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Er zettàrio condannato Le donne litichíne
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1836

LE SPERANZE DER POPOLO

     Ggià, ll’ùrtima che mmore è la speranza.
Ma ddoppo che ss’è ddetto Un Papa frate,
Io nun zo ccosa diavolo sperate:
Forzi1 quarche mollica quanno pranza?

     Sperà bbene da lui? co’ cquela panza?
Co cquela faccia fra er tre e’ l’cinque?2 Oh annate,3
Annate, fijji mii: ste bbuggiarate
Ar monno d’oggi nun zò4 ppiù dd’usanza.

     La Santità de sto Nostro Siggnore
Lo sapete a cche ppenza? A vvive5 quieto
Senza dolor de testa e mmal de core.

     Lui a nnoi sce se tiè6 ttutti derèto,7
E, ar più, sse n’aricorda pe’ ffavore
Quanno maggna la sarza co’ l’asceto.8

26 marzo 1836

  1. Forse.
  2. Fare il tre e il cinque: faccia di quattro, cioè faccia di c... Ci vergogniamo a dirlo.
  3. Oh andate.
  4. Non sono.
  5. A vivere.
  6. Ci si tiene.
  7. Di dietro.
  8. La salsa coll’aceto.

Note

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