< Le odi di Orazio < Libro secondo
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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
Libro secondo Libro secondo - II

I.


Il civil moto (Metello console)
    E della guerra le cause, i vizj
        E i modi e il gioco di Fortuna
        4E dei duci le gravi amistanze

E l’armi tinte d’inulto sangue,
    Opra di casi piena e di rischj,
        Tu tenti, incedendo su fochi
        8D’ingannevole cenere ascosi.

Manchi per poco l’austera tragica
    Musa a’ teatri; ma appena i pubblici
        Negozj rassetti, riprendi
        12Sommo dono il cecropio coturno,


O Pollione, presidio nobile
    Di rei dolenti e della Curia,
        Cui nel dalmatico trionfo
        16Diè l’alloro onoranze immortali.

Già già al minace dei corni murmure
    Stringi le orecchie; già i litui strepono;
        Già il lampo dell’armi i cavalli
        20Ratti e il viso a’guerrieri atterrisce.

I sommi duci veder già sembrami
    Di non indegna polvere squallidi,
        Soggiogato in terra ogni cosa,
        24Di Caton fuor che l’animo atroce.

Giuno, e ogni nume più amico a’ Libici,
    Che dalle terre non ulte invalido
        Partissi, i nipoti dei vinti
        28Come esequie a Giugurta consacra.

Qual più fecondo campo per italo
    Sangue le pugne empie da’ tumuli
        Non attesta e da’ Medi udito
        32Il fragor dell’esperia ruina?


Quai gorghi, quali fiumi del lugubre
    Conflitto ignari? Qual mar di Daunia
        Scolorato non han le stragi?
        36Qual mai lido non ha nostro sangue?

Ma non lasciare tuoi scherzi e assumere,
    O Musa audace, di Ceo la nenia:
        Meco nell’antro dionèo
        40Cerca modi con plettro più lieve.


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