano. Nel secolo trascorso ne parlarono il Tutini2, il de Pietri3, il Capaccio4, e parecchi altri, tra i quali più ampiamente il Muratori5. Ma la scienza numismatica faceva allora le sue prime prove nella parte medioevale, e gli esemplari sui quali si volgevano gli studi erano ancora scarsi di numero, spesso logori troppo, e a volta falsi; cosicché facilmente si cadde in errore, o si trascese a supposizioni immaginarie, come quando in cambio di ΝΕΑΠΟΛΙС si lesse nel rovescio d’una moneta ΝΕΑΠΟΛΙΤΩΝ e quando si ritenne genuino lo strano bronzo che battezzava per Apostolo s. Gennaro6.
Tuttavia quei primi tentativi non rimasero infruttuosi. D’allora sino ai nostri giorni, altri attesero con indagine più paziente allo studio delle monete medioevali dell’Italia meridionale, e si giovarono della scoperta d’esemplari più perfetti e sicuri, e li tolsero ad esame con acume maggiore di critica. E, oltre al libro del Vergara sulle Monete del regno di Napoli, vanno ricordate con pregio più o meno di lode, le Illustrazioni del Diodati sulle Monete che si nominano nelle Costituzioni, le Tavole di monete del Reame di Napoli e Sicilia del Fusco, la monografia erudita dello Spinelli sulle Monete Cufiche, e quelle più speciali e recenti sulle Monete di Giustiniano II del Cordero di Sanquintino, del Lazari sulle Monete d'Abruzzo, e dell’Engel intorno alla Numismatica e alla Sigillografia dell’epoca Normanna7.
Ma ancorché queste ed altre simili opere abbiano svelata una messe abbastanza copiosa di monete sconosciute, ed abbiano descritte con maggiore verità quelle già note, assai rimane a fare. Parecchie monete furono trasandate, o vennero a luce dopo, di altre non fu ben definita l’appartenenza; e in generale si sente il bisogno di un’opera complessiva che, ordinando ed illustrando la monetazione dei varii Stati e dei dinasti, che durante la media età sursero e dominarono nella regione meridionale d’Italia, ne dia un’idea compiuta.
Come contributo ed apparecchio a quest’opera di maggior lena, io mi propongo ora di raccogliere i tipi e di dar notizia delle monete del Ducato napoletano, che, tra quegli Stati, ebbe anch’esso un glorioso periodo di vita; ben lieto di poter aggiungere alla cognizione dei più comuni esemplari, quella di altri meno imperfetti, o ignorati in tutto.
I.
La prima serie delle monete Ducali, che comprende i bronzi improntati in Napoli al tempo in cui la città trovavasi in una diretta dipendenza dall’impero Bizantino, s’inizia poc’oltre la metà del settimo secolo. Ormai può ritenersi con certezza qaello che il Cordero di Sanquintino avea intravveduto8, cioè, che l’antichissima zecca Napoletana si riapre quando l’imperatore Costante II, venuto ad assalire i Longobardi di Benevento, fece breve dimora in Napoli. Per modo che la rinnovata monetazione si riscontra ed a ragione in un fatto memorabile, quale fu l’istituzione d’un primo Duca, Basilio, posto al governo della città tra il 661 e il 6629.
Le monete di questa serie, almeno quelle che avanzano, cominciando da una data anteriore al 66810, vanno fin quasi alla metà dell’ottavo secolo. E il Sabatier ne annovera due di piccolo modulo, tra le Bizantine11; l’una con l’immagine di Costante II, l’altra con quella di Giustiniano II, le quali recando al rovescio la sigla ΝЄ, lasciano intendere che furono battute in Napoli. Però va notato, che nell’opera del Sabatier i tipi delle due monetine Napoletane non furono riprodotti con esattezza scrupolosa.
Anzi, raffrontando l’originale moneta di Giustiniano II al disegno a stampa, ai vede che il disegno fa abbellito secondo un tipo d’immaginaria perfezione che n’alterò il carattere. Ed io sospetto che nemmeno l’interpretazione delle leggende sia stata fatta sempre con diligenza, perchè non m’accadde mai nei molti esemplari leggere intere le parole dn ivstinian che il Sabatier lesse in una delle dette monetine, e perchè nella sua opera non mancano altri esempi d’arbitraria interpretazione.
Oltre le due riferite dal Sabatier, ne rimangono altre di tempo posteriore annotate dal Cordero di Sanquintino in una inedita Tavola di monete napolitane, posseduta dal professor Luppi di Milano, ed altre della mia particolare collezione. Cosicché, per questo periodo, le monete Ducali di Napoli, conosciute sino adesso, sono in tutto dieci ch’io classifico a questo modo:
COSTANTE II.
(641-668).
1. ½ Follis (20 nummia)12. Rame. Peso gr. 2,36. (Collezione Sambon).
D/ — Effigie dell’Imperatore con lunga barba, di prospetto: nella sinistra ha un globo crocigero: uno scettro nella destra.
R/ — L’area è divisa da una sbarra orizzontale; al di sopra, il numerario XX; disotto, la sigla ΝЄ.
(Tav. X, N. 1).
2. Rame.
D/ — CONST ....
Busto dell’Imperatore, di prospetto.
R/. — Simile al precedente; se non che, al di sopra del numerario, v’è una crocetta13.
3. Rame.
D/ – b SOↃ
Busto di prospetto: globo crocigero nella destra.
R/ – Simile al num. 1. La cifra numerica è però rappresentata in modo che gli estremi del secondo x si riattaccano a quelli dell’altro14.
(Tav. X, N. 2).
4. Rame. Peso gr. 1,13. (Coll. Sambon).
D/ — L’istessa moneta anepigrafe. Varia soltanto la foggia del vestiario.
(Tav. X, N. 3).
5. Rame. Peso gr. 1,75. (Coll. Sambon).
D/ — Busto imberbe, di prospetto: globo crocigero nella destra.
R/ — Numerario xx: sotto una sbarra, le sigle NЄ
(Tav. X, N. 4).
6. Rame.
D/ — ЄN TOY ....
Figura ritta dell’Imperatore. Sostiene colla destra una lunga asta con una croce: nella sinistra ha un globo crocigero.
R/ — Indizio del valore K con tre crocette, una disopra, e due ai lati: sotto alla sbarra orizz. la sigla NЄ15.
(Tav. X, N. 5).
7. Rame.
D/ — .... ↃΟΘ Busto di prospetto dell’Imperatore.
R/ — Numerario xx: sotto alla sbarra orizz. ΑЭΝ16.
(Tav. X, N. 6).
GIUSTINIANO II.
(685-695 e 705-711).
8. ½ Follis. Rame.
D/ — DN IɥSTINIA
Busto di prospetto dell’Imperatore.
R/ — xx sotto una sbarra orizzontale la sigla NЄ17
9. Rame. Peso gr. 1,52. (Coll. Sambon).
D/ – IɥTI
Busto di prospetto: globo crocigero nella destra.
R/ — Simile al precedente.
(Tav. X, N. 7).
LEONE III.
(716-741).
10. ½ Follis. Rame.
D/ — ND LЄO
Busto imberbe e di prospetto dell’Imperatore: globo crocigero nella destra.
R/ — Numerario xx: sbarra orizzontale e sigla NЄ18.
(Tav. X, N. 8).
Come scorgesi a prima vista, queste monete sono nel maggior numero anepigrafi, o portano a leggenda un ↃΟΘ, un IᴚΥI, ed altri tali segni indecifrabili. Or la mancanza, o l’enigmatica alterazione delle sigle, io non credo che sia da attribuire ad imperizia dello zecchiere. Non lo credo perchè, mentre viene omesso o confuso il nome dell’imperatore, si pone grande diligenza a segnare le iniziali della zecca; e perchè, mentre da un lato si toglie importanza al dritto della moneta, si dà maggior rilievo al rovescio, dov’è scritta ΝΕΑΠΟΛΙС. per di più si aggiunga, che assai spesso lo stile di queste monete è abbastanza corretto, e spesso migliore quasi di quelle battute a Costantinopoli. Una consimile disfigurazione della leggenda imperiale, si riscontra anche nelle prime monete dei Principi Beneventani, i quali imitando e contraffacendo il soldo bizantino con successive e graduate alterazioni, s’arrogarono il dritto di zecca, sottraendosi, con quelle mendaci apparenze alle rappresaglie che una più manifesta usurpazione avrebbe potuto provocare.
Come segno quindi dell’ambita indipendenza, essi guastavano e confondevano le lettere del nome imperiale, affinchè al confronto meglio apparissero le iniziali del nome loro; e non è improbabile che lo stesso sia avvenuto a Napoli, non potendo altrimenti spiegarsi questa anomalia che fa contrasto alla serie numerosa delle monete prodotta dalle zecche di Roma e di Ravenna, sulle quali, ancorché a volta ne sia barbaro e sconvolto il tipo, si legge sempre chiaramente il nome dell’imperatore19. Solamente, attraverso le fitte tenebre che oscurano la storia dei quindici Duchi che si successero a Napoli, non è possibile indagare quali tra essi, sforzandosi a rendere meno visibili i segni di dipendenza verso la corte Bizantina, diedero ardire agli altri di procedere a più audaci tentativi, e di apporre il loro nome sulle monete.
II.
La seconda serie della monetazione napoletana ha il carattere d’assoluta autonomia, e s’inizia con un singolare mutamento, perchè all’immagine imperiale, vien sostituita quella di s. Gennaro.
Io so bene, che queste monete, anche perchè coniate a sbalzi di tempo, al giudizio di alcuni, parvero piuttosto medaglie commemorative e religiose20. Ma assai altre monete medioevali, al modo stesso s’improntano dalla protome dei santi patroni delle città; e d’altra parte, ammesso pure, quantunque sia poco credibile, che gli esemplari posseduti sin’ora, rappresentino tutta intera la serie delle monete autonome ducali, ninna prova negativa può dedursi dall’interrotta coniazione. È noto pur troppo che i rapporti di dipendenza tra le città di Campania scampate alla conquista longobarda, e l’impero Bizantino, furono sempre mal definiti e mutabili. E che assalite da ogni parte, e costrette a schermirsi con deboli forze tra nemici potenti, fu per esse necessità d’acconciarsi ai casi variabili di fortuna. Onde Duchi e Consoli, secondo gl’interessi del momento, e secondo che declinava o rialzavasi il dominio greco in Italia, or s’atteggiarono a dinasti indipendenti, ed ora accettarono e richiesero titoli d’imperiali ministri. Non è dunque meraviglia se, in mezzo a questa alterna vicenda, a volte apparve e a volte spari dalle monete il nome dei Duchi Napoletani, così come v’apparve e ne spari l’immagine di s. Gennaro.
Quanto a questo simbolo narrano, che in teqipo assai remoto, i cittadini atterriti da un incendio spaventoso del Vesuvio, invocassero la protezione del martire Vescovo, e che smorzate per miracolo le fiamme, ut Deo gratias agerent et monimentum benefica posteria commendarent per Theocritum ducem numismata cum imagine sancti Benefactoris cuderunt21. Però gli agiografi non s’accordano intorno l’anno dell’incendio, e il singolare numisma, impresso come dicono a rammentarlo, e riprodotto in più libri, si scopre una postuma impostura22.
Ben altro significato ebbe la protome di s. Gennaro sulle monete, e in tempi meno lontani vi comparve.
Quando il furore iconoclasta di Leone Isaurico commosse l’Italia e vi destò il primo sentimento di nazione, Napoli fu l’ultima ad insorgere; anzi dalla città partirono armati ad offesa del Papa, e non si volle ammettere dentro le mura l’eletto vescovo Paolo, quia tunc Parthenopensis populus potestati Graecorum favebat23, Ma infine i primati, uno consilio, unoque consensu, si scoprirono anch’essi avversi alla detestabile altercazione delle immagini, e il Duca Stefano secondò quel moto d’indipendenza, e fece rendere al Pontefice i patrimoni della Chiesa Romana confiscati presso Napoli; e, allorché Paolo venne a morte, fu egli stesso consacrato Vescovo nel 767. Tra quegli anni dunque, quando la prima volta sollevaronsi i primates Neapolitani, e quando tornò in onore il culto delle sante immagini, quasi a protesta del divieto che le avea proscritte24, deve credersi battuta la moneta, che reca la figura di S. Gennaro, della quale rimangono i tre seguenti esemplari25:
1. ½ Follis.
D/ — SC IANO
Busto del santo col libro degli Evangeli.
R/ — ΝΕΑ - ΠΟΛ - ΙC
(Tav. X, N. 9).
2. D/ — Altro di tipo diverso — S IAN
R/ ― Simile.
(Tav. X, N. 10).
3. D/ — Altro di modulo più piccolo e di tipo anche diverso — SCS IA
R/ — Simile, ma senza croce.
(Tav. X, N. 11).
D’allora, simbolo insieme della religiosa e della politica riscossa, l’immagine del Martire venerato riapparve sulle monete ogni volta che i Duchi riuscirono ad affermare i diritti della loro autonoma sovranità; ed a renderne più apparenti i segni, posteriormente essi v’aggiunsero le iniziali del loro nome.
Le monete più antiche del secondo periodo di questa serie, sono quelle che portano impresse le lettere S T, le quali, messa da banda l’ipotesi di chi, credendole mistiche sigle, vi lesse Sancta Trinitas o Salutis Tropheum26, additano certamente il nome di Stefano. Però i moltissimi esemplari che ne rimangono sono diversi per tipo. E da una parte il numero, dall’altra la varietà, danno motivo a due quistioni, cioè se ad un solo o ad entrambi gli omonimi Duchi, debbono attribuirsi; e come mai, posto che al tempo d’un solo vennero battute, fu possibile quella sita così grande di stile, per cui dagli esemplari coniati con arte discreta, via via si discende a rozze e goffe imitazioni.
Quanto alla prima quistione, il dubbio da risolvere è tra il duca Stefano, che resse dal 768 al 789, e il nipote di lui ch’ebbe il medesimo nome, e governò dall’821 all’832. E i molti anni del dominio del primo darebbero buon fondamento ad asserite, che al suo tempo furono diffuse parecchie emissioni di monete con mutabile tipo. Però questa ipotesi è sino ad un certo punto probabile.
Disdetta l’obbedienza ai decreti iconoclastici, il governo del Ducato di Napoli assunse più libere forme. Ma pure allentandosi i vincoli esterni di sudditanza, non s’infransero; o almeno non s’infransero a lungo. E anche quando Stefano I ebbe riunita alla ducale potestà quella vescovile, destreggiandosi accortamente tra Roma e Bisanzio, mantenne il culto delle immagini, e insieme anche certe apparenze d’ossequio verso l’Imperatore27. Or questa accorta ed ambigua condotta toglie il sospetto che, oltre alle monete coniate nei primordi della riscossa con l’impronta di S. Gennaro e la scritta ΝΕΑΠΟΛΙC finché visse quel Duca, siano state battute tutte le monete autonome che portano il nome di Stefano.
Sembrerebbe perciò più verosimile attribuirle a Stefano juniore, ove si tenga conto delle condizioni storiche. Dopo che i primates della città s’arrogarono il dritto d’elezione, i Duchi furono prescelti, quasi ereditariamente, nella famiglia del vecchio Stefano sino all’anno 818. Però, morto Antimo, cominciarono anche altri a pretendere a quella dignità; e allora, crescendo le discordie e le contese, il governo fu successivamente ridato in mano degl’imperiali ministri, Teotisco e Teodoro, venuti dalla Sicilia con titolo di Maestri dei Militi. Ma quella mutazione subito increbbe; i fautori del dritto ereditario sollevaronsi, sbandirono Teodoro, acclamarono l’anno 821 il nipote del seniore Vescovo-Duca. E questo secondo Stefano, apertamente ribelle ai Greci28, si può intendere che a ragione imprimesse il nome suo sulle monete.
Non pertanto questa deduzione, che ha molta apparenza di vero, non basta a sciogliere l’enigma maggiore. Il Fusco raccolse sino a quaranta esemplari delle monete di Stefano con tipo più meno dissimile29, e anch’io ne posseggo buon numero di conio diverso, e a volte assai strano. Il tipo originale e più corretto è il seguente:
Rame. gr. 1,61 (Collez. Sambon)30.
D/ — Effigie di S. Gennaro tonsurato, in abito episcopale, con la scritta SCS IAN.
R/ — S T divise da una croce su due gradini.
(Tav. X, N. 12).
Le altre sono di stile meno corretto, e in parecchie fra queste i contorni della figura del Santo, allargandosi, contorcendosi, confondendosi, alterarono il disegno, per modo che il cocuzzolo raso del Vescovo martire prese foggia, o di un nimbo, o di un berretto a punta o spianato; e il piviale si cangiò in un intrigo indefinibile di linee. E peggio ancora, in alcune le lettere dell’epigrafe, furono in parte trasandate, o capovolte e impresse a rovescio, e perfino mutaronsi nello sgorbio indicifrabile, che apparisce al numero 16 della Tavola X31. Come dunque spiegare questa moltiplicità e varietà di tipo? Come persuadersi d’una così evidente differenza di stile, durante un periodo d’appena dieci anni assegnati al governo di Stefano II?
Il primo sospetto che viene in mente è quello di una contraffazione. E confesso, che rammentando come i Musulmani usarono a volta, per ragione di traffico, foggiare le altrui monete; e che di fatto foggiarono i follari anonimi bizantini attribuiti a Tzimisce, i quali col loro simbolo di pace, per essere estranei agli odii religiosi, avevano facile corso negli Stati dell’Italia meridionale32 quasi mi persuasi, che le più goffe imitazioni delle monete di Stefano fossero uscite dalle zecche Saraceniche.
Ma pur troppo il sospetto si dilegua, quando si considera che a dargli ombra di possibilità, bisognerebbe immaginare che i Musulmani di Sicilia cominciassero a mostrarsi sul continente in un tempo anteriore a quello indicato nelle storiche tradizioni, o che dopo la morte di Stefano II, durante una serie d’anni assai lunga le sue monete rimanessero in uso nei commerci. E anche consentito questo, resterebbe a provare, perchè valesse la pena di contraffarle, che quelle monete di rame avessero importanza tale da essere accettate nei traffici degli altri Stati. Or dei tre fatti immaginabili, l’uno è smentito dai ricordi unanimi dei cronisti, e agli altri due manca il sostegno di qualsiasi indizio anche lontano, anzi vi si oppongono tutte le notizie che abbiamo sulla circolazione delle monete che furono in uso allora.
La più probabile soluzione del quesito non pertanto è quella di attribuirle al secondo Stefano; perchè, a parte le mal note ragioni che hanno potuto contribuire a trasformarne il tipo più corretto in un tipo più rozzo e contraffatto, non deve destar meraviglia l’imperizia degli artefici e la decadenza dell’arte, quando si rammenti in mezzo a quali vicende burrascose visse quel Duca, e come la scadente coltura apparisca anche nelle scritture del suo tempo, e perfino nel barbarico epitaffio che si legge sul suo sepolcro33.
Bellissimi invece al paragone sono i due tipi della moneta di Sergio:
1. Follis. Rame. Peso gr. 7,74 (Coll. Sambon).
D/ — Ai lati: SERGIV DVX
Effigie del Duca con abiti gemmati e berretto ducale: nella destra lunga asta con croce: nella sinistra globo crocigero.
R/ — Ai lati: SCS IANV
Busto tonsurato di S. Gennaro che poggia la destra sul libro degli Evangeli.
(Tav. X, N. 17).
2. Rame. Peso gr. 7,14 (Coli. Sambon).
Altro consimile ma di stile diverso con una stella al disotto della mano che sostiene il globo34.
(Tav. X, N. 18).
Non è facile indovinare a chi tra i sette Duchi ch’ebbero il nome stesso s’appartenga quel follaro. Lo Spinelli e il Cordero di Sanquintino s’accordano ad assegnarlo a Sergio II; ma il Lazari non sa proprio decidersi nè per quel Duca, né per alcun altro. E prima vorrebbe attribuirlo a Sergio IV, pur dubitando “che ad uno dei tre successivi omonimi non convenga”; e poi inchina a concederlo all’ultimo dei Sergi. Cioè al settimo, ch’egli a torto diffama, giudicandolo un “vile che nel 1137, atterrito dai trionfi del re Ruggiero, se gli dichiarò vassallo, e si fece ammazzare per lui, acciocché aggiungesse Napoli agli altri suoi Stati”35.
Eppure un raffronto, non fatto da altri, basta a togliere ogni incertezza. Chi guarda l’atteggiamento dell’effigie, le vesti, i simboli dell’asta e del globo, e la stessa disposizione dell’epigrafe nella moneta di Sergio, la riconosce conforme in tutto al Follis del bizantino Teofilo36. Deve credersi dunque che l’imitazione venne fatta da un Duca vissuto o al tempo di quell’imperatore, o poco dopo. E questa contemporaneità, o quasi contemporaneità, non si riscontra in altri fuorché nel primo Sergio, acclamato al seggio ducale circa due anni innanzi alla morte di Teofilo37.
E indizii altrettanto sicuri si traggono dalla storia. Dopo l’uccisione di Stefano II, grandi sciagure avevano funestata Napoli; ove, con breve dominio, succeduti tre Duchi, l’ultimo, Andrea38, assalito senza tregua dai Longobardi, e costretto ad allearsi ai Saraceni, era perito per tradimento del franco Contardo39. Ma tra mezzo a quei pericoli, l’anno 840, eletto Sergio, già conte di Cuma, d’un tratto, quotarono i tumulti nella città, e fuori si respinsero i nemici. Il nuovo Duca, de prosapia procerum ortus, sed longe nobilior mente40, rimasto a reggere lo Stato quasi per un quarto di secolo, fondò una dinastia durata fin quando durò l’indipendenza della sua patria. E mentre egli tramischiandosi alle gare dei dinasti Longobardi, lottando con essi e contro essi, apprendeva ai successori l’arte di schermirsene e d’infievolirne le forze, suo figlio Cesario, opponendo alle offese le offese, spazzava il golfo dai pirati Saraceni, scacciavali dal porto di Gaeta, e rivincevali più gloriosamente in battaglia navale ad Ostia41. Rare volte nel Ducato Napoletano apparve come allora una maggiore operosità politica, una maggiore virtù militare. E si può bene immaginare che Sergio, orgoglioso dei trionfi, sicuro della sua potenza, sorretta dall’ossequio dei cittadini, e dall’alleanza del Papa e degl’imperatori Carolingi42, ardisse, primo fra tutti, segnare intero il suo nome sulle monete, ed improntarvi la sua effigie ornata dei simboli fastosi dei Cesari bizantini.
Questo lungo e glorioso dominio esclude per me anche la possibilità, che negli anni del suo Ducato siasi coniata moneta col nome imperiale a Napoli, e meno ancora quella che reca le immagini di Michele III il Beone e di Basilio I, ed ha in giro la leggenda MIHAEL IMPERATOR e BASILIVS REX43. Il Liruti, che prima pubblicolla, notando la singolarità del titolo latino, la giudicò venuta fuori da una zecca dell’Italia meridionale, e probabilmente da quella di Napoli; e interpretò il duplice titolo d’imperatore e di re come un segno d’opposizione ai titoli che s’arrogavano gl’imperatori d’occidente44. Onde il sospetto parve certezza al Kunz; il quale, plaudendo al Liruti, e confermando che quel Follis fosse napoletano, soggiunse che bastava porlo a confronto coi follari dei Duchi, e più particolarmente con quelli di Sergio, per restarne convinti45.
Ma pure ammessa la prima ipotesi del luogo della zecca, quantunque assai incerta, si sbaglierebbe assegnandone la coniazione al tempo di Sergio I, perchè in quel tempo sparisce ogni orma di greco dominio nel Ducato; e perchè Basilio fu associato all’impero da Michele nel maggio 868, vale a dire, oltre due anni dopo la morte di quel glorioso Duca46. Perciò, se mai nel breve periodo in cui i nomi dei due imperatori si trovarono congiunti, il Follis fu battuto a Napoli, lo fu durante il governo del figliuolo di Sergio I, Gregorio47. È probabile che allora, quando il franco Ludovico II, richiamato a combattere i Saraceni, più apertamente scopriva il disegno d’estendere la sua sovranità sul mezzodì d’Italia, i Napoletani, sdegnando obbedirgli, s’inducessero ad invocare il nome degl’imperatori Bizantini, per farsene schermo contro di lui48. E questo fatto servirebbe meglio a spiegare il titolo inusato di REX che si legge su quella moneta, e che proprio richiama alla mente le singolari pretese intorno all’uso di quel titolo accampate poco dopo nella corte d’oriente49.
Un viluppo intricato d’eventi s’annodava allora a sconvolgere le signorie dell’Italia meridionale. Contrastavano tra essi i Longobardi, s’astiavano le autonome città della Campania, rinnovavansi gli assalti terribili dei Saraceni. E alle discordie, alle guerre, agli eccidii, tramischiavansi le ambizioni di Ludovico II, le mire di temporale grandezza dei Papi, le insidie e gli sforzi dei Greci per riprendere le province perdute. Quel contagio di violenze, di perfidie, di cupide brame travolse anche Napoli. Il vescovo Attanasio II, imprigionato, accecato, suo fratello Sergio III fecesi Duca, e come gli altri adoperò le armi e gl’inganni, secondo i mutabili interessi e la prevalenza dei nemici, ora alleato al Papa, ora stretto ai Musulmani, ora affidato in tutto alle sue forze, ed ora disposto, fosse anche per sola apparenza, a riconoscere la greca supremazia50.
E questa vicenda di casi, e di politici maneggi, spiega il conio diverso delle monete, che uscirono dalla zecca di Napoli durante il suo governo.
1. Follis. Rame. Peso gr. 3,823. (Coll. Sambon).
D/ — Busto del Duca: ai lati ATHA EPS
R/ — Protome di s. Gennaro come nella moneta di Sergio, aggiuntovi il nimbo intorno al capo51.
(Tav. XI, N. 2).
2. Denaro d’argento.
D/ — BASIL IMPE
Al centro, in forma di monogramma, NEAPOLI
R/ — SCI IANVARI
Al centro croce potenziata su d’un gradino, tra due stelle52.
(Tav. XI, N. 3).
3. Argento. Peso gr. 0,431. (Coll. Sambon).
D/ — BASIL IMPE
Al centro NEA
R/ – SCI IANVAR
Croce tra due stellette.
(Tav. XI, N. 4).
Dei due denari, inedito è il secondo; nè, credo, che si sbaglierebbe, ponendone la coniazione tra gli anni 881 e 884, quando i ministri di Basilio rialzavano in Italia il prestigio dell’impero Bizantino, e scacciavano e vincevano i Musulmani. Onde in segno d’alleanza ovvero di pretesa dipendenza, s’improntavano uniti sulla medesima moneta i nomi di Basilio e del Santo Napoletano, e battevasi, forse nella stessa zecca, e certo a memoria delle imprese contro i Saraceni, anche il seguente denaro rinvenuto presso Telese:
4. Argento. Peso gr. 0,935. (Coll. Sambon).
D/ — BASILI IMPE nell’area.
R/ — SANCTA R— XA (in nesso) I
Da leggersi XRISTIANA RELIGIO53.
(Tav. XI, N. 5).
Fu quasi comune opinione, che d’allora sino all’anno 1278, in cui Carlo I riaprivala, rimanesse chiusa la zecca napoletana. Cosicché ultima nella serie delle monete autonome sarebbe stata quella del truce vescovo Attanasio II. Ma è per lo meno inconcepibile il fatto, che non uno degli undici Duchi, i quali dopo lui si successero, ne imitasse l’esempio; e il non essersi fin’ora rinvenuta alcuna moneta col nome loro, non è ragione sufficiente per affermarlo54.
Il Fusco asserì d’aver vista una moneta sulla quale era un santo in abito vescovile colle braccia levate in alto, e al rovescio un cavallo frenato. E da quest’immagine del cavallo, che rammentavagli una popolare tradizione, argomentò che la moneta fosse stata battuta in oltraggio ai Napoletani, allorché Pandolfo IV, Principe di Capua, riusci a signoreggiare per breve tempo la loro città, scacciandone il Duca Sergio IV55. Però non è possibile consentire all’attribuzione che il Fusco dà a questa moneta, destinata, com’egli crede, col simbolo dell’imposto freno a commemorare quell’onta, che una leggenda posteriore d’oltre due secoli attribuì variamente a Corrado IV di Svevia, o a Carlo I d’Angiò56. Una prova più sicura della non interrotta coniazione, sarebbe quella data dall’Engel57, che pubblicò il tipo d’una monetina, la quale al dritto ha la solita effigie del santo patrono di Napoli in mezzo alle lettere S IA, e al rovescio il monogramma XPS VI XPS RE: o, come meglio si legge nell’esemplare assai perfetto da me posseduto: XRS VINCE (in nesso) XRS REG XRS I, posto intorno ad una croce chiusa in un cerchio con quattro stelle agli angoli (Tav. XI, N. 8)58.
La minima proporzione, la forma delle lettere, lo stile della figura di questa monetina, accennano all’epoca Normanna, e l’Engel non esitò ad assegnarla al tempo di Ruggiero II, supponendo che quel re, tra gli altri privilegi, avesse mantenuto a Napoli il diritto di una particolare monetazione.
Ma è noto che Ruggiero restrinse in limiti angusti l’autonomia della città, e tra quei limiti non può immaginarsi che assentisse perfino a vedere escluso il nome suo dal conio delle monete; nè, pur consentendo all’inverosimile ipotesi, si giungerebbe ad intendere il significato delle cifre monogrammatiche che a quel nome furono sostituite59.
Da che Ruggiero aveva ambito unificare nel suo dominio le divise signorie dell’Italia meridionale, una lotta pertinace s’era combattuta tra i singoli dinasti e il prepotente re. E Napoli anch’essa, partecipe a quella lotta, avea opposta resistenza ostinata, avea con eroico valore difese le sue mura, e sovvenuti gli altri ribelli. Finché il suo Duca, Sergio VII, rimasto quasi solo a fronte al comune nemico, e costretto a fargli omaggio, era perito nel 1137 combattendo per lui a Rignano. Ma sparsa la fama della sconfitta di Ruggiero in quella battaglia, Napoli tornava a ribellarsi, e senza eleggere altro Duca, i suoi primates la reggevano per oltre un anno. Ond’io mi convinco, che essi, in quell’estremo respiro di libertà, invocando Cristo vindice e signore, facessero coniare la monetina scoperta dall’Engel che porta in monogramma le mistiche parole XRISTVS VINCIT : XRISTVS REGNAT : XRISTVS IMPERAT60.
III.
Quella dunque sarebbe l’ultima moneta autonoma dell’età Ducale. Però la tradizione della zecca cittadina sopravvisse ancora a Napoli attraverso le politiche vicende d’un secolo. E se mancano le prove per attestarne la continuità durante il regno di Ruggiero II61, non manca la certezza, ch’essa a volta a volta, dopo, ridivenne attiva.
Ma scarsa troppo è questa postuma serie, quantunque non sia priva d’importanza. Comincia dal tipo d’uno spezzato di follaro, che mostra al dritto il capo d’un cavallo, e al rovescio nell’area le sigle R G, con traccia d’altre lettere appresso l’R62. E queste lettere delete, meglio visibili in altro esemplare63, foggiandosi dal prolungamento della linea finale dell’R, e prendendo forma d’un monogramma che può leggersi REX, danno indizio a classificarla (Tav. XI, N. 9).
Chiaramente vi si scorge lo stile del periodo Normanno, e quanto al luogo di coniazione, si può bene assegnarla a Napoli, perchè il simbolo del cavallo non si trova se non in altra moneta posteriore di questa città. Dirò ora come quel simbolo fu congiunto al nome d’un REX GVILLELMVS64 che i fatti ci assicurano non poter essere che Guglielmo I.
Questi fatti vennero messi in luce dal ch. Capasso con la scorta d’inediti documenti dell’Archivio Vaticano65, e svelano una pagina ignorata dalla storia napoletana. Quando nel 1156 signori e città congiurarono e sollevaronsi contro Guglielmo I, Napoli si divise, i magnati parteggiarono per lui, e i così detti Mediani o borghesi aderirono ai suoi nemici, sperando in quel subuglio pareggiarsi agli emuli loro, e sopraffarli. Ma poiché il re vinse e punì crudelmente i ribelli, i magnati, a premio della fedeltà, ottennero conferma dei loro dritti di supremazia66. E, ancorché il documento noi dica, è lecito congetturare, che Guglielmo riconcedesse anche alla città il privilegio della zecca, donde a memoria dell’ossequio, venne fuori la moneta che improntò insieme il nome del re e l’insegna che i Seggi nobiliari aveano assunta67.
Io non so dire perchè, e quando l’assumessero. Però, lasciando da parte la favolosa origine Virgiliana che la popolare fantasia diede al simbolo del cavallo, assai significative sono le parole dell’anonimo compilatore della Cronica di Partenope. Egli dice che, l’arma della piacza di Capuana era uno cavallo in coloro d’oro senza freno, e che anche la piacza de Nido havia per arma un cavallo nigro pure senza freno68. Con ragione dunque se ne deduce, che il cavallo fu tolto ad insegna da quei magnati, che abitando le regioni più antiche di Napoli, s’aveano arrogata dal tempo dei Duchi un’assoluta ingerenza nel governo, e che, come soli rappresentanti della città, contrastavano e contrastarono dopo lungamente, per escluderne le altre classi69.
Cosi per via d’una trasformazione conforme alla diversa qualità dei tempi, il simbolo cittadino si sostituì al simbolo religioso, l’effigie del cavallo all’effigie di S. Gennaro; e, con pid evidente significato, il nuovo tipo venne impresso sulle monete, allorché per l’ultima volta si tentò di ricostituire la municipale autonomia.
Prima che questo avvenisse, un maggior lustro aveva acquistato la zecca napoletana. L’anno 1190, tra i molti privilegi concessi alla città, il re Tancredi le permise di facere monetam argenti per se70. Ed io ho per certo che quel privilegio mirò ad ampliare l’esistente prerogativa di battere moneta di rame, e non a farla rivivere, perchè interrotta. Ma, a giovarsene, mancò il tempo. L’odio di Arrigo VI, e la gelosa cura con la quale Federico II attese a rivendicare a sè i dritti di Regalia, privarono Napoli di quella e di ogni altra franchigia. Perciò la città mostrossi sempre avversa alla Casa di Svevia. E quando Federico soggiacque nella tragica lotta contro il Papato, istigata, lusingata da Innocenzo IV, essa fu tra le prime a ribellarsi; e nobili e popolo s’accordarono, ordinandosi a Comune.
Prezioso monumento della rivendicata libertà, rimane la moneta che ha per tipo:
Biglione (Collez. Boyne, Firenze).
D/ — CIVITAS
Nell’area chiusa in un cerchio la testa d’un cavallo volta a destra.
R/ — NEAPOLIS
In mezzo una croce, le cui braccia tagliano in quattro parti un cerchio di globetti, e ai cui angoli sono quattro piccolissimi cerchi.
(Tav. XI, N. 10).
Ch’essa spetti al tempo dell’animosa riscossa, l’addimostra lo stile71, e lo comprova la parola CIVITAS, in cui s’accenna il tentato mutamento dell’antica repubblica patrizia nel popolare Comune del secolo XIII72.
Né l’esempio di Napoli restò isolato. Sono già parecchi anni dacchè il ch. Matteo Camera mise a stampa il tipo d’una moneta che reca, da una banda e dall’altra, la croce chiusa in un cerchio di globetti, ed ha scritto da un lato AMALFIA, dall’altra CIVITAS (Tav. XI, N. 12)73. L’erudito archeologo giudicò che fosse un esemplare del famoso Tareno Amalfitano, ma essa ha tutto il carattere dalle monete sveve; e il riscontro di simiglianza con la descritta moneta di Napoli definisce il tempo e l’occasione in cui fu battuta74.
Napoli ed Amalfi, che nei tempi più bui del medioevo avevano avuto conforme governo, e gloria e destini comuni, sospinte dalla stessa aspirazione, anche ora in una volta ambirono rifarsi autonome. Se non che, falliti i loro sforzi, venute meno le fallaci promesse del Papa75, caddero entrambe, ma con sorte diversa. E ad Amalfi rimase il vanto solo del passato; a Napoli invece, divenuta capitale del regno, s’aggiunse nuova grandezza; e avventurosa anche in questo, ciascuna delle monete che avanzarono della sua zecca cittadina, servì ad attestare un fatto memorabile della sua storia remota.
- ↑ Quest’articolo fu pubblicato per la prima volta nell’Archivio Storico per le Province Napoletane. Anno XIV, 1889, fascicolo III. (N. d. R.).
- ↑ Memorie della vita miracoli e culto di S. Gennaro martire, Napoli, 1683, pag. 86 e seg.
- ↑ Historia Napoletana, Napoli, 1634, L. I.
- ↑ Hist. Neapolit. L. I.
- ↑ Antiq. Ital. Med. Aevi. T. II, Diss. XXVII. In generale gli altri to1sero occasione di parlarne a proposito dell’mmagine di S. Gennaro messa sulle monete, restringendosi a pochi cenni, come fecero il Caracciolo, De Sacr. Eccl. Neap. Monum. C. 25; il Falcone, Vit. S. Genn.; Girol. M.e di S. Anna, Istor. della vita, ecc. di S. Genn. Pag. 455-456; il Mazzocchi, De Episc. Neap. e l’Ignarra, Opuscula Recensio Actorum S. Januarii.
- ↑ A giudicare quanta poca cura ponessero nell’esame, basta porre a confronto i diversi disegni, per lo più immaginarii, che si riprodussero delle stesse monete. Cf. Tutini, Op. c., Muratori, Op. c., ecc.
- ↑ A queste, e alle minori opere dei tre Fusco, del Promis, Tavole sinott. delle monete battute in Italia dal sec. VIII in poi; del Tonini, Appunti di Numismatica, ecc. e di altri, vanno aggiunti i Cataloghi delle Collezioni del Museo di Napoli del Fiorelli.
- ↑ Delle monete di Giustiniano II, (Mem. dell’Accad. delle Scienze. Torino, Serie II, 1845).
- ↑ Capasso, Monum. ad Neap. ducat. Hist pertin. T. I, pag. 80.
- ↑ In quell’anno mori Costante II.
- ↑ J. Sabatier, Description générale des monnaies Byzantines depuis Arcadius jusqu'à la prise de Constantinople par Mahomet II. Paris 1868. Fra le carte del Fosco, che sono raccolte nella Biblioteca di San Martino a Napoli, vi sono alcune note sulle monete del Ducato Napoletano; e in una è detto, che nel suo medagliere domestico si conservava una moneta di Giustiniano I assai consunta della specie dei follari, segnata al rovescio con le sigle NEAP. Ma il dotto nomo deve essersi ingannato a causa delle lettere delete, e la leggenda sarà stata forse THEP che sposso si legge sui follari di quell’imperatore.
- ↑ Il follis moneta di rame dell’impero Bizantino, prendeva nome dai sacchetti di pelle folles, nei quali si riponeva. L’unità di questa moneta ora il nummus, e quindi si avea il follis o multiplo massimo di 40 nummi, il cui valore (da Anastasio sino a Michele IH) era indicato con le cifre m, o xxx, xl. Il 1/3 di follis, nummi 30, col λ o xxx. Il ½, nummi 20 col k, o xx. Il Decanummo, col 1 o x. Il Pentanummo, col є o v. Il nummus coll’A.
- ↑ Sabatier, O. c.
- ↑ Sanquintino, Tav. cit.
- ↑ Idem, idem.
- ↑ Fusco, Disegni.
- ↑ Sabatier, Op. c.
- ↑ Sanquintino, Op. c.
- ↑ Di Roma si conosce solamente una monetina quadrata anepigrafe, sulla quale manca il nome imperiale, ma lo stile n’è così rozzo, che non può darsi alcun valore a quella omissione.
- ↑ In sanctorum honorem potius cusos, quam ut per manua ad mercimonios traderentur. Capacii, Op. c., pag. 271, e lo stesso dicono tutti i biografi del Santo.
- ↑ Narratiuncula sive Homilia de Vesuviano incendio, in calce all’apografo greco della vita di S. Gennaro, intorno al quale v. Capasso, Op. c., pag. 36 e seg. La moneta sarebbe stata coniata nel 685, ma allora era duca Stefano e non Teocrito. Altri pongono l’incendio del Vesuvio e il miracolo in tempo anteriore.
- ↑ La Narratiuncula dice che sulla moneta fa impressa da una parte la protome del Santo e la scritta Ἄγιος ὁ Ἰανουάριος, Santus Ianuarius, e dall'altra Λυτρωτὴς τῆς πόλεως ἀπὸ τοῦ πυρός, Liberator Civitatis ab igne. Però nell'esemplare della moneta edita dal Tutini, Op. c. al dritto si legge Apostolus Ianuarius, onde il Muratori, riproducendola, confessa che la spiegazione di quel titolo divinari nondum potui. E giudicando dal carattere corsivo della scritta greca improntata nel rovescio, e dagli accenti che la segnano, suppone, come suppose anche Stilting, Act S. Ianuar. et soc., che fosse opera di tempi posteriori; e si paò aggiungere che fa opera di falsarii. Il Fusco, nelle carte citato, dubiti anch’egli della veracità della moneta; ma non osa bandirla.
- ↑ Iohan, Diac. Gesta Epis, Neap. ed. Waitz Mon. Germ. Hist. n. 41.
- ↑ A conferma di questo fatto s’aggiunge un’altra testimonianza, cioè quella dei suggelli del Vescovo Paolo, e del Vescovo Duca Stefano conservati nel Museo Nazionale di Napoli. In entrambi si vede l’immagine di s. Gennaro con la scritta pauli episc — scs ianovari — stephani episc — scs ianuarius.
- ↑ Sono tutti di rame, e si conservano nella Collezione Sambon. La 1a pesa gr. 1,92 la 2a 1,85 e la 3a gr. 1,75.
- ↑ La prima interpretazione è del Tutini, la seconda del Muratori, che certamente la ricopiò dal Caracciolo, Op. c. E forse si persuasero a dare alle lettere un sacro significato, vedendole tramezzate da una croce; ma anche sulle monete Beneventane di Grimoaldo, Sicone, Sicardo, Radelchi, e sa quelle Salernitane di Siconolfo, si vedono le lettore iniziali del nome di qnei principi diviso da una croce. Assai strano fa l’errore del Sabatier che mutò la scritta s iano st in s const c t (Cartagine). Op. c.
- ↑ I legami rimasti tra Stefano I e la corte imperiale d’Oriente e deducono dalle lettere di papa Adriano I e specialmente dalla 65, Cod. Carolin., scritta tra gli anni 777, 778. Il Pontefice si duole perché i nefandissimos Neapolitanos et Deo odibiles graecos ad istigazione di Arechi duca Beneventano, avevano invasa Terracina. E altrove (Epis. 88, 92) parla di due Spatarii, che venuti da Costantinopoli, e accolti dai Napoletani cum signis et imaginibus... cum Stephano episcopo... tractaverunt.
- ↑ Un argomento a provare che la sovranità greca fu allora, almeno di fatto, sconosciuta a Napoli, può trarsi dal vedere che nell’ostinata guerra combattuta dorante il ducato di Stefano II, tra Napoletani e Longobardi, non si accenna mai all’intervento dei Bizantini.
- ↑ I disegni di questi varii esemplari, raccolti dal Fusco in due Tavole rimaste inedite, si conservano presso il prof. Luppi in Milano.
- ↑ Le altre al n. 13, 14 e 15, della stessa Collezione, hanno presso a poco l’istesso peso.
- ↑ Peso gr. 2,76. (Collezione Sambon).
- ↑ Questi follari circolano anche fra gli Arabi, e alcuni se ne veggono improntati da una contromarca con la scrittura buono in caratteri cufici.
- ↑ V. De Meo, Ad an., che però lo crede dubbio.
- ↑ Il Muratori, Op. c., ricorda un altro esemplare diverso e inesso l’effigie di S. Gennaro non ha nimbo ed invece ha la barba. Ne fa cenno anche l’Ignarra, Op. c., il Mazzocchi, Op. c. osserva, che a Sergii ducatu coepit Ianuarius exprimi annosior et cum modica barba, sicut in Musivo S. Mariae de Principio videtur. Ma evidentemente la moneta è apocrifa. Quanto poi alla sigla, sis che si scorge in petto alla protome dei Santo, pare che abbia a leggersi s. ianuarius; ed io suppongo che la sigla dovea essere nel busto d’una statua del Santo, che fu tolta a modello nell’impronta della moneta.
- ↑ Da Mss. presso il conte Papadopoli. Il De Petris, Op. c. ed altri attribuiscono lo monete a Sergio I, e invece Falcone, Op. c. a Sergio III.
- ↑ Fu riprodotto dal Sabatier, Op. c.
- ↑ L’elezione di Sergio I è posta nel marzo 840, e la morte di Teofilo nel gennaio 842. Capasso, Mon. ad Neap. ducat., ecc. pag. 83.
- ↑ Lo Spinelli dà il tipo di un nummo d’oro sul quale, preceduto e seguito da caratteri cufici, lesse il nome di Andrea, Op. c. XXVI. Ma fu letto erroneamente quel nome, e in ogni modo non potrebbe riferirsi ad Andrea Duca di Napoli, come qualcuno vorrebbe.
- ↑ Chronicon ec. ap. Capasso, Op. c., pag. 88.
- ↑ Vit. S. Athanas. n. 2. L’agiografo soggiunge che Sergio era litteris tam graecis quam latinis favorabiliter eruditus, ap. Capasso, Op. c., pag. 84,
- ↑ Cf. Joan. Diac., n. 60, Anast. Bibliot., In Leon IV. Ignot. Casin., Ad an., ecc.
- ↑ Penes Gregorium, Romanae sedis Pontificem, ergoque serenissimos viros Lodoicum piissimum.., eiusque Subolem Lotharium, invictissimos Cesares familiarissimus esset, maximumque obtineret honoris locum, ecc. Vit. S. Athanas., l. c.
- ↑ Rame. Peso gr. 6,967 (Collezione Sambon). V. Tav. XI, N. 2.
- ↑ Liruti, Lettera al conte Savorgnano.
- ↑ Strozzi, Dissertaz. sul Museo Bottacin. (Periodico di Numismatica e Sfragistica V. III, pag. 242).
- ↑ Basilio venne associato da Michele all'impero il 26 maggio 868, quando già Sergio I era morto nel giugno o nel loglio 865. Capasso, Op. c., pag. 90.
- ↑ Governarono insieme Michele e Basilio al più un anno e quattro mesi sino al 24 settembre 869.
- ↑ Ludovici adventui omnium circumquaque urbium patuit introytus. Solummodo neapolitam non est ingressus civitatem. Joh. Diac, n. 64 o Vit. S. Athan. che attribuiscono l'astensione a grazia concessa al pio vescovo Atanasio I. Ma offeso dalla contumacia dei cittadini, Ludovico scriveva più tardi a Basilio di aver mandato contro Napoli populum nostrum ad incidendas arbores, et messes igne cremandas, et hanc ditioni nostrae subdendam, cum licet ab olim nostra fuerit et parentibus nostris piis imperatoribus tributa persolveret, volendo anche che la città si sciogliesse dall’iniqua alleanza dei Saraceni. Chron. Anon. Salern, M. G. H. T. III, Scr. 526. L’Amari, (Stor. dei Musul. T. I, pag. 381) ritiene che la lettera sia parafrasi di altra autentica.
- ↑ Niceta Orifa venuto d’Oriente ad aiutar Ludovico nella guerra contro i Saraceni, al ritorno suscitò cavilli intorno al titolo d’imperatore dei Romani assunto dai Franchi, e al titolo di Basileo, riserbato, dicea, solamente ai Greci. Chron. Anon, Saler., l. c. Quantunque il pettegolezzo nascesse dopo, deve credersi che la pretensione fosse già prima surta nella corte Bizantina, e che ora Basilio por fare dispetto ai Franchi s’intitolasse anche re.
- ↑ Attanasio, ch’erasi mostrato avverso alla lega stretta tra il fratello e i Saraceni, sfidando poi le ire del Papa pro turpis lucri comodo tornò ad allearsi ad essi, e s’uni anche ai Greci per combattere i Capuani. (Johan PP, VIII, ep. 227, 265, 270). Erchemp, Chr., c. 43, 49, 50, 71, 72; Chr. Anon. Salern., c. 130, 140.
- ↑ Stranamente il Capaccio, (Hist. Nap. 1. I), crede che il nummo sia stato coniato in onore di s. Gennaro e di Attanasio I, quos sanctissimos habuit Neapolis episcopos.
- ↑ Pfister, Monnaie inédite de l’empereur Basile I.er frappée à Naples en 884 — «Revue Numis.», 1849 e Regio Museo di Torino.
- ↑ Forse a questo tempo sono da riferirsi due sconosciute monete di argento da me possedute. L’una ha al dritto i nomi di basil leo alexan: al centro imps e al rovescio, intorno ad un ramo che sembra spiga, mihael arhagel (Tav. XI, N. 6), e l’altra al dritto arhan mih: (ivi, N. 7). al centro una croce contornata da quattro punti, e al rovescio la stessa leggenda, intorno al monogramma s imp. La seconda, benchè anonima, per la simiglianza che ha con la precedente, deve assegnarsi agli stessi imperatori. Ed entrambe per la forma delle lettore, e il nome dell’Arcangelo Michele, fanno supporre che siano state battute in una zecca Longobarda dell’Italia meridionale. Ma il nome di Basilio unito a quelli di Leone e di Alessandro, esclude la possibilità di attribuirle alla zecca di Benevento, perchè, quando nell'891 i Greci s’insignorirono di quella città, Basilio era morto. Una possibile congettura potrebbe essere la seguente. Nell'881 Gaiderisio Principe di Benevento, scacciato, fuggì presso i Greci, e Basilio rimandollo in Puglia assegnandogli la città di Oria. Può darsi ch’egli abbia prestato omaggio al greco imperatore, il quale intento a restaurare il suo dominio in Italia, segnando il nome del santo patrono dei Longobardi sulle monete, volle affermare la pretesa sovranità sulle loro terre.
- ↑ Non posso tener conto della testimonianza riferita da Engel, (Recherches sur la Numismatique et la Sigillographie des Normands, ecc.) nella quale in una donazione testamentaria dell’anno 928: si logge: post meum transitum ibidem habeat predicta nostra ecclesia pro luminariis, absque iniuria, auri tremissem unum Neapolitanum. La tremissa, ricordata ivi e in parecchie altre carte, non era una moneta d’oro battuta a Napoli come sembra sospettare il Fusco, ma quel nome s’adoprò con significato generale a determinare le monete d’oro che nella città avevano corso. La formola di eseguire i pagamenti in moneta que tunc andaverit in ista civitate, si trova spesso adoperata in altre carte napoletane del tempo. V. Camera, Importante scoperta del fam. tareno Amalfit. pag. 29 e 3O.
- ↑ Traggo la notizia dalle accennate carte del Fusco esistenti nella Biblioteca di s. Martino, dove è detto che il santo Vescovo potrebbe essere S. Pietro patrono di Capua. Pandolfo s’insignorì nel 1027 di Napoli à l’aide de ceux de la cité. Amato, I, 40, e ne rimase padrone per annos ferme tres, Leo Ostien, II, 58, o come altri scrive, solamente quindici mesi Cron. Cass. ad an. Non si trova nemmeno ch’egli intitolasse i pubblici atti col suo nome.
- ↑ Il Collenuccio, l. IV fu il primo a raccontare, che Corrado IV di Svevia, per vendicarsi della resistenza oppostagli dai Napoletani, volle che si ponesse il freno al cavallo di bronzo ch’era innanzi la loro chiesa cattedrale, e che vi si scrivessero i seguenti versi:
Hactenus effrenis, domini nunc paret habenis
Rex domat hunc aequus Parthenopensis equum.Ma la Cronaca di Partenope, compilata intorno la metà del secolo XIV, che raccolse la favolosa leggenda di quel cavallo costruito per opera magica da Virgilio, narra che quei versi furono fatti incidere da Carlo I Angioino, e. 10, e s’accorda con Eustazio da Matera vissuto nel secolo XIII, che in un poema de planctu Italie, ora perduto, avrebbe detto lo stesso. V. Capasso, Hist. dipl. Regn. Sic., pag. 51 e S54.
- ↑ Op. cit.
- ↑ Rame gr. 0,556. In questo esemplare della mia Collezione, si vede chiaro non il P greco, ma l’R latina formata dal prolungamento di una delle linee dell’X.
- ↑ Non pare probabile che Ruggiero, il quale con terribile edictum proscrisse le Romesine d’argento, che aveano corso nel Regno, sostituendovi il suo ducato, e fece battere per proprio conto i tre follari di bronzo, (Falc. Benev., Ad. an. 1140) potesse mostrarsi largo nel concedere il dritto d'una particolare coniazione a parecchie città soggette.
- ↑ Sono noti gli esempi di altre simili invocazioni segnate sulle monete, e basterà rammentare la leggenda dello zecchino Veneziano: Sit tibi Christe datus quem tu regis iste ducatus, e quella più famosa della moneta ossidionale di Firenze del 1529: Jesus. Rex. Noster. Et. Deus. Noster.
- ↑ Il Fusco nelle carte citate, argomenta che Ruggiero confermasse il privilegio della zecca a Napoli, da una monetina sulla quale, dice, era impressa da una parte la leggenda roge rex, e dall'altra la protome di un Vescovo, e le parole s atha. Ma niuno vide mai questa moneta, ed è impossibile che all’immagine di s. Gennaro patrono della città se ne sia sostituita altra. Anche Engel, Op. c., n. 49, pag. 40, reca il tipo d'una piccola moneta Normanna assai corrosa, e vuole attribuirla a Napoli, immaginando che le due lettore visibili siano iniziali di s. ianuarius. Però in parecchi esemplari della stessa moneta esistenti nella mia Collezione, si legge chiaramente s. stephanus, quindi essa deve riporsi tra le altre monete di Ruggiero II che hanno l’effigie del Santo Capuano. Ed io volentieri cancello dalla Serie Napoletana questa monetina così brutta, nella quale fu possibile scambiare la testa del re con una pentola.
- ↑ Collezione Colonna.
- ↑ Rame, gr. 0,561. (Collezione Sambon).
- ↑ Il titolo di rex, procedente al nome di Guglielmo, si rincontra nel Fusco, Tav. di Mon. del Reame, ecc. Tav. IX, n. 6, 7 e 12, e nell'Engel Op. c., Tav. VIII, n. 5, 6, 19.
- ↑ Il Pactum giurato da Sergio. (Arch. Stor. per le Prov. Napol., Tom. IX, pag. 714).
- ↑ Precepit eciam ut carta quas mediani rumpere fecerunt.,. res tauraretur ut a vetere tempore fuerunt. (Ivi, pag. 715).
- ↑ La distinzione dei Seggi, ai qnali i nobili erano ascritti, detti anche Sedili, Tocchi, Piazze, secondo i documenti noti sin’ora e sicuri, non apparisce in epoca anteriore al regno di Ruggero II. V. Capasso, Op. c., pag. 721.
- ↑ Cron. di Parten. Il Collenuccio, L. IV, scrive che quel cavallo fu fatto togliere dai vescovi religiosi con li napolitani nell’anno 1322, trasformandone il metallo in campane. E più tardi il Tarcagnota, (Del sito e lodi della città di Nap., pag. 64), asserì che la testa di bronzo esistente nel palazzo del Duca di Maddaloni, potesse essere reliquia di quel cavallo. Questa testa conservasi nel Museo di Napoli, ed è ora provato che essa fu opera del Donatello. V. Filangieri, La testa del cavallo di bronzo, ecc. (Arch. Star. per le prov. Napol., Tom. VII, pag. 407).
- ↑ Nel laudo che nel 1338 fu pronunciato da Roberto d’Angiò per porre pace tra i Seggi di Capuana e Nido, qui gloriantur se esse meliores, e gli altri Seggi, il re stabili che una terza parto degli oneri e degli onori dovessero attribuirsi ai primi. Ma le contese si ravvivarono ancora al tempo di Giovanna I. (Summonte, Tom. III).
- ↑ Privilegium concessum civibus Neapolitanis per gloriosissimum dominum nostrum Tancredum, ecc. Capasso, Op. c., pag. 783.
- ↑ Si determina l’epoca Sveva paragonandola al denaro di Federico II e Costanza, dal quale fa copiato il rovescio.
- ↑ Napoli, ribellatasi nel gennaio 1251, insieme ad altre città della Campania e di Paglia, si sostenne infine al 10 ottobre 1253. Al nuovo governo comunale che assunse, accenna il Papa nella lettera del 22 giugno 1261 diretta Potestati Consilio et Comuni Neapolitano, e più apertamente in quella del 18 dicembre, nella quale, accogliendo la città sotto la protezione della Chiesa, conferma le rationabiles consuetudines concede facoltà libertatem assumendis potestatibus et statutia edendi ed approva le ordinationes, che dopo la morte di Federico erano state fatte inter milites et popolares.... pro bono et pacifico statu ipsius civitatis, Raynal, Ad an., n. 38, 39, 42.
- ↑ Scoperta del famoso Tareno Amalfitano, e Memor. stor. diplom. dell’antica città e ducato d’Amalfi. T. I, pag. 174. L’opinione del Camera fu contradetta da L. Volpicella (Arch. Stor, per le Prov. Nap. T. I) e dal Faraglia, Storia dei prezzi in Napoli, pag. 23, n. 8. E anche l’Engel, Op. c., pag. 19, assegna quella moneta al principio del secolo XIII.
- ↑ Oltre quella edita dal Camera, io posseggo una varietà di questa moneta Amalfitana, che si distingue dalla prima, perchè la croce nel centro è accantonata da quattro globetti, e taglia colle braccia il cerchio in cui è rinchiusa (Tav. XI, N. 11). Innocenzo IV nel dicembre 1254, pochi giorni prima di morire, aveva riconosciuta Amalfi come demanio perpetuo della Chiesa, e confermate le sue consuetudines et libertates. Ma questo non impedì al suo successore d'infeudarla nel seguente mese ai marchesi di Hohenburg. Camera, Mem. cit., pag. 426, 427.
- ↑ Nullum civitati predictae sede apostolica destinato subsidium. Saba Malaspina, I, 8.